Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34211 del 20/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 20/12/2019, (ud. 22/10/2019, dep. 20/12/2019), n.34211

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 135/2015 R.G. proposto da:

L.R., rappresentato e difeso, per procura speciale in

atti, dagli Avv.ti Giuseppe Tenchini e Fabio Franco, con domicilio

eletto presso il loro studio in Roma, via. F. de Sanctis, n. 4;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della

Toscana, n. 1534/01/14, depositata in data 30 luglio 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 ottobre

2019 dal Consigliere Dott. Cataldi Michele.

Fatto

RILEVATO

che:

1. L.R., titolare dell’omonima ditta individuale di costruzione di immobili, propone ricorso, affidato a cinque motivi, per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria regionale della Toscana, n. 1534/01/14, depositata in data 30 luglio 2014., che ha parzialmente accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Firenze, che aveva accolto il ricorso del predetto contribuente contro l’avviso con il quale l’Ufficio, relativamente all’anno d’imposta 2005, in materia di Irpef, Iva ed Irap, aveva accertato un maggior reddito d’impresa, un maggior valore della produzione netta ed un maggior imponibile Iva, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d); D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 25; e D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 5, a seguito della vendita a terzi di tre immobili ad un prezzo superiore a quello dichiarato nei recativi atti di trasferimento.

2.La CTP, con la sentenza di primo grado, aveva integralmente accolto i ricorso del contribuente.

La sentenza qui impugnata ha invece accolto l’appello dell’Ufficio limitatamente alla parte dell’accertamento relativa alle imposte dirette, mentre l’ha respinto per la parte attinente l’Iva.

3.L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso, contenente ricorso incidentale, affidato ad un solo motivo, ed ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.Con il primo motivo, formulato ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorrente principale assume la nullità della sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 1, nn. 2 e 3.

Assume infatti il ricorrente che la sentenza impugnata non menziona, neppure in maniera concisa, quali siano le circostanze di fatto e di diritto poste dall’Ufficio a fondamento della rettifica e degli stessi motivi d’appello; nè rappresenta quali siano state le difese dello stesso contribuente nel giudizio di merito.

Per effetto di tali omissioni, prosegue il ricorrente, non sarebbe comprensibile il senso della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui assume che l’Agenzia ha assolto al proprio onere probatorio, in quanto non consentirebbe di individuare quali siano gli elementi istruttori ritenuti sufficienti a supportare la pretesa impositiva. Inoltre, secondo il ricorrente, la motivazione sarebbe altresì contraddittoria, nella parte in cui ha invece ritenuto che lo stesso materiale non fosse sufficiente ad assolvere l’onere probatorio gravante sull’Ufficio relativamente all’accertamento in materia d’Iva, “che, in base alla più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, deve rispondere a criteri di maggior rigore”.

Il motivo è infondato.

Infatti, in tema di contenuto della sentenza, la “concisa esposizione dello svolgimento de processo” (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 1, n. 2) e le “richieste delle parti” (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 1, n. 3), non costituiscono un elemento meramente formale, bensì un requisito da apprezzarsi esclusivamente in funzione dell’intelligibilità della decisione e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, la cui assenza configura motivo di nullità della sentenza quando non sia possibile individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione (Cass., 20/01/2015, n. 920 del 20/01/2015).

Nel caso di specie, il ricorrente lamenta che dalle carenze della parte “narrativa” della sentenza deriverebbe l’impossibilità di individuare gli elementi oggettivi in ragione dei quali la pretesa impositiva dell’Amministrazione è stata ritenuta fondata relativamente all’Irpef ed all’Irap. Ma tale conclusione non può essere condivisa, atteso che la sentenza impugnata ha individuato esplicitamente tali elementi oggettivi e le relative fonti (“dichiarazioni di terzi, (…) ammontare delle provvigioni versate, (…) entità dei mutui concessi superiori al prezzo dichiarato”), sottolineando che l’Agenzia non si è “adagiata sui dati OMI”, ma ha fornito “ragionevoli indizi tali da rendere inattendibili i dati forniti dal contribuente, almeno per quanto attiene alle imposte sui redditi”.

Per quanto concisa, la decisione contiene comunque un diretto riferimento agli elementi oggettivi posti a base dell’accertamento e valutati dal giudice a quo, come è del resto confermato dallo stesso ricorso del contribuente, che nelle ulteriori censure, a diverso titolo, attinge puntualmente tale aspetto della decisione.

E’ poi inammissibile la censura della pretesa contraddizione della motivazione; relativamente all’affermazione che l’onere probatorio gravante sull’Ufficio, relativamente all’accertamento in materia d’Iva, “in base alla più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, deve rispondere a criteri di maggior rigore”.

Infatti, a versione, novellata da D.L. 22 giugno 2012, n. 83, dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis, non contempla il vizio di motivazione contraddittoria.

Inoltre, nel caso di specie, la contraddizione avrebbe eventualmente rilevanza in termini di eventuale violazione o falsa applicazione delle norme che disciplinano l’accertamento in materia d’Iva.

E comunque il ricorrente, atteso che il relativo capo di sentenza si è risolto in suo vantaggio, avendo la CTR rigettato in parte qua l’appello, non ha interesse a sollevare in questa sede la questione.

2.Con il secondo motivo, formulato ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorrente principale assume la nullità della sentenza impugnata per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, assumendo di aver eccepito, nelle controdeduzioni rese in fase di appello, la violazione del principio del contraddittorio preventivo, relativamente alla fase di acquisizione delle risultanze istruttorie, ed in particolare delle dichiarazioni dei terzi, raccolte senza che il contribuente potesse dedurre alcunchè.

3.Con il terzo motivo, formulato ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente principale assume l’erroneità della sentenza d’appello che ha confermato l’accertamento impugnato nonostante la violazione del contraddittorio endoprocedimentale di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 1, oltre che alla Carta di Nizza, art. 41, comma 2, lett. a) e art. 6 T.U.E..

3.1. I due motivi vanno trattati congiuntamente, per la loro

connessione, se non proprio identità sostanziale, atteso che anche nel terzo motivo la violazione del contraddittorio preventivo è espressamente riferito “agli elementi istruttori acquisiti dallo stesso ente impositore nella fase dell’istruttoria amministrativa”.

Essi, inoltre, vanno circoscritti all’esame dell’accertamento in materia di Irpef ed Irap, unico rispetto al quale si configura la soccombenza del contribuente e, quindi, l’interesse ad impugnare di quest’ultimo.

La controricorrente ha eccepito l’infondatezza de motivo, non sussistendo l’obbligo della CTR di decidere sull’eccezione, che non era stata proposta già in primo grado dal contribuente e violava pertanto il divieto di nuove domande ed eccezioni di cui al D.P.R. n. 546 del 1992, art. 57.

L’eccezione della controricorrente è fondata, nel senso che il motivo (così come circoscritto) è inammissibile, atteso che il ricorrente deduce di aver eccepito la medesima questione nelle proprie controdeduzioni in appello, ma non allega, come era suo onere (cfr. Cass. 19/03/2007, n. 6361; Cass. 04/07/2014, n. 15367), di averla proposta altresì già in primo grado, come necessario per le eccezioni in senso stretto, attinenti ad un vizio d’invalidità dell’atto tributario (cfr. Cass. 22/09/2017, n. 22105).

E, come già ritenuto da questa Corte, l’omessa pronuncia, qualora abbia ad oggetto una domanda inammissibile, non costituisce vizio della sentenza e non rileva nemmeno come motivo di ricorso per cassazione, in quanto, alla proposizione di una tale domanda, non Consegue l’obbligo del giudice di pronunciarsi nel merito (Cass. 25/09/2018, n. 22784).

Peraltro i medesimi motivi, come ante circoscritti, sono altresì infondati.

Infatti, – deve rilevarsi che, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste, in generale, per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti in materia di contributi non “armonizzati” ed assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. “a tavolino” (cfr. Cass., Sez. U., 09/12/2015, n. 24823).

Esula, necessariamente, da tale conclusione ogni considerazione relativa invece alla rilevanza del contraddittorio endoprocedimentale in materia di accertamento avente ad oggetto l’Iva, trattandosi di questione che esorbita dall’ammissibile ricorso principale de contribuente, integralmente vittorioso nel relativo capo della sentenza.

4.Con il quarto motivo, formulato ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il ricorrente principale assume l’erroneità della sentenza d’appello per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti.

5.Con il quinto motivo, formulato ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente principale assume l’erroneità della sentenza d’appello per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e del principio generale di ripartizione dell’onere probatorio.

5.1. I due motivi sono tra loro strettamente connessi, vanno trattati congiuntamente e sono inammissibili, nella parte in cui si sostanziano nella richiesta di una rivalutazione in fatto delle risultanze già esaminate dal giudice a quo, per giungere alla diversa conclusione di merito auspicata dal ricorrente, ciò che non è consentito in questa sede di legittimità, neppure ai sensi della versione (novellata dal D.L. n. 83 del 2012) dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis.

Invero, fatta eccezione per quanto infra si dirà a proposito della congruità della ditta del contribuente rispetto agli studi di settore, il ricorrente non evidenzia fatti che la CTR abbia omesso di esaminare, ma ripropone elementi istruttori- le dichiarazioni di terzi, l’ammontare delle provvigioni per le intermediazioni immobiliari e dei mutui erogati agli acquirenti- che già sono stati espressamente posti dallo stesso giudice a quo a fondamento della decisione impugnata, come risulta dalla motivazione, sia pur stringata, che la correda.

Il quarto ed il quinto motivo sono invece ammissibili con riferimento alla congruità e coerenza delle risultanze degli studi di settore, rispetto ai ricavi dichiarati dal contribuente. Si tratta di una circostanza la cui legittima appartenenza al thema decidendum del giudizio di merito non è contestata dalla controricorrente, ed il ricorrente, ne riproporla in questa sede, ha altresì trascritto quella parte delle proprie controdeduzioni in appello nella quale si dava atto dell’allegazione di documentazione al riguardo.

La motivazione della sentenza impugnata non ha dato conto dell’esame di tale dato, la cui rilevanza, nel contesto della fattispecie controversa, non può tuttavia ritenersi decisivo, poichè questa Corte ha già chiarito che gli studi di settore costituiscono, come si evince dal D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 sexies, convertito dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427, solo uno degli strumenti utilizzabili dall’Amministrazione finanziaria per accertare in via induttiva, pur in presenza di una contabilità formalmente regolare, ma intrinsecamente inattendibile, il reddito reale del contribuente: tale accertamento, infatti, può essere presuntivamente condotto anche sulla base del riscontro di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, a prescindere, quindi, dalle risultanze degli specifici studi di settore e dalla conformità alle stesse dei ricavi aziendali dichiarati (Cass. 24/09/2014, n. 20060; conforme Cass. 17/03/2017, n. 6951).

6.Con l’unico motivo di ricorso incidentale, formulato ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Ufficio assume l’erroneità della sentenza d’appello per violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 e dell’art. 2697 c.c., per avere la CTR rigettato il suo appello, avendo ritenuto non assolto l’onere probatorio gravante sull’Ufficio, relativamente all’accertamento in materia d’Iva, “che, in base alla più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, deve rispondere a criteri di maggior rigore”.

L’argomentazione della CTR sui punto non può essere condivisa, in quanto priva – sia nell’enunciazione astratta che nella sussunzione della fattispecie controversa- di riferimento a qualsiasi parametro normativo o principio giurisprudenziale identificabile che, in tema di accertamento induttivo, sostenga la pretesa differenza in termini di un diverso “rigore” tra le imposte sui redditi e quella sul valore aggiunto. Nè, peraltro, la predetta motivazione consente di individuare quale sia il contenuto specifico di tale maggior “rigore”, non chiarendo neppure se la CTR lo abbia inteso in senso sostanziale o anche di garanzie formali.

Il motivo va quindi accolto e la sentenza impugnata va cassata in parte qua, con rimessione necessaria della causa alla CTR affinchè proceda a nuovo giudizio relativamente all’accertamento in materia d’Iva, tenendo conto di ogni questione, relativa a tate parte dell’atto impositivo, che, già ritualmente proposta, è rimasta assorbita dalla generica decisione cassata.

PQM

Rigetta il ricorso principale;

accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione Tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 20 dicembre 2019

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