Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3419 del 12/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 12/02/2010, (ud. 13/01/2010, dep. 12/02/2010), n.3419

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i

cui uffici e’ domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12;

– ricorrente –

contro

Zeno Carni s.n.c. di Zeno Gelsomina e C, in persona del legale

rapp.te pro tempore, elettivamente domiciliata in Napoli, via Toledo

265 presso lo studio dell’avv. Perna Antonio e Dott. Carlo Russo;

– intimata –

avverso la sentenza n. 30.18.05, depositata in data 16.2.05, della

Commissione tributaria regionale della Campania;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

13.1.10 dal Consigliere Dott. CARLEO Giovanni;

sentita la difesa svolta dall’Avvocatura Generale dello Stato per

conto del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Agenzia

delle Entrate, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, la

cassazione della sentenza impugnata con ogni consequenziale

statuizione anche in ordine alle spese processuali;

Udito i P.G. in persona del Dott. FUZIO Riccardo che ha concluso per

l’accoglimento del ricorso con le pronunce consequenziali.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con processo verbale di constatazione del 27 giugno 1996 la G. di V. di Portici rilevava, con riferimento ai bilanci chiusi al 31 dicembre del 1994 e del 1995, che la Zeno Carni s.n.c. di Zeno Gelsomina e C. esercente commercio di carni fresche, aveva indicato rimanenze assolutamente incompatibili con le capacita’ di immagazzinamento dei propri depositi e punti di stoccaggio, di dimensioni assai modeste;

un dato relativo alle rimanenze finali al 31 dicembre 1995 per L. 4.209.533.052 abnorme rispetto alle giacenze invece rilevate il 15 gennaio 1996 per merci dal valore di L. 30.102.000; il rinvenimento di scritture extracontabili da cui si evincevano acquisti effettivi di L. 23.867.539.881 anziche’ di L. 20.418.330.161 e un volume di affari effettivo di L. 26.058.900.031 in luogo di L. 20.187.764.944 dichiarato; l’uso di fatture per operazioni di acquisto inesistenti nel 1995 ed esattamente: a) acquisti per L. 2.348.165.200 presso la Prima srl; b) acquisti per L. 632.655.540 presso la Crimal Srl; c) acquisti per L. 67.728.885 presso la Romano Carni s.n.c, divenuta nel periodo 1994 – 95 una societa’ cartiera tanto che la sede della societa’ era ubicata presso uno studio associato di commercialisti trasferitosi da oltre due anni all’epoca della verifica ed era solita emettere fatture fittizie a copertura di acquisti soggettivamente inesistenti.

Con separato processo verbale di constatazione la compagnia di Nola Annunziata accertava che nel 1995 la contribuente aveva utilizzato una fattura di L. 616.676.770 emessa dalla societa’ Commercio Carni Campania di Abbate Caterina & C. s.a.s. a fronte di operazioni soggettivamente inesistenti posto che la prefata societa’ costituiva una vera e propria “cartiera” preordinata alla consumazione di una vasta frode fiscale nel settore dell’importazioni delle carni comunitarie.

Sulla base di tali processi verbali l’Ufficio IVA di Napoli emetteva un avviso di rettifica per l’anno 1995, recuperando a tassazione l’IVA per complessive L. 652.725.000 ed irrogava sanzioni per un importo di L. 2.943.847.000.

Avverso l’avviso, la Zeno Carni presentava ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Napoli, la quale lo accoglieva. Proponeva appello l’ufficio e la Commissione tributaria regionale della Campania rigettava il gravame. Avverso la detta sentenza l’Agenzia ha quindi proposto ricorso per Cassazione articolato in due motivi. La contribuente resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La doglianza articolata sotto il profilo della violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 132 c.p.c. del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 dell’art. 2697 c.c., nonche’ sotto il profilo dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, si fonda sulla premessa che la C.T.R. avrebbe errato nel ritenere che l’intera rettifica fosse basata sull’ipotesi dell’inesistenza meramente soggettiva delle operazioni contestale: Ed invero, tale ipotesi riguardava solo gli acquisti effettuati presso la Romano carni s.n.c. e la Commercio Carni Campania s.n.c. ma non anche le altre operazioni ritenute invece inesistenti sia oggettivamente sia soggettivamente. Con la conseguenza che il giudice di appello non avrebbe avuto contezza dell’effettiva materia del contenzioso. Inoltre, la CTR avrebbe trascurato che, a fronte dei numerosi e rilevanti elementi presuntivi ed indiziari forniti dall’Amministrazione era onere della contribuente provare l’effettivita’ delle operazioni contestate, onere che invece non era stato in alcun modo assolto ne’ con riguardo alle operazioni oggettivamente inesistenti ne’ con riguardo alle operazioni inesistenti solo soggettivamente.

La censura e’ fondata. A riguardo, mette conto di premettere che questa Corte con indirizzo ormai consolidato ha avuto modo di affermare il principio secondo cui “qualora l’Amministrazione contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, e fornisca attendibili riscontri indiziari sulla inesistenza delle operazioni fatturate, e’ onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indebiti�. (Cass. 2847/08) Ed invero, “se l’amministrazione fornisca validi elementi – alla stregua del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 2 – per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni (anche solo parzialmente) fittizie, passera’ sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate”. (Cass. n. 15395/08).

Cio’ premesso, e’ appena il caso di sottolineare come la sentenza impugnata non sia affatto in linea con l’orientamento di questa Corte, svalutando, senza alcuna motivazione, gli elementi addotti dalla G. di F. benche’ idonei a far sorgere il sospetto che le operazioni documentate nelle fatture fossero in tutto o in parte inesistenti e trascurando gli clementi indiziari addotti dall’Amministrazione, quali l’omessa fatturazione di vendite e l’omessa regolarizzazione di acquisti in base alle risultanze delle scritture extracontabili, la inattendibilita’ dei dati contabili relativi alle rimanenze finali in rapporto alle effettive giacenze di magazzino, le dichiarazioni rese dai trasportatori (il titolare della ditta D.V.N. aveva disconosciuto le firme a suo nome risultanti su numerose bolle di accompagnamento merci).

E cio’, senza considerare che la societa’ Commercio Carni Campania di Abbate Caterina & C. s.a.s. costituiva una vera e propria “cartiera” preordinata alla consumazione di una vasta frode fiscale nel settore dell’importazione delle carni comunitarie. Ed invero, la legale rappresentante della societa’ aveva dichiarato di essere totalmente estranea all’attivita’ sociale; la societa’ aveva omesso sistematicamente di presentare le dichiarazioni annuali e di effettuare i versamenti periodici dell’IVA; i prezzi di vendita risultavano inferiori o pari a quelli di acquisto; l’intero traffico era gestito da altre persone, B., F. e S., che erano titolari di altra ditta. Inoltre, anche la Romano Carni s.n.c. nel periodo 1994 – 95 aveva assunto il ruolo di cartiera tant’e’ che la sua sede risultava ubicata presso uno studio di commercialisti, all’epoca della verifica trasferitosi da oltre due anni.

Quanto alle operazioni soggettivamente inesistenti, torna utile premettere che questa Corte ha avuto modo di statuire che “in tema di IVA, l’emissione della fattura da parte di un soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione non e’ riconducibile alla fattispecie prevista dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 41, comma 3 dell’emissione di fattura recante indicazioni incomplete o inesatte, ne’ a quella, prevista dall’art. 21, comma 2, n. 1, del medesimo D.P.R.. di omissione dell’indicazione dei soggetti tra cui e’ effettuata l’operazione, ma va qualificata come fatturazione di un’operazione soggettivamente inesistente, per la quale dev’essere versata la relativa imposta, ai sensi dell’art. 2 cit., non essendo consentita la detrazione di fatture emesse da chi non e’ stato controparte nel rapporto riguardante l’operazione fatturata (cfr. da ultimo Cass. n. 5719/07, n. 1950/07).

Cio’ premesso, la stessa Corte ha inoltre statuito che l’effettivita’ dell’acquisto dei beni entrati nella disponibilita’ patrimoniale dell’impresa utilizzatrice delle fatture in una alla provenienza della merce da ditta diversa da quella figurante sulle fatture non sono indifferenti ai fini dell’IVA, dal momento che la qualita’ del venditore puo’ incidere sulla misura dell’aliquota e, per conseguenza, sull’entita’ dell’imposta che l’acquirente puo’ legittimamente detrarre. (Cass. n. 29467/08). Pertanto, il diritto alla detrazione non sorge immancabilmente, per il solo fatto dell’avvenuta corresponsione di imposta formalmente indicata in fattura, richiedendosi, altresi’, che l’imposta sia effettivamente dovuta e, cioe’, corrispondente ad operazione effettivamente soggetta all’iva. Cio’ perche’ il particolare meccanismo che presiede al funzionamento dell’iva postula la ricorrenza dell’ulteriore requisito della detraibilita’, costituito dell'”inerenza all’impresa” dell’operazione fatturata: requisito, che, al pari degli altri, e’ onere del contribuente comprovare (cfr. Cass. 13205/03. 11109/03, 15228/01).

In proposito, questa Corte ha altresi’ statuito che, in ipotesi di inesistenza soggettiva – nella quale, pur essendo i beni entrati nella disponibilita’ patrimoniale dell’impresa cessionaria, risulti che l’emittente della fattura e’ soggetto diverso da cedente – prestatore – l’obbligo di corrispondere l’importo corrispondente all’imposta sull’operazione soggettivamente inesistente deriva dal precetto normativo di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, mentre risulta evasa l’imposta dovuta, in base al fisiologico funzionamento del meccanismo IVA, per l’operazione effettivamente realizzata (in tal senso: v. Cass. 6378/06).

Sulla base di tali premesse, il costo dell’iva versata sulla fattura relativa ad operazione soggettivamente inesistente si appalesa quale costo non necessariamente inerente. Invero, il rapporto con lo svolgimento della specifica attivita’ dell’impresa (che da diritto alla detrazione) e, quindi. l’inerenza risulta connaturalmente sussistere in relazione all’iva, che sarebbe dovuta sull’operazione compiuta con l’effettivo cedente – prestatore, e che, tuttavia, resta evasa. L’iva corrisposta al soggetto interposto e’, invece, costo, che, in realta’, non puo’ considerarsi inerente allo svolgimento della attivita’ istituzionale dell’impresa, in quanto potenziale espressione di distrazione verso finalita’ ulteriori e diverse, tali da rompere in messo di inerenza. Gli indicati riscontri non possono, d’altro canto, esaurirsi nell’accertamento dell’avvenuta consegna della merce e di quello del pagamento della merce medesima e dell’iva riportata sulla fattura emessa dal terzo, trattandosi di circostanze non decisive, rispetto al tema della prova, in rapporto alle peculiarita’ del meccanismo dell’iva e dei relativi abusi; mentre, in base ai criteri generali in tema di onere della prova, essi vanno provati dal committente – cessionario che intende avvalersi della detrazione (Cass. n. 1950/07 in motivazione).

In definitiva, non rileva assolutamente, ai fini che interessano la vicenda in esame, sottolineare che alcuni dei costi siano stati effettivamente sostenuti Se e’ vero infatti che la riconosciuta inesistenza delle operazioni fatturate dal punto di vista soggettivo non esclude la deducibilita’, ai fini dell’imposta sul reddito, dei costi sostenuti per l’acquisto dei beni da soggetti diversi da quelli indicati in fattura � del resto, l’acquisto in nero non e’ un elemento del reato di emissione o utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti (cfr. L. n. 74 del 2000) – non puo’ trascurarsi in senso contrario che la riconoscibilita’ dei costi e’ comunque soggetta al relativo regime probatorio. Cio’ posto, premesso che secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, precedentemente richiamata, la prova dell’esistenza, inerenza e competenza del costo incombe al contribuente, occorre altresi’ sottolineare che tale prova deve essere particolarmente rigorosa e non puo’ certo consistere nel ricorso a regole di esperienza. Ed invero, l’abrogazione, ad opera del D.P.R. 9 dicembre 1996, n. 695, art. 5, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, comma 6 pur avendo avuto l’effetto di ammettere il contribuente alla prova dei costi suddetti (in precedenza radicalmente preclusa), anche con mezzi diversi dalle scritture contabili, richiede che gli elementi probatori forniti dal contribuente siano certi e precisi, come prescritto dell’art. 75, comma 4 (cfr. Cass. 10964/07, 18000/064218/06, 10090/02).

Pertanto, la generica circostanza che l’impresa abbia comunque acquistato i beni fatturati da soggetti differenti da quelli indicati in fatture non fornisce alcun elemento certo e minimamente rassicurante circa la correttezza della quantificazione del costo indicato, della sua inerenza e della sua riferibilita’ all’anno di imposta in contestazione.

Considerato che la sentenza impugnata non si e’ uniformata ai suddetti principi, pienamente condivisi dal Collegio ed applicabili nella fattispecie, il ricorso per Cassazione in esame deve essere accolto e la sentenza impugnata, che ha fatto riferimento, in modo non corretto, a regulae iuris diverse, deve essere cassata. Con l’ulteriore conseguenza che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa deve essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso introduttivo della lite proposto dalla contribuente. Sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese di questo giudizio in quanto l’orientamento giurisprudenziale riportato si e’ consolidato solo dopo l’introduzione della lite.

PQM

LA CORTE Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo ne merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, rigetta il ricorso introduttivo della lite proposto da Zeno Carni s.n.c. di Zeno Gelsomina e C.. Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2010

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