Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3421 del 12/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 12/02/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 12/02/2020), n.3421

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. TINARELLI FUOCHI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

Dott. CATALOZZI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9025/2013 R.G. proposto da:

P.A. (C.F. (OMISSIS)), in qualità di titolare dell’impresa

individuale ABAR DI P.A., rappresentato e difeso dall’Avv.

MOSCHETTI FRANCESCO e dall’Avv. Prof. D’AYALA VALVA FRANCESCO,

elettivamente domiciliato presso quest’ultimo, in Roma, Viale

Parioli, 43;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi,

12;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto

n. 75/29/12, depositata il 2 ottobre 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11 dicembre

2019 dal Consigliere D’Aquino Filippo.

Fatto

RILEVATO

Che:

Il contribuente ha separatamente impugnato un avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2004, nonchè la successiva cartella di pagamento conseguente a iscrizione a ruolo a titolo provvisorio, per maggior reddito imponibile conseguente all’applicazione dello studio di settore TD32U;

che la CTP di Treviso, previa riunione dei ricorsi, ha accolto la domanda del contribuente e la CTR del Veneto, con sentenza in data 2 ottobre 2012, ha accolto l’appello dell’Ufficio, ritenendo legittimo l’atto impositivo, -fondato non sui dati parametrici degli studi di settore, bensì sulle risposte date dal contribuente a un questionario da lui compilato, sulla base dei cui elementi si è ritenendo corretto l’utilizzo da parte dell’Ufficio del cluster 33 relativo alle “imprese integrate con attività focalizzata nella riparazione (e) manutenzione” di macchinari; il giudice di appello ha, altresì, ritenuto insufficienti i rilievi a prova contraria allegati dal contribuente, i quali si sarebbero limitati a dedurre la inapplicabilità degli studi di settore al caso di specie;

che propone ricorso per cassazione parte contribuente affidato a quattro motivi, ulteriormente illustrati da memoria, resiste con controricorso l’Ufficio.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo si deduce nullità della sentenza in violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 4, nonchè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, nn. 2, 3 e 4, per mancanza nella sentenza impugnata dell’esposizione dei contenuti della sentenza di primo grado, dei motivi di appello e delle difese articolate da parte contribuente, anche nelle forme dell’appello incidentale quanto alle spese processuali; deduce, in particolare, il ricorrente come la impugnata non abbia adeguatamente illustrato la motivazione della sentenza di primo grado, la quale aveva analiticamente descritto – ai fini dell’annullamento dell’atto impositivo – l’attività di impresa del contribuente, circostanza che inciderebbe, unitamente alla mancata esposizione dei motivi di appello e delle difese del contribuente, sulla ricostruibilità dell’iter logico della sentenza impugnata;

che con il secondo motivo si deduce erroneo apprezzamento delle risultanze processuali in merito alla esistenza del contraddittorio preventivo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; deduce il ricorrente come la decisione impugnata sarebbe stata fondata sulle risultanze di un questionario redatto dal contribuente che non sarebbe stato acquisito agli atti di causa; deduce il ricorrente come tale documento non sarebbe stato prodotto in alcun elenco di documenti, circostanza riscontrabile da un atto proveniente dall’Ufficio di Segreteria del giudice di appello; al riguardo, il ricorrente deduce che il suddetto vizio cadrebbe sull’oggetto del giudizio, riguardante il contraddittorio preventivo, incidente sulla motivazione della sentenza e deducibile con il vizio di motivazione;

che con il terzo motivo si deduce erroneo apprezzamento delle risultanze processuali, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione a termini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, circa la accertata insufficienza delle difese del contribuente; deduce, in particolare, insufficienza della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui sono state rigettate le deduzioni di parte contribuente, deducendo insufficienza di motivazione in ordine alla accertata sussistenza di idonee presunzioni, nonchè insufficienza di motivazione nella parte in cui sono state rigettate le argomentazioni di parte contribuente, circostanza in relazione alla quale il ricorrente ripropone per specificità le deduzioni articolate in grado di appello;

che con il quarto motivo si deduce insufficienza della motiv ione a termini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione al rigetto dell’appello incidentale relativo alla regolamentazione delle spese di lite, laddove il giudice di appello non ha ritenuto che la materia fosse incerta, nè motivando in ordine al calcolo delle spese secondo una nota spese;

che il primo motivo di ricorso è infondato, posto che è principio consolidato quello secondo cui la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa non costituisce un elemento meramente formale, bensì un requisito da apprezzarsi esclusivamente in funzione dell’intelligibilità della decisione e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, la cui assenza configura motivo di nullità della sentenza quando non sia possibile individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione, ossia il thema decidendum e le ragioni poste a fondamento della decisione (Cass., Sez. VI, 18 aprile 2017, n. 9745; Cass., Sez. V, 22 settembre 2009, n. 13990); a ciò induce la novella legislativa che ha modificato l’originaria formulazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (“concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto e in diritto della decisione”), abrogando ogni riferimento allo svolgimento del processo, allo scopo di valorizzare non l’elemento formale dell’espressione grafica dello svolgimento annalistico dei fatti processuali, bensì il collegamento di tipo logico e funzionale tra l’indicazione in sentenza dei fatti di causa e le ragioni poste dal giudice a fondamento della decisione (Cass., Sez. V, 10 novembre 2010, n. 22845); nesso che non può cogliersi ove, ad esempio, la sentenza di merito faccia riferimento genericamente a una cartella di pagamento, senza indicazione della natura del carico tributario (Cass., Sez. VI, 20 gennaio 2015, n. 920), ovvero ove manchi la indicazione della res litigiosa e delle ragioni dell’annullamento del provvedimento amministrativo (Cass., Sez. IL 11 gennaio 2006, n. 216), ma non anche laddove, come nella specie, la sentenza impugnata dà adeguata contezza della causa incentrata sulla pregnanza degli elementi indiziari indotti da un controllo standardizzato e sulla corretta applicazione di uno specifico cluster di un determinato studio di settore;

che il secondo motivo è infondato quanto alla contestazione del contraddittorio preventivo, avendo il controricorrente riprodotto per specificità il ricorso del contribuente, nel quale si dava atto del corretto avvio del contraddittorio;

che il motivo è, ulteriormente, infondato quanto alla erronea valutazione da parte del giudice di appello di un questionario asseritamente mai prodotto in causa, costituendo tale vizio un errore percettivo, cadente su un fatto a termini dell’art. 395 c.p.c., n. 4, idoneo a costituire motivo di revocazione, riguardante una affermazione (la sussistenza di un questionario) in asserito contrasto con le evidenze di causa (Cass., Sez. H, 19 aprile 2013, n. 9637), laddove il vizio di motivazione è unicamente deducibile in relazione a errori che investano le tesi difensive e le argomentazioni delle parti come esposte negli atti di causa, costituendo in tal caso l’errore un errore di giudizio che concerne l’attività valutativa ed interpretativa del giudice (Cass., Sez. V, 22 marzo 2005, n. 6198; conf. Cass., Sez. I, 23 gennaio 2012, n. 836);

che il terzo motivo è inammissibile, in quanto non formulato nelle forme previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 pro tempore applicabile, essendo principio consolidato quello secondo cui l’attuale formulazione della disposizione normativa in oggetto richiede l’espressa indicazione del fatto storico, anche secondario, omesso dal giudice di appello, fatto che deve risultare anche solo dagli atti processuali, illustrandosi il momento e il luogo in cui quel fatto ha fatto ingresso nel processo, il momento in cui lo stesso abbia fatto ingresso nella discussione tra le parti, nonchè il carattere di decisività del fatto stesso, illustrando il ricorrente logicamente come l’esame di tale fato storico avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053);

che, in ogni caso, il motivo è inammissibile in quanto tende a giungere a una revisione del ragionamento decisorio del giudice del merito – incentrato sull’accertamento della idoneità degli elementi presuntivi allegati dall’Ufficio e della inidoneità di quelli allegati a prova contraria dal contribuente – invocandosi una rilettura del materiale probatorio; il che non costituisce propriamente controllo di logicità del giudizio, bensì revisione del ragionamento decisorio, ossia revisione dell’opzione che ha condotto il giudice del merito alla soluzione della questione esaminata, giudizio che impinge nel giudizio di fatto, precluso al giudice di legittimità (Cass., Sez. I, 5 agosto 2016, n. 16526);

che il quarto motivo è infondato, essendo la compensazione delle spese legata a un potere discrezionale del giudice del merito (Cass., Sez. VI, 26 aprile 2019, n. 11329);

che il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dal principio della soccombenza e raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, condanna P.A. al pagamento delle spese processuali in favore dell’AGENZIA DELLE ENTRATE, che liquida in complessivi Euro 4.100,00, oltre spese prenotate a debito; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento degli ulteriori importi a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per ciascuno dei ricorsi proposti, se dovuti.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 11 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2020

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