Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34218 del 20/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 20/12/2019, (ud. 08/11/2019, dep. 20/12/2019), n.34218

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26955/2015 R.G. proposto da:

D.G., rappresentato e difeso, per procura speciale in

atti, dall’Avv. Matteo Scuderi, con domicilio eletto presso lo

studio dell’Avv. Fulvia Michela Fonsmorti in Rho (Milano) Via

Magenta, n. 7727-D;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, n. 1338/30/15, depositata in data 1 aprile 2015.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 novembre

2019 dal Consigliere Dott. Michele Cataldi.

Fatto

RILEVATO

che:

1.In seguito ad indagini finanziarie D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, l’Agenzia delle Entrate ha notificato a D.G., che svolgeva l’attività di installazione di impianti elettrici, due avvisi di accertamento, in materia di Irpef, Irap ed Iva, rettificando gli imponibili dichiarati dal contribuente per l’anno d’imposta 2007 e 2008, e determinando, di conseguenza, le maggiori imposte, con i relativi interessi e le sanzioni.

2.Proposto ricorso dal contribuente, l’adita Commissione tributaria provinciale di Varese lo ha solo parzialmente accolto.

Il contribuente ha quindi appellato la sentenza di primo grado dinnanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia che, con la sentenza n. 1338/30/15, depositata in data 1 aprile 2015, lo ha rigettato.

3.Il contribuente propone ora ricorso, affidato a 3 motivi, per la cassazione della sentenza d’appello.

4. L’Agenzia delle Entrate si è costituita al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.In via preliminare va dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposti nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, privo della necessaria legittimazione passiva in quanto il giudizio di appello è stato introdotto dopo il primo gennaio del 2001, data in cui è divenuta operativa l’istituzione dell’Agenzia delle entrate, cui spetta esclusivamente la legittimazione ad causam e ad processum nei procedimenti introdotti successivamente alla predetta data (Cass., Sez.U., n. 3118/2006).

2.Con il primo motivo, il ricorrente assume “il difetto assoluto di attribuzione-violazione ed errata interpretazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e della L. n. 241 del 07 agosto 1990, art. 21 septies”.

Lamenta il ricorrente che “pare che i nominativi dei funzionari che hanno sottoscritto gli avvisi di accertamento non compaiano tra l’elenco dei dirigenti c.d. “regolari” e che quindi, ai sensi della sentenza n. 37 del 2015 della Corte costituzionale, si tratterebbe di dipendenti dell’Ufficio ai quali sono stati illegittimamente conferiti incarichi dirigenziali senza aver partecipato a concorsi pubblici, con conseguente decadenza dall’incarico e nullità degli atti da essi sottoscritti.

Il motivo è inammissibile, in quanto, in violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, e art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, il ricorrente non si limita a non catalogare il vizio imputato alla sentenza tra quelli categoricamente elencati dalla prima disposizione citata, ma descrive il fatto (la pretesa decadenza dalla carica dirigenziale di chi ha sottoscritto l’atto per l’Ufficio) e la stessa censura in termini di mera possibilità (“pare”), così sostanzialmente chiedendo a questa Corte di ricercare la sussistenza di una ragione d’invalidità dell’atto impositivo che neppure lo stesso ricorrente afferma inequivocabilmente essersi verificata.

Tale modalità di redazione del ricorso si traduce in una sostanziale mancata esposizione dei fatti di causa e del motivo in questione, che è quindi inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

Il motivo non è invece inammissibile, come eccepito dalla controricorrente, anche per essere stato proposto per la prima volta in questa sede, attesa la sopravvenienza della sentenza n. 37 del 2015 della Corte costituzionale (udienza pubblica del 24 febbraio 2015, decisione del 25 febbraio 2015, deposito del 17 marzo 2015) rispetto all’udienza (16 febbraio 2015) nella quale l’appello è stato discusso e la sentenza impugnata è stata deliberata.

Tuttavia, lo stesso motivo è comunque ulteriormente inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., comma 1, n. 1, perchè la censura in esso formulata si discosta, senza offrire argomenti per mutarlo, dall’orientamento già esposto in materia da questa Corte, con il principio di diritto espresso ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 3, secondo il quale, in tema di accertamento tributario, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 1 e 3, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d’ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell’ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva e, cioè, da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 20022005, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d’incostituzionalità del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 24, convertito nella L. n. 44 dei 2012 (Cass. 09/11/2015, n. 22810. Sulla natura di inammissibilità della pronuncia di cui all’art. 360-bis c.p.c., comma 1, n. 1, cfr. Cass., Sez. U., 21/03/2017, n. 7155).

3.Con il secondo motivo, il ricorrente assume “violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 116 c.p.c., Insufficiente motivazione della sentenza. Art. 360 c.p.c., commi 1, 3 e 5″.

Nella sostanza, il motivo si traduce nel lamentare che il giudice a quo non avrebbe preso in considerazione documenti (prospetti riepilogativi, estratti conto bancari, copia del registro Iva) prodotti in giudizio dal contribuente in primo grado, che vengono meramente elencati nel ricorso, senza allegare specificamente se, e come, dalla loro pretesa mancata valutazione sia, in ipotesi, derivato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Pertanto il motivo, che si riduce ad una generica censura di insufficienza della motivazione, senza allegazione puntuale di un fatto e della sua natura decisiva, è inammissibile perchè del tutto estraneo alla formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile anche al giudizio di cassazione in materia tributaria (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053) e, in relazione alla data di pubblicazione della sentenza impugnata, vigente nel caso di specie.

4.Con il terzo motivo, il ricorrente assume l'”illegittimità nonchè nullità della sentenza appellata avendo i giudici di primo grado omesso di pronunciarsi all’eccepito mancato riconoscimento di una incidenza percentuale di costi ai presunti maggiori ricavi accertati”.

Il motivo è inammissibile, in quanto attinge la sentenza di primo grado ed appellata, non quella d’appello, unico ammissibile oggetto di questo giudizio di legittimità.

Peraltro, proprio sul riconoscimento dei costi, la sentenza qui impugnata si è espressamente pronunciata, rigettando la pretesa del contribuente.

Dunque, nessuna omissione di pronuncia su tale capo è imputabile comunque alla CTR.

5.La regolazione delle spese di questo giudizio tra il ricorrente e l’Agenzia delle Entrate, unica controparte costituita, segue la soccombenza.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese di questo giudizio, che liquida in Euro 5.600,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2019

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