Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3421 del 03/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 03/02/2022, (ud. 01/12/2021, dep. 03/02/2022), n.3421

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14850-2016 proposto da:

G.S.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

VATICANO 45, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO GABRIELLI,

rappresentata e difesa dall’avvocato SALVATORE GIGLIOTTI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e

quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. Società di Cartolarizzazione

dei Crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE

BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,

rappresentati e difesi dagli avvocati CARLA D’ALOISIO, ANTONINO

SGROI, EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO, GIUSEPPE MATANO, ESTER ADA

SCIPLINO;

– resistenti con mandato –

e contro

EQUITALIA E.T.R. S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1396/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 15/12/2015 R.G.N. 498/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

01/12/2021 dal Consigliere Dott. CALAFIORE DANIELA.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

con sentenza n. 1396 del 2015, la Corte d’appello di Catanzaro ha rigettato l’impugnazione proposta da G.L.S. avverso la sentenza di primo grado con la quale era stata rigettata l’opposizione a due cartelle esattoriali proposta dalla stessa G. per fare accertare l’insussistenza delle pretese contributive avanzate dall’INPS a seguito del verbale ispettivo del 6 febbraio 2002, con il quale era stata contestata la mancata iscrizione negli elenchi IVS commercianti per il periodo 1997- 30 settembre 2001 del coniuge F.G., che era stato ritenuto collaboratore nell’azienda facente capo alla G.;

la Corte territoriale, ha ribadito che, fermo restando l’onere probatorio a carico dell’INPS, il valore probatorio dei verbali ispettivi e degli accertamenti condotti dagli ispettori sulla documentazione acquisita in quella sede, era stato legittimamente ritenuto idoneo a provare i crediti perché era stato valutato liberamente e tenendo conto dei motivi della proposta opposizione a cartella;

tali motivi erano stati ampiamente disattesi dalla sentenza di primo grado che andava confermata in quanto il contenuto del verbale era stato corroborato dalla dichiarazione della stessa G. (relativa al fatto che il marito si occupava di servire ai tavoli, che non erano mai stati assunti dipendenti mentre lei si occupava della cucina) e dalla documentazione acquisita in sede ispettiva;

la Corte territoriale ha pure dichiarato inammissibile la prova per testi richiesta in quanto generica e non formulata in capitoli ed ha ritenuto che l’art. 1, comma 203, L. n. 662 del 1996 lett. a) non prevede, al fine dell’obbligo di assicurazione, che debbano sussistere i requisiti dell’abitualità e della prevalenza anche per i titolari, gestori e familiari coadiutori (come era il Falletti), così superandosi la tesi difensiva che la parte aveva sostenuto sulla assenza dei caratteri della prevalenza ed abitualità dell’attività svolta dal F. che svolgeva con tali caratteri l’attività di intermediario di commercio;

avverso tale sentenza ricorre G.S.L. sulla base di due motivi;

l’INPS ha rilasciato procura in calce alla copia notificata del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

con il primo motivo, si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e s.s. c.c., dell’art. 2730 e s.s. c.c., dell’art. 115 e s.s., artt. 228,229 c.p.c. e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che ha formato oggetto di discussione tra le parti ed in particolare si sostiene che in realtà non sarebbe mai stata acquisita agli atti la dichiarazione confessoria della Gentili, per cui le affermazioni della sentenza impugnata sarebbero prive di fondamento;

con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 e s.s. c.c., artt. 112 e 115 e s.s. c.p.c., L. n. 160 del 1975, art. 29 come sost. Dalla L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 203, L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 202, 208 ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in ragione del fatto che la sentenza aveva inquadrato l’attività del F. nella L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 203, lett. a) anche se era del tutto pacifico che la titolare dell’azienda fosse la G. ed il marito non era preposto ad alcun punto vendita;

va esaminato per primo il secondo motivo, in quanto pone la questione della corretta interpretazione della disposizione attraverso la quale viene fissato l’obbligo assicurativo di cui si discute e che quindi individua la concreta fattispecie alla quale la disposizione si riferisce;

il motivo è fondato non essendo corretta l’interpretazione fornita dalla Corte della L. n. 613 del 1966, art. 2;

questa Corte di cassazione (vedi Cass. 1684 del 2021) ha avuto modo di affermare che la L. n. 613 del 1966, art. 2 (a norma del quale “si considerano familiari coadiutori il coniuge, i figli legittimi o legittimati ed i nipoti in linea diretta, gli ascendenti, i fratelli e le sorelle, che partecipano al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza, sempreché per tale attività non siano soggetti all’assicurazione generale obbligatoria in qualità di lavoratori dipendenti o di apprendisti”), va interpretato nel senso che l’obbligo di iscrizione per il familiare coadiutore sussiste allorché la sua prestazione lavorativa sia abituale, in quanto svolta con continuità e stabilmente e non in via straordinaria od eccezionale (ancorché non sia necessaria la presenza quotidiana ed ininterrotta sul luogo di lavoro, essendo sufficiente escluderne l’occasionalità, la transitorietà o la saltuarietà) e prevalente, in quanto resa, sotto il profilo temporale, per un tempo maggiore rispetto ad altre occupazioni del lavoratore (così Cass. n. 9873 del 2014), restando conseguentemente esclusa ogni valutazione concernente la prevalenza del suo apporto rispetto agli altri occupati nell’azienda, siano essi lavoratori autonomi o dipendenti;

l’accoglimento del secondo motivo che è relativo alla corretta interpretazione della disposizione che fonda l’obbligo, assorbe le questioni relative al concreto accertamento che va effettuato in sede di rinvio;

la sentenza impugnata va, quindi, cassata con rinvio alla Corte d’appello di Catanzaro in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso, assorbito il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d”appello di Catanzaro in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 1 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2022

 

 

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