Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3422 del 12/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 12/02/2010, (ud. 13/01/2010, dep. 12/02/2010), n.3422

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20944-2005 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

EREDI ROASIO PIETRO DI ROASIO GIANPAOLO & C. S.A.S.,

R.

G.;

– intimati –

sul ricorso 25094-2005 proposto da:

EREDI ROASIO PIETRO DI ROASIO GIANPAOLO & C. S.A.S.,

R.A.

R., R.P. e S.M.G., quali eredi di

R.G., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

GOIRAN 23 presso lo studio dell’Avvocato CONTENTO GIANCARLO e

rappresentati e difesi dall’Avvocato BIANCO MICHELE giusta delega a

margine;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 7/2003 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

di TORINO, depositata il 01/04/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/01/2 010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI GIACALONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO RICCARDO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale e il rigetto di quello incidentale.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

La S.a.s. contribuente sopra indicata ed il socio accomandatario della stessa, in proprio, impugnavano l’avviso di rettifica del reddito dichiarato ai fini ILOR per il 1996, emesso dall’Ufficio finanziario sul presupposto della constatazione da parte della Guardia di Finanza, della contabilizzazione di fatture per operazioni inesistenti apparentemente emesse dalla S.r.l. Essepiù.

La C.T.P. respingeva il ricorso. La C.T.R. accoglieva l’appello dei contribuenti, affermando per quanto ancora rileva, che gli elementi presuntivi, circa il flusso di fatture asseritamente fittizie movimentate nel 1996, si erano rivelati sforniti dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, consistendo in un solo elemento dichiarativo diretto (confessione dell’amministratore della Essepiù S.B.) non corroborato – come invece per gli anni 1994 e 1995 (trattati in separati procedimenti) da accertamenti sulle bolle di consegna nè dalla dichiarazione dell’autista – ma solo da elementi indiretti, menzionati in copie di provvedimenti penali non recanti condanna, rispetto ai quali non erano stati prodotti gli accertamenti effettuati nella relativa sede.

Avverso detta sentenza ricorrono per cassazione il Ministero dell’Economia e l’Agenzia delle entrate, che – deducendo violazione dell’art. 2697 c.c. e D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 nonchè degli artt. 2727 e 2729 c.c. e vizio di motivazione su punto decisivo – lamentano che la C.T.R. avrebbe erroneamente ritenuto a carico di essa parte erariale l’onere di provare che le operazioni di cui alle fatture emesse dalla Essepiù fossero inesistenti, dovendo, invece, il produttore di reddito provare l’esistenza e l’inerenza di costi portati in diminuzione del reddito d’impresa; deduce che, nel merito, esistevano seri indizi di fittizietà delle operazioni, sicchè con corretto ragionamento la C.T.R. avrebbe dovuto confermare la ripresa a tassazione, evitando cosi di incorrere nel travisamento logico del fatto; lamenta, inoltre, la valutazione atomistica, e non nella loro interezza, degli elementi indizianti e che erroneamente la C.T.R. non abbia considerato risolutivo quello consistente nelle dichiarazioni dello S., potendo la prova presuntiva scaturire anche da un solo elemento; lamenta, infine, che non sarebbero state adeguatamente considerate le dichiarazioni dei militari della G.d.F. risultanti dalla sentenza penale, pur assolutoria, nei confronti del socio accomandatario R.G., che passa in rassegna in ricorso;

stanti tali elementi e l’assoluta carenza probatoria di controparte, le conclusioni raggiunte per 1 1994 e 1995 avrebbero dovuto condurre a ritenere la fittizietà delle operazioni anche per il 1996.

Gli intimati si sono costituiti con controricorso – sostenendo l’infondatezza del ricorso erariale, stante l’insussistenza dei vizi denunciati – ed hanno proposto anche ricorso incidentale condizionato, illustrato con memoria, deducendo violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e art. 41 bis in rel. art. 2697 c.c., perchè la C.T.R. avrebbe qualificato erroneamente l’accertamento come avvenuto ex art. 39, n. 1, lett. “d”, anzichè in base alla lettera “e” della stessa disposizione, come espressamente affermato dall’Ufficio.

I ricorsi vanno riuniti, essendo stati proposti avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).

Va dichiarato inammissibile il ricorso del Ministero, il quale non è stato parte del giudizio di appello.

Il ricorso dell’Agenzia, invece, è fondato nei termini di seguito precisati; mentre, sulla base delle medesime considerazioni si rivela privo di pregio quello incidentale condizionato della parte privata.

In primo luogo, quanto alla lamentata violazione di legge in ordine al riparto, nella materia in esame, dell’onere probatorio, la C.T.R. non ha fatto buon governo del consolidato orientamento di questa Corte secondo cui, in materia di accertamento dell’IVA, come delle imposte dirette, in ipotesi di fatture che l’amministrazione ritenga relative ad operazioni inesistenti, grava su di essa l’onere di provare che le operazioni, oggetto delle fatture, in realtà non sono state mai poste in essere. Ma, se l’amministrazione fornisca validi elementi, anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti – alla stregua del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d o quanto all’IVA ex D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2 – per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni di tal fatta, passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate (per le imposte dirette, v. Cass. 18 gennaio 2008 n. 1023; riguardo all’IVA, v. Cass. 11 giugno 2008 n. 15395; 7 febbraio 2008 n. 2847; 19 ottobre 2007 n. 21953; 16 settembre 2003 n. 13605). Come emerge da tale più recente giurisprudenza (specie Cass. n. 15395/08 e 21953/07), il contrasto interpretativo segnalato nella memoria della parte privata è meramente apparente. Infatti, la questione del riparto dell’onere probatorio sulla detraibilità delle fatture per operazioni inesistenti va, infatti, inevitabilmente affrontata nell’ambito delle presunzioni, non essendo possibile, se non in via induttiva, fornire la prova dell’inesistenza di un fatto. Deve perciò ribadirsi che, una volta assurti gli elementi forniti dalla parte erariale, unitariamente considerati, ad effettiva valenza probatoria, viene per ciò stesso a ricadere sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni (Cass., 5A, 19109/2005, 4046/2007, nonchè 21953/2007 e 15395/08). Pertanto, va ribadito il principio secondo cui, “in tema di accertamento induttivo dei redditi d’impresa, consentito dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d) sulla base del controllo delle scritture e delle registrazioni contabili, l’atto di rettifica, qualora l’ufficio abbia sufficientemente motivato, sia specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio, sia dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, è assistito da presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori, nel senso che null’altro l’ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, senza che sia sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili, perchè proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni inesistenti o di valore di gran lunga eccedente quello effettivo” (Cass. 16 gennaio 2009 n. 951).

Inoltre, nell’impugnata sentenza, l’esigenza di una congrua e corretta motivazione non è stata soddisfatta, per quanto attiene alla questione decisiva della controversia relativa alla sussistenza dei presupposti dell’accertamento in rettifica, essendosi la Commissione – dopo aver correttamente qualificato l’accertamento come condotto a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) – limitata a negare l’esistenza di riscontri adeguati in ordine alle verifiche operate presso i fornitori e i contribuenti, senza scendere all’esame di ognuno degli elementi addotti dall’amministrazione e richiamati in appello, per accertare se gli stessi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno potrebbe rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento. Va, altresì, sottolineato che – diversamente da quanto mostra di ritenere la C.T.R. in rapporto alle dichiarazioni di terzi, considerato unico elemento indiziario – la concordanza degli elementi presuntivi è effettivamente richiesto, dalla legge solo in previsione di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi (Cass. n. 19088/07, 16993/07, 4472/03, 979/03, 4406/99 e, specificamente in materia tributaria, Cass. 12060/02). Inoltre, la C.T.R. ha omesso l’esame degli indizi, desumibili dalle verifiche della Finanza, riproposti in appello ed indicati in ricorso, quali le dichiarazioni dei titolari delle ditte che avevano emesso le fatture in ordine all’inesistenza delle operazioni in esse indicate e l’indisponibilità da parte delle stesse delle attrezzature necessarie ad effettuare dette operazioni, rispetto ai quali non risultano contrapposti idonei elementi oggettivi da parte della società contribuente, come è desumibile dalla circostanza che il ribaltamento della sentenza di primo grado è incentrato esclusivamente sulla valutazione degli elementi indiziari dedotti dall’amministrazione.

La sentenza impugnata va, pertanto, cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, non essendo state dedotte nell’originario ricorso altre questioni relative alla determinazione della pretesa erariale, la causa può essere decisa nel merito, con rigetto del ricorso introduttivo della società.

Ricorrono giusti motivi – considerato che i principi sopra richiamati si sono consolidati in epoca successiva all’originario ricorso – per compensare le spese dell’intero giudizio.

PQM

Riunisce i ricorsi.

Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero. Accoglie il ricorso principale dell’Agenzia e rigetta quello incidentale della società.

Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della società. Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2010

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