Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34217 del 20/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 20/12/2019, (ud. 07/11/2019, dep. 20/12/2019), n.34217

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

L.F.A., rappresentato e difeso, giusta procura

speciale stesa a margine del ricorso, dall’Avv.to Gianfranco

Vecchio, il quale ha indicato recapito PEC, ed elettivamente

domiciliato presso lo studio dell’Avv.to Alessandro Riccioni, al

viale Bruno Buozzi n. 49 in Roma;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata

presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 169, pronunciata dalla Commissione Tributaria

Regionale della Puglia, sezione staccata di Taranto, il 1.10.2013 e

pubblicata il 7.10.2013;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal Consiglier

Paolo Di Marzio.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L.F.A. riceveva, il 7.1.2008, l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), attinente ad Iva, Irap ed Irpef, oltre accessori, notificato dall’Agenzia delle Entrate in relazione all’anno 2003.

L’Agenzia delle Entrate ha chiarito, nel suo controricorso, che l’avviso di accertamento nei confronti dell’odierno ricorrente era stato emesso a seguito di indagini svolte sui conti della società Lafornara Costruzioni Srl, da cui si evidenziava un debito della stessa nei confronti dei soci di Euro 118.525,00 in conseguenza di un finanziamento infruttifero ricevuto, avendo L.F.A., titolare del 50% delle quote sociali, dichiarato nel 2003 e nel 2004 redditi complessivi di circa Euro 9.000,00 annui.

Il contribuente impugnava l’atto impositivo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Taranto, che respingeva il ricorso.

L.F.A. proponeva appello avverso la decisione della CTP innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, Sezione staccata di Taranto, contestando l’omessa redazione e consegna del processo verbale di costatazione a conclusione delle attività ispettive, e comunque l’omessa indicazione delle ragioni di motivata urgenza che avrebbero legittimato l’emissione “di avviso di accertamento senza rispetto del termine di 60 gg. sancito dalla norma” (sent. CTR., p. 2) di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12. Criticava, inoltre, “la già eccepita illegittimità dell’applicazione retroattiva della disposizione D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32, comma 1, n. 2, nella forma novellata ex finanziaria del 2005 circa i poteri in materia di indagini finanziarie e segnatamente degli accertamenti bancari” (ibidem), nei confronti dei liberi professionisti.

La CTR riteneva “del tutto infondate” le censure proposte dal contribuente e rigettava il suo ricorso.

Avverso la decisione assunta dalla Commissione Tributaria Regionale ha proposto ricorso per cassazione L.F.A., affidandosi a quattro motivi di ricorso. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il suo primo motivo di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente contesta la violazione o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, con riferimento al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, per avere la CTR ritenuto legittimo il mancato rispetto del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emissione dell’avviso di accertamento.

1.2. – Mediante il proprio secondo motivo di ricorso, introdotto anch’esso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il contribuente censura la violazione o falsa applicazione, ancora dell’art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente (L. n. 212 del 2000), nonchè della L. n. 4 del 1929, art. 24, per avere la CTR ritenuto legittima la omessa redazione del Processo Verbale di Costatazione (PVC).

1.3. – Con il suo terzo mezzo d’impugnazione, proposto ancora ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente contesta la violazione o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 3, comma 1, in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, ed alla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 402, per avere la CTR ritenuto legittima la integrale utilizzabilità retroattiva delle indagini bancarie svolte non nei confronti di un’impresa, bensì di un libero professionista.

1.4 – Il contribuente lamenta ancora, nella forma del suo quarto motivo di gravame, la illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2), come interpretato dalla CTR, in materia di esistenza di una presunzione legale secondo cui i prelevamenti bancari operati dal professionista siano da computarsi quali compensi non dichiarati e domanda, nel caso in cui la Suprema Corte non ritenga di sollevare essa stessa la questione di costituzionalità, di voler sospendere il giudizio in attesa della decisione della Consulta sull’incidente di costituzionalità sollevato in materia dalla CTR del Lazio con ordinanza 10.6.2013, n. 27.

2.1. – 2.2. – I primi due motivi di ricorso appare opportuno che siano trattati congiuntamente, attenendo entrambi ad affermate violazioni del diritto di difesa che sarebbero intervenute ancor prima della notifica dell’avviso di accertamento.

Merita di essere ribadito che, a seguito degli esiti delle indagini svolte nei confronti della società Lafornara Costruzioni Srl, le verifiche erano estese anche al socio L.F.A., odierno ricorrente, e deve aggiungersi che l’Agenzia intratteneva con il contribuente, dato non contestato, una ripetuta interlocuzione, prima dell’emissione dell’avviso di accertamento. L’Ente impositore, peraltro, non effettuava alcun accesso, ispezione o verifica fiscale, nei locali ove il contribuente esercitava l’attività professionale, ed anche questo dato risulta incontestato.

Tanto premesso, il ricorrente lamenta la violazione del suo diritto di difesa conseguente alla mancata redazione di un processo verbale di costatazione al termine delle attività di accertamento svolte dall’Amministrazione finanziaria, ed il mancato riconoscimento in suo favore del termine dilatorio di sessanta giorni tra la conclusione delle indagini e l’emissione dell’avviso di accertamento.

Le censure appaiono infondate, già in considerazione delle stesse previsioni delle norme richiamate dal contribuente.

Il verbale delle operazioni compiute è redatto obbligatoriamente, infatti, solo in caso di accesso presso il contribuente (cfr., ad es. in materia di Iva, da ultimo, Cass. sez. V, 4.4.2018, n. 8246). La Corte di legittimità ha, del resto, anche recentemente confermato che “le garanzie previste dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, operano esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente, sia pure accompagnati da contestuali indagini finanziarie avviate per via telematica e con consegna di ulteriore documentazione da parte dell’accertato”, Cass. sez. VI-V, ord. 19.10.2017, n. 24636.

Inoltre, questa Corte ha già da tempo chiarito che “gli avvisi di accertamento emessi ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, per effetto del controllo delle dichiarazioni e della documentazione contabile del contribuente, non sono assoggettati al termine dilatorio previsto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, la cui applicazione postula lo svolgimento di accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali del contribuente, e non si estende all’ipotesi in cui la pretesa impositiva sia scaturita dall’esame di atti sottoposti all’Amministrazione finanziaria dallo stesso contribuente e da essa esaminati in ufficio”, Cass. sez. VI-V, 9.10.2014, n. 21391. Non trascura, questo Collegio, che la Suprema Corte ha pure affermato che “in tema di accertamento, il termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, non opera nell’ipotesi di accertamenti c.d. a tavolino, salvo che riguardino tributi “armonizzati” come l’IVA, ipotesi nella quale, tuttavia, il contribuente che faccia valere il mancato rispetto di detto termine è in ogni caso onerato di indicare, in concreto, le questioni che avrebbe potuto dedurre in sede di contraddittorio preventivo”, Cass. sez. VI-V, 29.10.2018, n. 27240, ed occorre in proposito evidenziare che l’odierno ricorrente non ha indicato alcuna specifica questione che avrebbe potuto proporre ove il termine gli fosse stato riconosciuto ma, ancor prima, merita di essere ribadito che tra le parti è stato intrattenuto un ripetuto contraddittorio prima dell’emissione dell’avviso di accertamento.

I primi due motivi di ricorso devono pertanto essere rigettati.

2.3. – 2.4. – Mediante il terzo ed quarto mezzo di impugnazione il contribuente contesta la decisione adottata dalla CTR per aver ritenuto l’efficacia retroattiva della normativa la quale ha esteso per intero l’applicabilità delle presunzioni in materia di accertamenti bancari, originariamente previste per gli esercenti attività imprenditoriale, anche ai liberi professionisti, e comunque il ricorrente dubita della legittimità costituzionale della disposizione.

Invero questa Corte aveva osservato, anche prima della riformulazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 32 e 39, i dati raccolti dall’Ufficio in sede di accesso ai conti correnti bancari di un professionista consentono, in virtù della presunzione contenuta nella detta normativa, di imputare gli elementi da essi risultanti direttamente a ricavi dell’attività di lavoro autonomo svolta dal medesimo, salva la possibilità per il contribuente di provare che determinati accrediti non costituiscono proventi della detta attività”, Cass. sez. V, 29.3.2002, n. 4601. Tuttavia, proprio decidendo sulla questione di costituzionalità sollevata dalla Commissione Tributaria del Lazio con l’ordinanza 10.6.2013, n. 27, richiamata dal contribuente, la Consulta, con sentenza n. 228 del 2014 ha deciso che “è costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 53 Cost., il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2), secondo periodo, come modificato dalla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 402, lett. a), n. 1, limitatamente alle parole ‘o compensì, apparendo arbitrario ipotizzare che “i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale” (massima ufficiale, n. 38120). Le richieste proposte dal ricorrente nella forma, invero non propria, di cui al quarto motivo di ricorso, risultano pertanto superate dall’intervenuta pronuncia del Giudice delle leggi sul punto.

Tanto premesso, preso atto della decisione adottata dalla Corte costituzionale, questo giudice di legittimità ha allora condivisibilmente osservato che “in tema d’imposte sui redditi, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari giusto il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come si ricava dal successivo art. 38, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, comma 1, n. 2; tuttavia, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti”, Cass. sez. V, 16.11.2018, n. 29752.

Il terzo motivo di ricorso deve essere pertanto accolto nei limiti di ragione, con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, sezione staccata di Taranto, perchè rinnovi il suo giudizio, nel rispetto dei principi esposti, provvedendo anche a regolare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso proposto da L.F.A., assorbito il quarto e rigettati i primi due, cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, sezione staccata di Taranto perchè, in diversa composizione, proceda a nuovo giudizio, nel rispetto dei principi innanzi esposti, e provveda anche a regolare le spese di lite del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 7 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2019

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