Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34202 del 20/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 20/12/2019, (ud. 10/10/2019, dep. 20/12/2019), n.34202

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5144-2012 proposto da:

M.R.J., elettivamente domiciliato in ROMA VIA GREGORIO

VII 466, presso lo studio dell’avvocato VITTORIO GLAUCO EBNER, che

lo rappresenta e difende giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 131/2011 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 14/10/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/10/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IMMACOLATA ZENO che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

rigetto del ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato DE BONIS che ha chiesto

l’inammissibilità in subordine rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.R.J. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 131/49/2011, depositata il 14.10.2011 dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia, con la quale, in riforma della pronuncia di primo grado, erano stati in gran parte confermati gli avvisi di accertamento notificati al ricorrente dall’Amministrazione finanziaria, che aveva accertato redditi imponibili, ai fini Irpef ed Irap, e volumi d’affari, ai fini Iva, relativi agli anni d’imposta dal 2000 al 2006, per i quali il contribuente aveva del tutto omesso la presentazione delle dichiarazioni fiscali.

Ha riferito che il contenzioso traeva origine da una verifica condotta nel 2007 dalla GdF di (OMISSIS), sulla presunzione della residenza fiscale e della qualifica di imprenditore commerciale attribuita al ricorrente.

L’Agenzia delle entrate, sulla base delle risultanze emergenti dal processo verbale di constatazione, redatta a conclusione della verifica condotta ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, e mediante la raccolta di elementi indiziari, aveva notificato gli atti impositivi, recuperando per ciascun anno svariati milioni di Euro a titolo di imposte dirette ed Iva.

Il M., contestando sia la propria residenza fiscale in Italia, sia la qualifica di imprenditore commerciale, aveva proposto distinti ricorsi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano, che, previa loro riunione, li aveva accolti con sentenza 59/25/2010. Il giudice di primo grado aveva affermato che sul contenzioso incidesse una precedente decisione, relativa al 2000 e passata in giudicato, che aveva ritenuto il contribuente privo di residenza fiscale in Italia.

L’Agenzia aveva impugnato la sentenza dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, che con la pronuncia ora censurata aveva accolto l’appello. Il giudice regionale ha escluso che la precedente statuizione avesse forza di giudicato sul presente contenzioso. Nel merito, riconoscendo sia il domicilio fiscale italiano del M., sia la sua qualifica di imprenditore commerciale, ha riconosciuto il fondamento degli atti impositivi, che sono stati pertanto confermati con la sola esclusione di alcune voci dagli imponibili.

Il M. censura la sentenza con quattro motivi:

con il primo per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonchè per omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa pronuncia sull’eccezione di inammissibilità dell’appello dell’Ufficio, carente della specificità dei motivi di impugnazione, riguardo alla quantificazione dei redditi per gli anni d’imposta;

con il secondo per violazione e falsa applicazione degli artt. 43 e 2909 c.c., dell’art. 324 c.p.c., del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè per omesso esame di documenti decisivi prodotti dal contribuente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e ancora per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per l’erronea decisione assunta dal giudice regionale in merito al riconosciuto domicilio fiscale del M. in Italia;

con il terzo per violazione e falsa applicazione dell’art. 2082 c.c., del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 51 e 73, comma 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 32,37,41, del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 24 e 25, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 4,51,55, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè per omesso esame di documenti decisivi prodotti dal contribuente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e ancora per omessa o contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per l’erronea decisione adottata dal giudice regionale in merito alla riconosciuta qualifica di imprenditore commerciale del M.;

con il quarto per violazione e falsa applicazione dell’art. 2727 c.c., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54 e 55, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè per omesso esame di documenti decisivi prodotti dal contribuente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e ancora per omessa motivazione su fatti decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per l’omesso esame delle eccezioni sollevate in primo grado relativamente alla carenza di motivazione degli avvisi di accertamento e alla quantificazione degli importi ripresi a tassazione per ciascuna annualità.

Ha pertanto chiesto la declaratoria di inammissibilità dell’appello, in subordine la cassazione della decisione con ogni consequenziale provvedimento.

Si è costituita l’Agenzia, contestando i motivi di ricorso, di cui ha chiesto il rigetto.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

E’ infondato, quando non inammissibile, il primo motivo, con il quale sotto i profili dell’error iuris in procedendo e del vizio motivazionale si censura la sentenza per non essersi pronunciata sulla eccezione di inammissibilità dell’appello viziato dalla carente specificità dei motivi di impugnazione.

A parte che esso sfiora l’inammissibilità perchè dai passaggi delle controdeduzioni riprodotti si evince solo che il contribuente si sia limitato a denunciare la scarsa chiarezza dei motivi sulle somme contestate, in ogni caso questa Corte ha chiarito, con orientamento ormai consolidato, che il mancato esame da parte del giudice di una questione processuale non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, che si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito (cfr. Cass., n. 321/2016; 22952/2015).

Peraltro, tenendo in ogni caso conto dell’unica ragione per cui il giudice di primo grado aveva ritenuto fondati i ricorsi introduttivi del contribuente (l’affermata esistenza di un giudicato relativo alla assenza di residenza fiscale del M. in Italia), proprio il contenuto della sentenza d’appello confuta la denunciata omissione perchè da essa si evince che il giudice non solo si sia soffermato a lungo sulle principali questioni controverse, ovviamente riconducibili alla censura delle motivazioni della sentenza impugnata, ma abbia esaminato le questioni relative all’imponibile recuperato dall’Ufficio per ogni singola annualità, escludendo alcune voci e così riducendo le originarie pretese fiscali dell’Amministrazione finanziaria, il che implica che la Commissione regionale abbia implicitamente ritenuto esente da vizi l’atto d’appello.

Trova accoglimento nei limiti dell’accertamento per l’anno d’imposta 2000 il secondo motivo, con il quale sotto i profili, non propriamente tenuti distinti, dei vizi di legge e della carenza motivazionale, il contribuente ha lamentato che la decisione assunta dal giudice regionale abbia errato riconoscendo il domicilio fiscale del M. in Italia.

Deve innanzitutto respingersi l’assunto secondo cui la sentenza sia errata sul piano della violazione del giudicato esterno, se non nei limiti dell’anno d’imposta 2000 e con talune puntualizzazioni.

Costituisce intanto principio reiterato quello secondo cui, in materia tributaria, l’effetto vincolante del giudicato esterno in relazione ad imposte, anche solo astrattamente periodiche, deve essere riconosciuto nei casi in cui vengano in esame fatti che per legge hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta, o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata (cfr. Cass., sent. n. 21395 del 2017; 32254/2018).

Nel caso di specie la circostanza che la sentenza n. 92/27/2009, emessa dalla Commissione regionale lombarda, passata in giudicato e relativa a controversia sull’Irpef per l’anno d’imposta 2000, con la quale si è negata la “residenza” dell’odierno ricorrente, già di per sè costituirebbe solo un accertamento su un fatto che è inidoneo ad effetti espansivi su ulteriori anni d’imposta. Ciò perchè la residenza fiscale è un requisito soggettivo del rapporto giuridico d’imposta, privo però per sua natura di effetti permanenti o pluriennali, trattandosi di condizione soggettiva del contribuente annualmente variabile, potendo acquisirsi la residenza fiscale che in precedenza non si aveva, e viceversa.

Essa al più potrebbe spiegare effetti, una volta accertata con efficacia di giudicato, quanto ad altre imposte relative alla medesima annualità, trattandosi di un presupposto logico afferente all’assoggettabilità soggettiva del contribuente agli obblighi fiscali nel territorio nazionale.

Ciò chiarito, la sentenza ora al vaglio della Corte ha negato gli effetti del giudicato alla sentenza n. 92/27/2009 del giudice regionale, sostenendo che con essa si era esclusa la residenza (evidentemente anagrafica) del M., non il domicilio fiscale.

Il ricorrente assume che vi sia stata una erronea interpretazione del contenuto della decisione invocata, facendo essa riferimento non alla residenza anagrafica, ma a quella fiscale. Questa interpretazione è l’unica possibile sul piano logico, posto che la circostanza che quel giudice abbia ritenuto di escludere gli obblighi fiscali del ricorrente non poteva certo ricondursi alla mera rilevazione della residenza anagrafica americana del M., bensì alla assenza di quella fiscale. Entro questi limiti la sentenza va pertanto cassata.

Queste conclusioni vanno tuttavia circoscritte all’anno 2000, mentre non incidono sugli altri sei anni d’imposta.

La sentenza impugnata, con lunga motivazione, ha esaminato gli indizi raccolti a conferma della esistenza del domicilio fiscale del M. in Italia, riconoscendone il fondamento.

Nella lunga esposizione del motivo di ricorso, con cui è contestato il procedimento logico e le conclusioni del giudice regionale, la difesa del contribuente ha denunciato la genericità del rinvio dell’Amministrazione ai risultati della verifica condotta dalla Guardia di Finanza lombarda, ed ha sostenuto che la Commissione regionale avrebbe omesso di valutazione tutta la documentazione allegata a contrasto degli elementi indiziari raccolti in sede di verifica, fatti propri dall’Ufficio e valorizzati dal giudice d’appello.

E’ intanto non pertinente la censura sull’acritico rinvio dell’Amministrazione alle risultanze della verifica della GdF, posto che il giudizio di legittimità è giudizio critico sulla sentenza, e tenuto comunque conto che in tema di avviso di accertamento la motivazione per relationem, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare un’economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratti di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (Cass., 30560/2017; 32957/2018).

Quanto alla critica rivolta alla decisione per aver ritenuto che il M. aveva in Italia l’effettiva residenza fiscale, sotto i profili dell’erronea interpretazione delle norme, della contraddittorietà della motivazione, e della carente valutazione della documentazione addotta dal ricorrente, essa risulta del tutto infondata.

Va premesso che ai fini dell’individuazione della residenza fiscale del contribuente si fa riferimento al centro degli affari e degli interessi vitali dello stesso, dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi è esercitata abitualmente in modo riconoscibile dai terzi, non rivestendo ruolo prioritario, invece, le relazioni affettive e familiari, le quali rilevano solo unitamente ad altri criteri attestanti univocamente il luogo col quale il soggetto ha il più stretto collegamento (cfr. Cass., n. 32992/2018).

La lettura della motivazione sulla questione, sviluppata per cinque pagine, rivela innanzitutto che si tratta di un accertamento indiziario, con il quale sono stati analiticamente esaminati una molteplicità di elementi, quali rapporti bancari, utenze telefoniche, dichiarazioni di terzi, riscontri di intercettazioni, rapporti familiari, frequentazioni nel territorio nazionale, verifiche relative all’utilizzo della abitazione italiana.

Sulle concrete modalità di utilizzo e valorizzazione delle prove indiziarie deve premettersi che compete alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione nomofilattica, il controllo della corretta applicazione dei principi contenuti nell’art. 2729 c.c., alla fattispecie concreta, poichè se è devoluto al giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 c.c., per valorizzare gli elementi di fatto quale fonte di presunzione, tale giudizio è soggetto al controllo di legittimità se risulti che, nel violare i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice non abbia fatto buon uso del materiale indiziario disponibile, negando o attribuendo valore a singoli elementi, senza una valutazione di sintesi (cfr. Cass., ord. n. 10973/2017, Cass., sent. n. 1715/2007).

Peraltro, ai fini dell’utilizzo degli indizi, la gravità e precisione degli stessi permette di acquisire una prova presuntiva, che, anche sola, è sufficiente nel processo tributario a sostenere i fatti fiscalmente rilevanti accertarti dalla amministrazione (Cass., sent. n. 1575/2007).

La giurisprudenza di legittimità ha peraltro tracciato il corretto procedimento logico del giudice di merito nella valutazione degli indizi, in particolare affermando che la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno ricavati dal loro complessivo esame, in un giudizio globale e non atomistico di essi (ciascuno dei quali può essere insufficiente), ancorchè preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perchè è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza e ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento (tra le più recenti cfr. Cass., sent. n. 12002/2017; Cass., ord. n. 5374/2017). Ciò che rileva, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità, non necessariamente certe, è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, salvo l’ampio diritto del contribuente a fornire la prova contraria.

Ebbene, l’accertamento indiziario eseguito dal giudice regionale è stato fondato sull’esame di un numero rilevantissimo di elementi, valutati nel loro insieme senza salti logici, sicchè non emergono dubbi sul corretto governo della prova presuntiva.

La critica mossa dal contribuente, secondo cui la decisione è stata fondata esclusivamente sugli elementi allegati dall’Amministrazione, senza tener conto delle contrapposte tesi sostenute dagli elementi rappresentati dal M., si infrange sul dato testuale della sentenza, che con certosina analiticità riporta per ben due pagine tutti gli elementi, i dati e le ragioni della difesa del contribuente, mostrando dunque di conoscerne bene le contrapposte allegazioni, ritenute però evidentemente recessive rispetto all’impianto probatorio offerto dall’Amministrazione.

E’ appena il caso di evidenziare inoltre che l’affermazione secondo cui gli elementi raccolti riguarderebbero solo due annualità d’imposta (2005 e 2006), mentre non vi sarebbero elementi idonei a provare il domicilio fiscale per le altre annualità, è contestazione priva di pregio, perchè solo alcuni degli elementi raccolti (ad esempio quelli inerenti le intercettazioni telefoniche o la rilevazione che i contatti telefonici fossero tutti dal territorio italiano) riguardano periodi più circoscritti, mentre tutti gli altri spaziano sull’intero arco temporale interessato agli accertamenti, e comunque è la valutazione complessiva degli elementi a investire tutte le annualità fiscali esaminate (con i limiti evidenziati per il 2000).

Le conclusioni non mutano se il motivo d’appello lo si esamina sotto il profilo del vizio motivazionale, pur sollevato, tenendo conto che in materia di vizio di motivazione la Corte ha affermato che la sua deduzione non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (Cfr. Cass., Sez. 5, ord. n. 19547/2017; sent. n. 17477/2007).

Nel caso di specie la motivazione è esente da salti logici o da errori materiali, ed è corretta nella sequenzialità dei passaggi argomentativi. In conclusione la censura va rigettata anche sotto questo profilo.

Parimenti infondato è il terzo motivo, con il quale il ricorrente si duole dell’errore di diritto, dell’errore processuale, nonchè del vizio motivazionale, relativamente all’erronea decisione adottata dal giudice regionale in merito alla riconosciuta qualifica di imprenditore commerciale dei M..

Deve premettersi che la nozione tributaristica di esercizio di imprese commerciali non coincide con quella civilistica, ad es. in materia di iva, tant’è che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, intende come tale l’esercizio per professione abituale, ancorchè non esclusiva, delle attività indicate dall’art. 2195 c.c., nonchè delle attività indicate nell’art. 2135 c.c., anche se non organizzate in forma di impresa, prescindendo dal requisito organizzativo, che costituisce invece elemento qualificante ed indispensabile per la configurazione dell’impresa commerciale agli effetti civilistici (Cass., sent. n. 20443/2011).

Ciò chiarito, così come per il domicilio fiscale, anche per il riconoscimento della qualifica di imprenditore commerciale in capo al M. il giudice d’appello ha esaminato una molteplicità di indizi, concludendo in senso affermativo. Per circa sei pagine la sentenza esamina i numerosi elementi raccolti in sede di verifica e poi ricondotti nel corpo degli atti impositivi. Sono state esaminate le dichiarazioni dei terzi, il numero di conti correnti e le relative movimentazioni; la presenza di una molteplicità di società aventi tutte sede in (OMISSIS), gli elementi da cui evincere il ruolo concreto del ricorrente in alcune società, molte delle quali sedenti in paradisi fiscali e il cui unico soggetto che appariva nei rapporti con terzi si identificava con il M.; le procure ad agire conferite formalmente al contribuente da parte di società che in alcun altro modo si epifanizzavano nei rapporti commerciali; le capacità organizzative e la riferibilità di precise scelte decisionali che si riconducevano esclusivamente alla sua persona; il ruolo spiccato di consigliere ricoperto nella Porto di Lavagna s.p.a.

Fermi i principi già espressi in tema di governo delle prove presuntive e di oneri di motivazione del giudice di merito, la Commissione tributaria regionale ha correttamente valutato gli elementi che deponevano a favore della prospettazione ricostruttiva sostenuta dall’Amministrazione, senza tentennamenti, salti logici o errori materiali. Il motivo va in conclusione rigettato.

Con il quarto motivo il ricorrente si duole dell’error iuris in iudicando e in procedendo nonchè del vizio motivazionale della sentenza per l’omesso esame delle eccezioni sollevate in primo grado relativamente alla carenza di motivazione degli avvisi di accertamento in ordine alla quantificazione degli importi ripresi a tassazione per ciascuna annualità.

Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, perchè non è riprodotto, nè si indica in quale atto del giudizio di primo grado la questione fosse stata sollevata.

Quanto poi alle critiche mosse alla sentenza relativamente alla infondatezza degli avvisi di accertamento e alla determinazione degli imponibili, a parte che anche sotto questo profilo il ricorso sfiora l’inammissibilità per carenza di autosufficienza, non essendovi indicazioni del se e dove la questione sia stata sollevata con il ricorso introduttivo, in ogni caso nel merito le lunghe pagine dedicate dalla difesa alla censura sono sostanzialmente una riproduzione delle controdeduzioni d’appello, con cui si tenta una rivisitazione nel merito del giudizio, inibito dinanzi alla corte di legittimità. A margine, la sentenza d’appello dedica le ultime due pagine proprio all’esame delle determinazioni degli avvisi di accertamento, valutando gli imponibili sulla base soprattutto delle movimentazioni bancarie, ed escludendo taluni importi (anche consistenti se si considera l’anno d’imposta 2000), perchè ritenuti non riconducibili al M. o perchè costituenti errori materiali o duplicazioni.

Anche questo motivo va pertanto rigettato.

In conclusione il ricorso trova accoglimento limitatamente all’accertamento relativo all’anno d’imposta 2000, per il parziale accoglimento del secondo motivo. Va rigettato per il resto.

La sentenza deve essere pertanto cassata nei limiti di quanto accolto e, non essendovi necessità di accertamenti in fatto, dovendosi solo prendere atto dell’espansione del giudicato formatosi con la sentenza n. 92/27/2009, depositata dalla Commissione regionale della Lombardia il 3.07.2009, il ricorso introduttivo del M. va accolto, rispetto alle determinazioni della sentenza del giudice d’appello, con l’annullamento dell’intero avviso d’accertamento relativo all’anno 2000.

Le alterne decisioni nei gradi di merito e la complessità della vicenda giustifica la compensazione delle spese processuali del giudizio di legittimità e dei gradi di merito.

P.Q.M.

La Corte accoglie parzialmente il secondo motivo, nei limiti di quanto esposto in motivazione; rigetta gli altri. Cassa la sentenza limitatamente al motivo parzialmente accolto e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo avverso l’avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2000. Compensa le spese del giudizio di legittimità e dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2019

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