Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3421 del 12/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 12/02/2010, (ud. 13/01/2010, dep. 12/02/2010), n.3421

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20425-2005 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

Legis;

– ricorrenti –

contro

B.F.R. e C.A., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 1 presso lo studio

dell’Avvocato SIVIGLIA GIUSEPPE PIERO, rappresentati e difesi

dall’Avvocato SAMMARTINO SALVATORE giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 14/2005 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

di PALERMO, depositata il 15/04/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/01/2010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI GIACALONE;

udito per il ricorrente l’Avvocato dello Stato ALESSANDRO DE STEFANO,

che insiste nell’accoglimento del ricorso;

udito per il resistente l’Avvocato GIUSEPPE CIPOLLA, per delega

Avvocato SALVATORE SAMMARTINO, che ha chiesto il rigetto del ricorso

e comunque l’inammissibilità dello stesso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO RICCARDO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

I coniugi contribuenti sopra indicati impugnavano l’avviso di rettifica dell’imponibile dichiarato ai fini IRPEF ed ILOR per il 1995 – emesso dall’Ufficio finanziario sul presupposto della constatazione da parte della Guardia di Finanza, tra l’altro e per quanto ancora rileva, di ricavi non contabilizzati per L. 199.606761 e di costi non deducibili relativi a fatture per operazioni inesistenti per L. 35.340.000 lamentando la carenza di motivazione, in quanto richiamava per relationem i verbali della G.d.F., e la mancanza di verifica valutativa. La C.T.P. accoglieva il ricorso ed annullava l’atto impositivo, non avendo riscontrato irregolarità delle scritture e delle fatture, correttamente annotate e pagate; i fatti posti a base della rettifica circa le operazioni inesistenti, desunti da affermazioni dei rappresentanti delle ditte fornitrici e sulla mancanza di prodotti forniti nel 1995 e non rinvenuti nella verifica del 1996 costituivano presunzioni e non prove certe, precise e concordanti sull’inesistenza delle operazioni. La C.T.R., con la sentenza in epigrafe, respingeva l’appello dell’Ufficio, confermando che nell’atto impositivo, basato sulla presunzione di operazioni inesistenti e su situazioni di fatto genericamente affermate da soggetti terzi, non vi era alcun riferimento ad analisi o approfondimenti delle circostanze riportate nel p.v.c. nè traccia di eventuali riscontri dell’amministrazione volti a confermare l’operato dei militari, acriticamente riprodotto; le dichiarazioni raccolte, pur ammissibili, da sole avevano efficacia soltanto indiziaria e quindi di per sè ed isolatamente non erano idonee a determinare la legittimità dell’accertamento; in appello non erano emersi elementi nuovi tali da portare ad una riforma della sentenza. Avverso detta sentenza, ricorrono per cassazione il Ministero dell’Economia e l’Agenzia delle entrate con tre motivi. Gli intimati resistono con controricorso, sostenendo l’infondatezza del ricorso erariale, stante l’insussistenza dei vizi denunciati. Con il primo motivo, la parte erariale, denuncia nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4 in rel. all’art. 112 c.p.c., per avere la C.T.R. assolutamente omesso di pronunciarsi sull’esplicita censura in appello relativa all’omessa contabilizzazione di ricavi (di importo assai superiore a quello delle operazioni inesistenti). Con il secondo motivo, lamenta altro profilo di nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione, non potendosi da essa discernere i motivi del rigetto dell’appello. Con il terzo motivo, deduce violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 21, art. 2697 c.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 nonchè omessa e, comunque, insufficiente motivazione su punto decisivo, non avendo la C.T.R.: a. tenuto conto che gravava sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettività delle operazioni contestate; b. motivato circa decisivi elementi acquisiti al processo, quali le dichiarazioni delle ditte apparenti fornitrici in ordine all’inesistenza delle operazioni fatturate e l’indisponibilità, da parte loro, delle attrezzature necessarie per l’effettuazione di dette operazioni; c. fatto ricorso al potere di acquisizione di atti D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7, comma 3, ove avesse ritenuto necessario che fossero uniti agli atti i verbali della G.d.F.. E’ inammissibile il ricorso del Ministero, il quale non è stato parte del giudizio di appello. Il primo motivo del ricorso dell’Agenzia è fondato: dall’esposizione in fatto dell’impugnata sentenza emerge chiaramente che la parte erariale aveva lamentato in appello che, mentre l’accertamento era basato su tre distinti recuperi/ricavi non contabilizzati, costi non deducibili ed operazioni inesistenti, la sentenza di prime cure ha esaminato solo l’ultimo dei recuperi, pur annullando l’intero accertamento. Nella parte motiva della sentenza impugnata, invece, non vi è alcuna specifica statuizione su tale puntuale censura della parte appellante; nè una motivazione su di essa può desumersi – come pretendono le parti private in controricorso – dal riferimento alla ritenuta carenza di adeguata motivazione dell’avviso di accertamento, in quanto tale argomentazione – anche ove possa essere riferita alla censura in esame – non si sottrarrebbe al vizio di genericità ed assoluta apparenza lamentato nel secondo motivo. Anche la seconda e la terza censura – che possono essere trattate congiuntamente, riguardando entrambe la ritenuta infondatezza dell’accertamento – sono fondate nei termini di seguito precisati. Anzitutto, la sentenza impugnata si rivela priva dell’esposizione dei motivi in diritto su cui essa si fonda e l’adesione alle tesi dei contribuenti è solo genericamente ed apparentemente motivata, non consentendo di ripercorrere l’iter logico compiuto dalla C.T.R. (sui presupposti della nullità, nell’ipotesi, delle sentenze delle C.T.R., si veda Cass. 12542/01); la motivazione mostra, nel suo insieme, un’obiettiva deficienza del criterio logico, che ha condotto il giudice d’appello alla formazione del proprio convincimento (Cass. n. 2109/99; 10396/98; 914/96). Invero, nell’impugnata sentenza, l’esigenza di una congrua e corretta motivazione non è stata soddisfatta, per quanto attiene alla questione decisiva della controversia (punto “b” del terzo motivo) relativo alla sussistenza dei presupposti per l’accertamento induttivo, essendosi la Commissione limitata a negare l’esistenza di riscontri adeguati in ordine alle verifiche operate presso i fornitori e i contribuenti, senza specificare nè scendere all’esame di ognuno degli elementi addotti dall’amministrazione e richiamati in appello, per accertare se gli stessi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento. Va, inoltre, sottolineato che diversamente da quanto mostra di ritenere la C.T.R. in rapporto alle dichiarazioni di terzi, reputato unico elemento indiziario – la concordanza degli elementi presuntivi è effettivamente richiesto, dalla legge solo in previsione di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi (Cass. n. 19088/07, 16993/07, 4472/03, 979/03, 4406/99 e, specificamente in materia tributaria, Cass. 12060/02). Al riguardo, la C.T.R. ha omesso l’esame degli indizi, desumibili dalle verifiche della Finanza, riproposti in appello ed indicati in ricorso, quali le dichiarazioni dei titolari delle ditte che avevano emesso le fatture in ordine all’inesistenza delle operazioni in esse indicate e l’indisponibilità da parte delle stesse delle attrezzature necessarie ad effettuare dette operazioni. Inoltre, quanto al punto “a” del terzo motivo, la C.T.R. non ha fatto buon governo del consolidato orientamento di questa Corte secondo cui, in materia di accertamento dell’IVA, come delle imposte dirette, in ipotesi di fatture che l’amministrazione ritenga relative ad operazioni inesistenti, grava su di essa l’onere di provare che le operazioni, oggetto delle fatture, in realtà non sono state mai poste in essere. Ma, se l’amministrazione fornisca validi elementi, anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti – alla stregua del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d o quanto all’IVA ex d.p.r. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2 – per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni di tal fatta, passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate (per le imposte dirette, v. Cass. 18 gennaio 2008 n. 1023; riguardo all’IVA, v. Cass. 11 giugno 2008 n. 15395; 7 febbraio 2008 n. 2847; 19 ottobre 2007 n. 21953; 16 settembre 2003 n. 13605). La questione del riparto dell’onere probatorio sulla detraibilità delle fatture per operazioni inesistenti va, infatti, inevitabilmente affrontata nell’ambito delle presunzioni, non essendo possibile, se non in via induttiva, fornire la prova dell’inesistenza di un fatto. Deve perciò ribadirsi che, una volta assurti gli elementi forniti dalla parte erariale, unitariamente considerati, ad effettiva valenza probatoria, viene per ciò stesso a ricadere sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni (Cass., 5A, 19109/2005, 4046/2007, nonchè 21953/2007 e 15395/08). Pertanto, va ribadito il principio secondo cui, “in tema di accertamento induttivo dei redditi d’impresa, consentito dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d) sulla base del controllo delle scritture e delle registrazioni contabili, l’atto di rettifica, qualora l’ufficio abbia sufficientemente motivato, sia specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio, sia dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, è assistito da presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori, nel senso che null’altro l’ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, senza che sia sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili, perchè proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni inesistenti o di valore di gran lunga eccedente quello effettivo” (Cass. 16 gennaio 2009 n. 951). Il giudice di rinvio dovrà, quindi, procedere a nuovo e motivato esame delle “riprese” relative sia ai ricavi non contabilizzati, sia ai costi non deducibili perchè riferibili ad operazioni inesistenti, valutando in modo più approfondito i richiamati elementi obiettivi, sulla base predetti principi sulla ripartizione dell’onere della prova. La sentenza impugnata va, pertanto, cassata con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della stessa C.T.R..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero. Accoglie il ricorso dell’Agenzia. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della C.T.R. Sicilia. Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2010. Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2010

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