Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3418 del 12/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 12/02/2010, (ud. 13/01/2010, dep. 12/02/2010), n.3418

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i

cui uffici e’ domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12;

– ricorrente –

contro

Zeno Carni s.n.c. di Zeno Gelsomina e C., in persona del legale

rapp.te pro tempore, nonche’ Z.G., Z.C. e Z.

A., tutti elettivamente domiciliati in Roma via dei Monti

Parioli 48 presso lo studio dell’avv. Marini Renato, che unitamente

agli avv.ti Vincenzo Cesaro e Giuseppe Marini li rappresenta e

difende giusta procura speciale a margine del ricorso;

– controricorrenti e ric. incidentali –

avverso la sentenza n. 84.39.03, depositata in data 12.1.04, della

Commissione tributaria regionale della Campania;

e sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i

cui uffici e’ domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12;

– ricorrente –

contro

Z.C., elettivamente domiciliato in Roma via dei Monti

Parioli 48 presso lo studio dell’avv. Renato Marini, che unitamente

agli avv.ti Vincenzo Cesaro e Giuseppe Marini lo rappresenta e

difende giusta procura speciale a margine del ricorso;

– controricorrente e ric. incidentale –

avverso la sentenza n. 85.39.03, depositata in data 23.6.04, della

Commissione tributaria regionale della Campania;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

13.1.10 dal Consigliere Dott. CARLEO Giovanni;

sentita la difesa svolta dall’Avvocatura Generale dello Stato per

conto dell’Agenzia delle Entrate, che ha concluso per l’accoglimento

del ricorso principale, il rigetto dell’incidentale, la cassazione

della sentenza impugnata con ogni consequenziale statuizione anche in

ordine alle spese processuali;

Udito il P.G. in persona del Dott. FUZIO Riccardo, che ha concluso

per l’accoglimento del ricorso con le pronunce consequenziali.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Come risulta dal ricorso contrassegnato dal n. 21509/05 R.G., con processo verbale di constatazione del 27 giugno 1996 la G. di F. di Portici rilevava, con riferimento ai bilanci chiusi al 3 dicembre del 1994 e del 1995, che la Zeno Carni s.n.c. di Zeno Gelsomina e C., esercente commercio di carni fresche, aveva indicato rimanenze assolutamente incompatibili con le capacita’ di immagazzinamento dei propri depositi e punti di stoccaggio, di dimensioni assai modeste nonche’ un dato relativo alle rimanenze finali al 31 dicembre 1995 per L. 4.209.533.052 abnorme rispetto alle giacenze invece rilevate il 15 gennaio 1996 per merci dal valore di L. 30.102.000. La G. di F. aveva altresi’ evidenziato il rinvenimento di scritture extracontabili da cui si evincevano acquisti effettivi di L. 23.867.539.881 anziche’ di L. 20.418.330.161 e un volume di affari effettivo di L. 26.058.900.031 in luogo di L. 20.187.764.944 dichiarato; l’uso di fatture per operazioni di acquisto inesistenti presso varie societa’ quali la Polli San Giovanni s.a.s. di Tagliatatela e C, la Market Polli di Ciro Correale e C. s.a.s., la Alicar s.r.l., i cui amministratori avevano negato di aver intrattenuto rapporti commerciali con la Zeno carni. La G. di F. sottolineava ancora che dal raffronto tra i costi dei singoli prodotti risultanti dalle fatture di acquisto ed i prezzi di vendita praticati emergeva una percentuale di ricarico del 12,93 superiore a quella mediamente praticata nello stesso settore oscillante tra il 3 ed il 5% e rilevava infine l’indebita deduzione di spese di rappresentanza per L. 743.735, di una fattura per L. 48.899.630 e di costi non inerenti per L. 1.883.385.

Sulla base di tali rilievi l’Ufficio II.DD. di Napoli emetteva un avviso di rettifica per l’anno 1994, recuperando a tassazione i costi relativi agli acquisti ritenuti inesistenti per l’ammontare di L. 7.686.022.248 nonche’ gli altri costi indebitamente portati in deduzione.

Avverso l’accertamento, la Zeno Carni ed i soci Z.G., Z.C. e Z.A. presentavano ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Napoli, la quale, premesso che ad una certa quantita’ di merce venduta doveva corrispondere necessariamente una medesima quantita’ acquistata per la quale era stato sopportato un costo e determinando il costo de venduto sulla base della percentuale lorda di ricarico riportata nel pvc, accoglieva in parte il ricorso rideterminando il reddito in L. 1.077.852.429, Proponevano appello principale i contribuenti ed incidentale l’ufficio. La Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva sia il gravame dei contribuenti in ordine alla determinazione del reddito della societa’ sia quello dell’Ufficio relativo al disconoscimento dei minori recuperi per costi e spese.

Intanto, come risulta dal ricorso contrassegnato dal n. 21511/05 RG, l’Ufficio II.DD di Napoli emetteva un avviso di accertamento nei confronti di Z.C., socio nella misura del 50%, imputandogli ai fini Irpef il maggior reddito accertato nei confronti della societa’ in proporzione della sua quota di partecipazione. A seguito di ricorso del contribuente, la Commissione tributaria provinciale di Napoli accoglieva in parte il ricorso rideterminando il reddito in L. 536.127.000. Proponevano appello principale il contribuente ed incidentale l’ufficio. La Commissione tributaria regionale della Campania rideterminava il reddito di partecipazione in ragione ed in dipendenza di quello determinato per la societa’. Avverso le dette sentenze di secondo grado l’Agenzia ha quindi proposto ricorso per Cassazione. I contribuenti resistono con controricorso ed hanno proposto a loro volta ricorso incidentale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via preliminare, deve sottolinearsi l’opportunita’ di una trattazione unitaria dei giudizi in esame per evidenti ragioni di connessione sia soggettiva, sia pure parziale, sia oggettiva, vertendosi in tema di rapporto tra accertamento del reddito di partecipazione di un socio ed accertamento del reddito di una societa’ di persone. Ed invero, l’accertamento del reddito sociale e l’accertamento del reddito dei singoli soci, sono in evidente rapporto di reciproca implicazione (non si puo’ accertare il reddito dei singoli se non accertando il reddito sociale e quest’ultimo condiziona l’accertamento del primo): si e’ pertanto in presenza di un’imputazione automatica del reddito sociale ai soci (presunzione legale iuris et de iure) per cui la difesa di questi di fronte alla pretesa erariale (quando non venga contestata la qualita’ di socio o la quota di partecipazione) deve necessariamente trovare uno spazio processuale per interloquire sulla determinazione del reddito della societa’ (dal quale dipende la ripresa nei loro confronti), spazio che nella vicenda processuale de qua i singoli soci, come risulta dai giudizi 21509/05 e 24400/05, hanno potuto avere esercitando la necessaria attivita’ difensiva anche in relazione all’accertamento del reddito sociale. Sulla base di tale premessa, viene quindi disposta la riunione dei giudizi contrassegnati dai nn 24400/2005, 21511/2005, 24401/2005 di R.G. a quello di piu’ antica data, vale a dire il giudizio recante il n. 21509/05 di R.G..

Passando all’esame della prima delle doglianze, svolte dalla ricorrente Agenzia ed articolata sotto il profilo della violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 346 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 42 e dell’art. 2727 c.c. e segg. nonche’ sotto il profilo dell’omessa, insufficiente ed illogica motivazione, va rilevato che la stessa si fonda sulla premessa che l’accertamento si fondava sul recupero a tassazione dei costi inesistenti giustificati con fatture ritenute false e che la controversia riguardava acquisti oggettivamente fittizi. eseguiti presso imprese prive di capacita’ operative e da soggetti che avevano disconosciuto l’effettivita’ dell’operazione, e non gia’ acquisti soggettivamente inesistenti, effettivamente eseguiti presso societa’ estere previa l’interposizione di comodo della FIMA. Le affermazioni svolte a riguardo dalla CTR erano prive di ogni riferimento concreto alla controversia in esame e tratte forse da altre pronunce.

Peraltro, circa le operazioni inesistenti, la CTR avrebbe trascurato i numerosi e rilevanti elementi presuntivi ed indiziari forniti dall’Amministrazione omettendo di spiegare perche’ essi dovessero ritenersi inadeguati. E cio’, senza considerare che le affermazioni dei giudici di appello, relativamente all’insussistenza dei costi per operazioni inesistenti, erano estranee all’oggetto del giudizio di appello, trattandosi di questione non riproposta dai contribuenti come motivo di gravame, per cui la sentenza impugnata sarebbe censurabile sotto il profilo del vizio di extrapetizione in quanto la CTR non avrebbe potuto “rimettere in discussione la questione dell’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti”. Inoltre ed in tale rilievo si sostanzia essenzialmente la seconda doglianza per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 42 nonche’ per motivazione omessa, insufficiente ed illogica – i giudici di appello, invece di esaminare prioritariamente la pretesa erroneita’ del calcolo del maggiore imponibile eseguito dai giudici di primo grado con l’applicazione delle percentuali di ricarico, avrebbero dovuto portare la loro attenzione sugli acquisti fittizi oggetto delle false fatturazioni pronunciandosi sulle richieste dell’Ufficio, appellante incidentale, volte a censurare la sentenza di primo grado sul punto e a confermare la legittimita’ del metodo di accertamento eseguito, consistente nel semplice recupero analitico dei costi relativi agli acquisti inesistenti.

Infine, l’esame riguarda ora l’ultima doglianza dell’Agenzia, articolata sotto il profilo della violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, dell’art. 2727 c.c. e segg. nonche’ dei principi generali in tema di contenzioso tributario – la stima compiuta dai primi giudici non avrebbe dovuto comportare l’annullamento dell’accertamento non esimendo la CTR dall’onere di rideterminare a propria volta, sia pure in via presuntiva, il reddito effettivamente percepito dalla societa’ con applicazione della diversa percentuale di ricarico ritenuta piu’ congrua.

Le censure vanno esaminate congiuntamente in quanto sostanzialmente connesse, essendo fondate sul comune presupposto dell’inesistenza oggetti va delle operazioni oggetto delle fatture ritenute fittizie.

A riguardo, tornano utili alcune considerazioni introduttive. In primo luogo, occorre premettere che la questione relativa all’inesistenza delle operazioni oggetto delle fatture ritenute fittizie in sede di accertamento rientrava certamente nel tema decisionale del giudizio di appello, ove si consideri che tale tema e’ costituito sia dai motivi dedotti dall’appellante principale sia dai motivi proposti dall’appellante incidentale e che, nel caso di specie, l’Agenzia, quale impugnante incidentale, aveva ribadito le questioni esposte in primo grado e, “in particolare la fittizieta’ delle fatture relative ad operazioni di acquisto inesistenti…. “, cosi’ come risulta espressamente precisato nella parte della sentenza impugnata, riguardante l’esposizione del fatto e della vicenda processuale. Sotto tale profilo, risulta con tutta evidenza insussistente il vizio di ultrapetizione che e’ stato attribuito dalla ricorrente Agenzia alla Corte di merito.

In secondo luogo, e’ opportuno sottolineare l’assoluta estraneita’, rispetto al giudizio de qua, della societa’ Fima, indicata in sentenza dai giudici di appello come societa’ di comodo che avrebbe svolto fittiziamente funzione di interposizione per acquisti effettuati direttamente presso fornitori esteri. Il mancato coinvolgimento della prefata societa’ costituisce una circostanza pacifica tra le parti in causa ed e’ riconosciuta dagli stessi contribuenti nel controricorso, come risulta dall’esame del medesimo (cfr pag. 12). Sotto questo aspetto, deve essere condivisa l’argomentazione della ricorrente Agenzia, secondo la quale le affermazioni svolte dalla CTR con riferimento alla funzione di pretesa interposizione di comodo svolte dalla Fima, erano prive di ogni riferimento concreto alla controversia in esame. E cio’, in quanto la controversia in esame riguarda acquisti oggettivamente fittizi eseguiti presso imprese prive di capacita’ operative e da soggetti che avevano disconosciuto l’effettivita’ dell’operazione, e non gia’ acquisti soggettivamente inesistenti, effettivamente eseguiti presso societa’ estere. Tutto cio’ premesso e considerato, mette conto di sottolineare che questa Corte con indirizzo ormai consolidato ha avuto modo di affermare il principio secondo cui “qualora l’Amministrazione contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, e fornisca attendibili riscontri indiziari sulla inesistenza delle operazioni fatturate, e’ onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indebiti. (Cass. 2847/08) Ed invero, se e’ esatto che l’Amministrazione non puo’ limitarsi ad una generale ed apodittica non accettazione della documentazione del contribuente, essendo suo onere quello di indicare specificamente gli elementi, anche indiziari. sui quali si fonda la contestazione, e’ altrettanto vero che resta onere del contribuente dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni (arg. da Cass. n. 21953/07). Cio’ premesso, e’ appena il caso di sottolineare come la sentenza impugnata non sia adatto in linea con l’orientamento di questa Corte, svalutando, senza alcuna motivazione a riguardo, gli elementi addotti dalla G. di F. benche’ idonei a far sorgere il sospetto che le operazioni documentate nelle fatture fossero in tutto o in parte inesistenti e trascurando gli elementi indiziari addotti dall’Amministrazione, tra cui la circostanza che la Polli San Giovanni s.a.s. di Taglialatela e C. non disponeva di personale ne’ di depositi ne’ di mezzi di trasporto ne’ di altre strutture necessarie allo svolgimento dell’attivita’: che la Alicar srl ugualmente non disponeva di depositi; che gli amministratori di dette societa’ e della Market Polli di Ciro Correale e C. s.a.s. avevano negato di aver mai intrattenuto rapporti commerciali con la Zeno carni; che il titolare della ditta D.V.N. aveva disconosciuto le firme a suo nome risultanti su numerose bolle di accompagnamento merci. Ne deriva la fondatezza dei ricorsi principali. Restano da esaminare i ricorsi incidentale articolati per “violazione e falsa applicazione di norme di diritto, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia”, con cui i contribuenti lamentano l’erroneita’ delle decisioni impugnate nella parte in cui la CTR ha ritenuto che il costo di cui alla fattura n. (OMISSIS) emessa dalla M.C.M. srl il (OMISSIS) per l’ammontare di L. 48.899.630 dovesse essere contabilizzato nel 1993, con conseguente recupero a tassazione essendo stato invece contabilizzato nel 1994, trascurando che la fattura era pervenuta solamente nel corso di quest’ultimo anno.

Parimenti, la CTR avrebbe errato quando ha recuperato a tassazione la somma di L. 1.883.385 erogata per l’acquisto di un televisore e per multe e pedaggi in quanto relativa a costi non inerenti trascurando per una parte che l’azienda era in possesso di automezzi e, per l’altra, che i verbalizzanti non avevano provveduto a verificare se nell’azienda fosse rinvenibile o meno un televisore. E cio’, a parte i costi per le spese di rappresentanza per L. 743.735 dedotti per intero e non un nono, in ordine alle quali i giudici di secondo grado non avrebbero approfondito la natura delle stesse.

Infine – ed in tale rilievo si sostanzia l’ultima doglianza proposta da Z.C. ed articolata per omessa pronuncia su punti decisivi della controversia la CTR avrebbe omesso di pronunciarsi sulla eccezione con cui era stata dedotta la nullita’ dell’atto impositivo per violazione dell’art. 2103 c.c..

Il primo profilo di censura non coglie nel segno. Ed invero, a norma del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 71 i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi concorrono a formare il reddito d’impresa nell’esercizio di competenza. In particolare, ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza, le spese di acquisizione dei beni mobili si considerano sostenute alla data della consegna o spedizione, restando quindi assolutamente irrilevante la data in cui perviene la fattura della spesa sostenuta. Inoltre, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, posto che l’imputazione di un determinato costo ad un esercizio anziche’ ad un altro ben puo’, in astratto, comportare l’alterazione dei risultati della dichiarazione, mediante i meccanismi di compensazione dei ricavi e dei costi nei singoli esercizi – deve ritenersi rigorosamente preclusa in tema di reddito d’impresa, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, la detrazione di costi in esercizi diversi da quello di competenza, giacche’ il contribuente non puo’ essere lasciato arbitro della scelta del periodo in cui registrare le passivita’ (v.

Cass. 6331/08, 3809/07, 16198/01, 7912/00). Parimenti infondati sono i due successivi profili di doglianza prima riportati nella loro essenzialita’. E cio’, alla luce dell’indirizzo giurisprudenziale, gia’ precedentemente richiamato, secondo cui la prova dell’esistenza, inerenza e competenza dei costi incombe al contribuente, il quale a tal fine ha l’onere di fornire elementi probatori certi e precisi, come prescritto dell’art. 75, comma 4 (cfr. Cass. 10964/07, 18000/064218/06, 10090/02), onere che nella specie non e’ stato assolutamente assolto.

E’ invece inammissibile per difetto di autosufficienza l’ultimo profilo di censura in quanto i ricorrenti incidentali hanno completamente mancato di riportare, nei loro rispettivi ricorsi, previa trascrizione nei suoi esatti termini, il contenuto della doglianza, che avrebbe costituito il motivo di appello e sul quale la CTR avrebbe omesso di pronunciarsi. Ed e’ appena il caso di sottolineare che, pur configurando la violazione dell’art. 112 c.p.c. un error in procedendo, per il quale la Corte di cassazione e’ giudice anche del “fatto processuale”, non essendo tale vizio rilevabile d’ufficio, il potere – dovere della Corte di esaminare direttamente gli atti processuali non comporta che la medesima debba ricercarli autonomamente, spettando, invece, alla parte indicarli.

(Cass. 10593/08).

Alla stregua di tutte le superiori considerazioni, mentre i ricorsi incidentali vanno rigettati, i ricorsi principali devono essere accolti e le sentenze impugnate, che hanno fatto riferimento, in modo non corretto, a regular iuris diverse, devono essere cassate, nei limiti dei ricorsi accolti. Con l’ulteriore conseguenza che, essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, le cause riunite devono essere rinviate ad altra sezione della CTR Campania che provvedera’ anche in ordine al regolamento delle spese della presente fase di legittimita’.

PQM

LA CORTE Riunisce al ricorso 21509/05 i ricorsi 24400/05, 21511/05 e 24001/05, accoglie i ricorsi principali dell’Agenzia, rigetta quelli incidentali, cassa le sentenze impugnate nei limiti dei ricorsi accolti, con rinvio ad altra sezione della CTR Campania che provvedera’ anche in ordine al regolamento delle spese della presente fase di legittimita’.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2010

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