Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 342 del 13/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 13/01/2021, (ud. 14/10/2020, dep. 13/01/2021), n.342

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. GALATI Vincenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 5278 del ruolo generale dell’anno 2014

proposto da:

Fallimento (OMISSIS) s.a.s. di P.P.A. e Fallimento

P.A.P., quale socio accomandatario in persona del

curatore fallimentare e N.M., tutti rappresentati e difesi,

rispettivamente, giusta procura speciale in calce alla memoria di

costituzione del 23 settembre 2020 e procura speciale a margine del

ricorso, dall’Avv. Cristina Bertaccini ed elettivamente domiciliati

in Roma, Via della Giuliana, n. 70 presso lo studio dell’Avv.

Massatani;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e offesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, si

domicilia;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 63/25/13 della Commissione tributaria

regionale della Toscana depositata il 18.6.2013;

udita nella camera di consiglio del 14.10.2020 la relazione svolta

dal consigliere Vincenzo Galati.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 63/25/13 la Commissione tributaria regionale della Toscana ha esposto, in punto di fatto, che per l’anno d’imposta 2005 la Guardia di Finanza ha eseguito una verifica fiscale nei confronti della società Ferrometal s.r.l. con sede a Trezzo D’Adda operante nel settore del mercato dei materiali ferrosi rilevando che la stessa era interposta tra i reali cedenti ed i cessionari.

Sono stati quindi notificati alla (OMISSIS) s.a.s. ed ai soci avvisi di accertamento in materia IVA, IRAP ed IRPEF sul presupposto dell’emissione di fatture false nei confronti della società da parte della Ferrometal s.r.l..

La Commissione tributaria provinciale di Firenze, riuniti i ricorsi della società e dei soci, ha riscontrato una contraddizione nel verbale di accertamento in merito alla provenienza dei beni oggetto della fatturazione atteso che è stato sostenuto, da un lato, che gli stessi sono stati prelevati da un deposito doganale, dall’altro che si trattava di beni provenienti da acquisti non documentati.

In ogni caso, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, si è trattato di beni nella disponibilità della Ferrometal s.r.l. e, dunque, trasferiti alla cessionaria sicchè non è stata ritenuta configurabile l’ipotesi di emissione di fatture per operazioni inesistenti.

La CTR ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate aderendo alla giurisprudenza di legittimità che ravvisa la fattispecie di cui al D.P.R. n. 633 del 1973, art. 21, comma 7, anche nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti con indebita detrazione dell’IVA.

Il giudice di appello ha dato applicazione all’orientamento secondo cui, nel caso di contestazione della detrazione iva per operazioni soggettivamente inesistenti, grava sul contribuente l’onere di dimostrare di non avere avuto conoscenza della sua partecipazione ad un’operazione in frode all’IVA.

Nel caso di specie, l’effettiva cessione dei beni alla (OMISSIS) non è potuta avvenire ad opera della Ferrometal, da considerarsi solo formalmente la parte venditrice alla luce dei seguenti elementi fattuali indicati in sentenza: mancanza di personale dipendente, di beni strumentali e di una struttura aziendale, collocazione della sede legale ed amministrativa all’interno di uno stabile adibito a civile abitazione, amministrazione della società affidata ad un soggetto privo di pregressa esperienza e senza conoscenza dell’attività sociale svolta dalla società, fatturazione a prezzi concorrenziali, mancato versamento dell’IVA.

Alla luce di tali elementi la CTR ha accolto l’appello regolando le spese secondo il criterio della soccombenza.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione i ricorrenti indicati in epigrafe articolando un unico motivo.

L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

Con memoria depositata ex art. 378 c.p.c. si è costituito il Fallimento della società (OMISSIS) s.a.s. e del socio accomandatario P.P.A. in persona del curatore.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente dato atto che l’Agenzia delle Entrate ha provveduto, in autotutela, a riliquidare gli importi dovuti tenendo conto dell’entrata in vigore del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, annullando (secondo quanto ammesso nella memoria depositata ex art. 378 c.p.c.) gli avvisi di accertamento relativi alla indeducibilità dei costi.

Con l’unico motivo di ricorso si contesta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 e art. 21, comma 7, in punto di prova degli elementi di fatto e di diritto che consentono all’acquirente di detrarre l’IVA sugli acquisti avendo operato secondo le pratiche usuali nelle transazioni commerciali.

Secondo la prospettazione dei ricorrenti non sono esigibili, nella prassi commerciale, controlli che, nel caso specifico, in tesi, sarebbero stati idonei a permettere alla committente/acquirente di venire a conoscenza della anomalie riguardanti la società cedente e riscontrate in sede di accertamento della Guardia di Finanza.

Sul punto vengono richiamate decisioni della Corte di Giustizia che legano alla sola presenza di indizi di irregolarità o evasione l’insorgenza di un onere di indagine a carico del contribuente.

D’altronde, secondo quanto contestato dai ricorrenti, non erano esigibili da parte della società (OMISSIS) i lunghi controlli (definiti “enormi ed abnormi per una normale attività commerciale”) operati dalla Guardia di Finanza.

Viene evidenziato che, nelle more dell’accertamento, il ricorrente N.M. ha effettuato il pagamento del quale richiede la restituzione.

Il ricorso, redatto secondo una particolare tecnica espositiva che vede dapprima l’elencazione della censura e, in seguito, l’enunciazione del vizio lamentato, deve essere dichiarato inammissibile per difetto di specificità.

Invero, l’illustrazione delle ragioni di fatto e diritto poste a fondamento del gravame sono contenute nella medesima parte del ricorso che riguarda l’esposizione dello svolgimento complessivo del processo con ciò rendendo particolarmente difficoltosa la sua comprensione.

Non è stato indicato il vizio lamentato che, pare, essere costituito da una violazione di legge relativa all’esigibilità dei controlli da parte della società contribuente.

Invocando l’applicazione di un (presunto) principio generale di “buona fede del contribuente” i ricorrenti non si confrontano con il complessivo impianto motivazionale della sentenza di merito che ha, sia pure sinteticamente, messo in evidenza una serie di elementi fattuali idonei a far sorgere, in capo al contribuente, il sospetto di avere intrattenuto rapporti con una società c.d. “cartiera”.

A fronte della indicazione di tali elementi (cfr. ultima pagina della sentenza impugnata), i motivi si risolvono nell’enunciazione generica di una “buona fede” giustificata, in sostanza, esclusivamente con la (sostenuta) inesigibilità dei controlli, senza spiegare dove ed in quale passaggio la CTR avrebbe violato la legge che disciplina la fattispecie concreta.

Occorre quindi dare continuità all’orientamento più recente della giurisprudenza di legittimità secondo cui “in tema di giudizio di cassazione, trattandosi di rimedio a critica vincolata il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi aventi i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, sicchè è inammissibile il ricorso nel quale non venga precisata la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la pronunzia di merito, nè essendo al riguardo sufficiente un’affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione” (Cass. sez. 1, 24 febbraio 2020, n. 4905) e “in tema di ricorso per cassazione, il principio di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, richiede per ogni motivo l’indicazione della rubrica, la puntuale esposizione delle ragioni per cui è proposto nonchè l’illustrazione degli argomenti posti a sostegno della sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo, come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della pronunzia” (Cass. sez. 4, 18 agosto 2020, n. 17224).

D’altronde, la critica, al pari dei fatti accertati ed emersi nel corso del giudizio di merito sono stati meramente enunciati nel ricorso introduttivo senza che di essi sia stata spiegata la rilevanza ai fini della illustrazione della (come detto) generica tesi difensiva.

Deve, sul punto, essere richiamato l’arresto secondo cui “l’onere della indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), qualunque sia il tipo di errore (“in procedendo” o “in iudicando”) per cui è proposto, non può essere assolto “per relationem” con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto, essendovi il preciso onere di indicare, in modo puntuale, gli atti processuali ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, nonchè le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione e dovendo il ricorso medesimo contenere, in sè, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata”. (Cass. sez. 5, 31 maggio 2011, n. 11984).

Per quanto riguarda la posizione di N.M., va detto che la sua posizione è quella di litisconsorte necessario con il Fallimento della società di persone e del socio accomandatario vertendosi in tema di IVA ed IRAP (oltre che di IRPEF dei singoli soci) giusta quanto affermato dalla costante giurisprudenza della Corte di cassazione (fra le molte, successive alla nota Cass. sez. un., 04 giugno 2008, n. 14815, si veda Cass. sez. 5, 14 marzo 2018, n. 6303).

Da ciò deriva che la sua posizione non può dirsi definita a seguito dell’avvenuto annullamento in autotutela da parte dell’Amministrazione dell’avviso di accertamento che egli sostiene di avere pagato.

Da quanto esposto discende la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.

Sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali sostenute dalla controricorrente che liquida in Euro 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Da atto dei presupposti processuali per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato, se dovuto, del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021

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