Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 342 del 09/01/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 342 Anno 2013
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: DI AMATO SERGIO

SENTENZA

sul ricorso 22686-2006 proposto da:
SPIRIDIGLIOZZI

PIERINO

(C.E.

SPRPRN54E13G662G),

nella qualità di titolare della omonima impresa
edile, elettivamente domiciliato in ROMA,
CIRCONVALLAZIONE CASILINA 26, presso l’avvocato
D’AMICO PAOLA (C/0 STUDIO AVV. GALLUZZO GIANLUCA),
2012
1837

rappresentato e difeso dagli avvocati GIULIANO
MARIANO, DE MAGISTRIS ENRICO, giusta procura in
calce al ricorso;
– ricorrenti –

Data pubblicazione: 09/01/2013

contro

COMUNE DI PIGNATARO INTERAMNA (C.P. 81003050606),
in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIALE IPPOCRATE 92, presso
l’avvocato GENOVESE ROSALBA, rappresentato e difeso

dall’avvocato RISI GIOVANNA, giusta procura a
margine del controricorso;
controricorrente-

avverso la sentenza n. 2458/2005 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 30/05/2005;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 05/12/2012 dal Consigliere
Dott. SERGIO DI AMATO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PIERFELICE PRATIS che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 30 maggio 2005 la Corte di appello di
Roma

rigettava

l’appello

proposto

da

Pierino

Spiridigliozzi, titolare dell’omonima impresa edile,
avverso la sentenza, in data 26 luglio 2001, con cui il

Tribunale di Cassino aveva dichiarato il difetto di
legittimazione dell’attore ad agire nei confronti del
Comune di Pignataro Interamna per sentirlo condannare al
pagamento delle somme, da accertarsi in corso di causa,
dovute a saldo del corrispettivo di lavori appaltati alla
associazione temporanea di imprese della quale la ditta
Spiridigliozzi era la capogruppo ed alla quale partecipava
anche la s.r.l. ICED. In particolare, la Corte di appello
osservava, per quanto qui interessa, che l’attore aveva
agito quale titolare dell’omonima impresa edile per far
valere, come risultava anche dall’atto di appello, “iure
proprio” il dedotto credito di appalto, che viceversa
poteva essere fatto valere soltanto dall’associazione
temporanea e per essa dall’impresa capogruppo, secondo
quanto espressamente previsto dall’art. 23 del d. lgs. n.
406/1991. La Corte di appello osservava, inoltre, che la
qualità di mandatario dell’ATI era stata solo tardivamente
dedotta dallo Spiridigliozzi.

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Pierino Spiridigliozzi propone ricorso per cassazione,
deducendo tre motivi. Il Comune di Pignataro Interamna
resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione

dell’art. 24 Cost., lamentando che erroneamente la Corte
di appello aveva escluso la sua legittimazione,
considerato che egli intendeva far valere un proprio
diritto e non un diritto facente capo all’associazione
temporanea di imprese, la cui figura, peraltro,
rileverebbe soltanto in sede di partecipazione alle gare e
non anche in fase di pagamento.
Con

il

secondo

motivo

il

ricorrente

lamenta

genericamente la mancata ammissione di mezzi istruttori.
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta il vizio di
motivazione per l’assenza di qualsiasi indagine sul modo
in cui in concreto era stata gestito il rapporto con il
Comune.
Il primo motivo è infondato. Invero, in tema di appalto
di opere pubbliche stipulato da un’associazione temporanea
di imprese, l’art. 23, comma 9, del d.lgs. 19 dicembre
1991, n. 106, stabilisce, in applicazione delle direttive
comunitarie in materia, che l’impresa capogruppo, in
qualità di mandataria delle altre imprese riunite ai sensi
del precedente comma 8, ha “la rappresentanza esclusiva,

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anche processuale, delle imprese mandanti nei confronti
del soggetto appaltante per tutte le operazioni e gli atti
di qualsiasi natura dipendenti dall’appalto”, anche se il
soggetto appaltante può far valere direttamente nei
confronti delle imprese mandanti le responsabilità ad esse

facenti capo. Pertanto, il solo soggetto legittimato a
stare in giudizio dal lato attivo, per i giudizi aventi ad
oggetto crediti derivanti dagli appalti conclusi dalle
associazioni temporanee di imprese, è la società
capogruppo, in qualità anche di rappresentante delle
imprese associate, che non sono, quindi, terze nel
rapporto processuale, nel quale le loro posizioni
sostanziali devono essere gestite, per legge, dalla loro
capogruppo mandataria (Cass. 30 agosto 2004, n. 17411). La
rappresentanza processuale, che non è automatica e
richiede la spendita del nome delle imprese rappresentate
(Cass. 20 maggio 2010, n, 12422), opera per tutte le
operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti
dall’appalto, anche dopo il collaudo dei lavori, fino
all’estinzione di ogni rapporto (Cass. 28 novembre 2011,
n. 25204). Da ciò consegue – per una semplificazione dei
rapporti processuali voluta dal legislatore in favore
della parte pubblica, alla quale viene così assicurato un
unico interlocutore – non solo che le imprese mandanti non
possono agire direttamente a tutela di un loro diritto, ma

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che ciò non è consentito neppure alla mandataria impresa
capogruppo, che può agire soltanto congiuntamente in
proprio e in rappresentanza delle altre imprese. Sotto
altra angolazione può dirsi che, a tutela dell’interesse
dell’ente pubblico committente, i debiti di questo devono
confronti

di tutte le imprese

essere accertati nei

associate in modo da consentire allo stesso ente pubblico
di compensare eventuali debiti verso alcune imprese con
eventuali crediti verso altre; le imprese associate,
pertanto, possono riscuotere i

loro

rispettivi crediti

soltanto sulla base di un mandato collettivo. Esattamente,
quindi, la Corte territoriale ha escluso la legittimazione
della ditta Spiridigliozzi a far valere, soltanto in
proprio e non anche quale impresa mandataria capogruppo,
un proprio diritto riferibile al contratto concluso dal
Comune con l’associazione temporanea d’imprese.
Al rigetto del primo motivo consegue l’assorbimento
degli altri motivi.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo.
P . Q . M .

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso
delle spese di lite liquidate in e 2.700,00, di cui 200,00
per esborsi, oltre IVA e CP.

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Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 5

dicembre 2012.

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