Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3422 del 03/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 03/02/2022, (ud. 01/12/2021, dep. 03/02/2022), n.3422

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15558-2016 proposto da:

D.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA BALDUINA

66, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE SPAGNUOLO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA

D’ALOISIO, ANTONINO SGROI, EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO,

GIUSEPPE MATANO, ESTER ADA SCIPLINO;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 114/2016 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 15/02/2016 R.G.N. 377/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

01/12/2021 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

Con sentenza del 15.2.2016, la Corte di Appello di Salerno ha confermato la sentenza del tribunale della stessa sede di rigetto dell’opposizione ad avviso di addebito notificato dall’INPS, in relazione all’accertamento ispettivo con il quale era stata accertata la reale titolarità in capo a D.D. dell’azienda agricola di cui era formale intestataria la madre F.M.G., ed era stata quindi accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro agricolo svolto in favore del D. da parte di alcuni operai per gli anni 2006-2009;

la Corte ha dapprima escluso l’esistenza di preclusioni a tale accertamento derivanti da precedenti giudicati ed ha esaminato l’intero compendio probatorio acquisito al processo, valutando come inattendibili i testi escussi successivamente in udienza ed ha trasmesso gli atti del procedimento alla Procura della Repubblica per quanto di competenza;

avverso tale sentenza ricorre D. sulla base di due motivi;

l’INPS ha depositato procura alle liti.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

con il primo motivo si deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, – la violazione degli artt. 112,115,116 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c., in ragione del fatto che l’accertamento compiuto non aveva appurato alcuna omissione o evasione contributiva, essendo stati i cinque rapporti di lavoro regolarizzati dal punto di vista contributivo, sebbene in riferimento ad un soggetto datore di lavoro differente da quello ritenuto in sede ispettiva, dunque la sentenza avrebbe deciso su questione estranea al giudizio (costituzione di 5 nuovi rapporti di lavoro) ed avrebbe trascurato di valutare l’effetto derivante dalla regolarità contributiva dei rapporti di lavoro in questione;

con il secondo motivo di ricorso si deduce -ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – l’omesso esame del fatto storico principale costituito dal contraddittorio necessario con i lavoratori interessati e dall’onere della prova a carico dell’INPS;

in sostanza, il ricorrente sostiene che il rapporto di lavoro dei cinque lavoratori agricoli, che l’INPS assumeva essere stati dipendenti propri e non della madre, è stato annullato dalla sentenza impugnata in assenza delle parti interessate e ciò avrebbe privato il processo dei legittimi contraddittori; inoltre, le conclusioni raggiunte dalla Corte d’appello non erano state fondate su prove idonee giacché si era trascurato di valutare che il D. non aveva mai avuto la proprietà o la disponibilità di terreni sui quali sarebbe stata svolta l’attività produttiva della coltivazione delle castagne;

il primo motivo, premesso che l’accertamento in fatto sulla reale titolarità dell’azienda in capo al D. non è suscettibile di sindacato in questa sede per cui è inammissibile là dove intende ribaltare il giudizio sulla natura fittizia della figura datoriale sostituendovi quella della mera collaborazione nei confronti della titolare apparente, è infondato in diritto quando censura la sentenza sotto il profilo della extra petizione;

la tesi poggia, infatti, sulla sostanziale indifferenza, all’interno del rapporto contributivo, della corrispondenza a realtà del soggetto indicato quale datore di lavoro, con la conseguenza che l’INPS non potrebbe dolersi della sua mera apparenza. Tale opinione è del tutto contraria alla natura ed ai caratteri dell’obbligazione contributiva che, dato il rilevo pubblicistico che riveste, non tollera che il soggetto obbligato resti incerto o peggio sia solo apparente;

resta estraneo all’oggetto del presente giudizio l’effetto ulteriore che deriva dallo svelamento della reale identità del datore di lavoro, e cioè il tema delle conseguenze dei pagamenti effettuati dal datore di lavoro apparente (art. 1180 c.c.), che ha formato oggetto della giurisprudenza di questa Corte, di cui appresso;

della questione infatti non vi è traccia nella sentenza, né si è denunciata la violazione dell’art. 1180 c.c., in ordine alla quale ” la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di affermare che, in ipotesi di interposizione nelle prestazioni di lavoro, non è configurabile una concorrente obbligazione del datore di lavoro apparente con riferimento ai contributi dovuti agli enti previdenziali, rimanendo tuttavia salva l’incidenza satisfattiva di pagamenti eventualmente eseguiti da terzi, ai sensi dell’art. 1180 c.c., comma 1, nonché dallo stesso datore di lavoro fittizio, senza che abbia rilevanza la consapevolezza dell’altruità del debito, atteso che, nell’ipotesi di pagamento indebito dal punto di vista soggettivo, il coordinamento tra gli artt. 1180 e 2036 c.c., porta a ritenere che sia qualificabile come pagamento di debito altrui, ai fini della relativa efficacia estintiva dell’obbligazione (con le condizioni di cui all’art. 2036 c.c., comma 3), anche il pagamento effettuato per errore (cfr., ex plurimis, Cass. n. 12509/04; Cass. n. 12735/06; Cass. n. 1666/08; Cass. n. 3707/09);

il secondo motivo è per un verso infondato e per altro verso inammissibile;

in primo luogo, infatti, chiarito che il vizio con il quale è astrattamente possibile denunciare la violazione del litisconsorzio necessario di cui all’art. 102 c.p.c. è quello previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e non il vizio di motivazione, va osservato che il lavoratore al quale si riferisce l’obbligo contributivo non è soggetto litisconsorte necessario nella controversia insorta tra datore di lavoro ed ente previdenziale;

questa Corte di legittimità (Cass. n. 5353 del 16/03/2004; Cass. n. 5429 del 1982) ha affermato che non sono litisconsorti necessari il lavoratore e il datore di lavoro, rispettivamente, nelle controversie fra il secondo e l’Ente Previdenziale, aventi ad oggetto il versamento dei contributi, e in quelle, fra il primo e lo stesso Ente, aventi ad oggetto l’erogazione delle prestazioni assicurative, poiché, pur essendo il rapporto di lavoro e quello previdenziale connessi, rimangono, comunque, rapporti diversi e in siffatte controversie l’accertamento con forza di giudicato è chiesto solo con riferimento al rapporto previdenziale per le obbligazioni che ne derivano, di guisa che l’insorgere di una contestazione fra le parti circa la sussistenza del rapporto di lavoro non implica necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti dell’uno o dell’altro soggetto di quello stesso rapporto, rimasto estraneo alla causa in corso, potendo la relativa questione essere risolta in via meramente incidentale, al limitato fine dell’accertamento dei presupposti suddetti, senza che tale soggetto subisca pregiudizio da una decisione “incidenter tantum”, inidonea a costituire giudicato nei suoi confronti;

inoltre, la denunzia di vizio motivazionale non è conforme all’attuale configurazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 il quale esige che il fatto del quale si denunzia l’omesso esame sia costituito da un fatto decisivo inteso nella sua accezione storico fenomenica (Cass. n. 4035/2018, Sez. Un. n. 8053/2014) laddove nello specifico parte ricorrente denunzia l’omesso rilievo di circostanze (mancanza di titolo di proprietà e di disponibilità del fondo), in sé non decisive e delle quali non si indica come quando siano state acquisite al processo; secondo la giurisprudenza di questa Corte, ove con il ricorso per cassazione si ascriva al giudice di merito di non avere tenuto conto di una circostanza di fatto che si assume essere stata “pacifica” tra le parti, il principio di autosufficienza del ricorso impone al ricorrente di indicare in quale atto sia stata allegata la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo essa sia stata provata o ritenuta pacifica (Cass. n. 24062/2017) provvedendo alla trascrizione dei relativi passaggi argomentativi (Cass. n. 16655/2016); parte ricorrente si è totalmente sottratta a tale onere;

in definitiva, il ricorso va rigettato;

il ricorrente soccombente non può essere condannato alle spese del giudizio in quanto l’INPS si è limitato a depositare procura senza svolgere specifica attività difensiva (Cass. Sez. L, sentenza n. 11499 del 04/11/1995).

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 1 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2022

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