Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34179 del 20/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 20/12/2019, (ud. 07/11/2019, dep. 20/12/2019), n.34179

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7556-2014 proposto da:

SANTA CROCE SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. ZANARDELLI

36, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PUCCIONI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRO BELLOFIORE

BRIOTTONE;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI LECCO in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 129/2013 della COMM.TRIB.REG. di MILANO,

depositata il 14/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/11/2019 dal Consigliere Dott.ssa CAPRIOLI MAURA;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. DE AUGUSTINIS UMBERTO che ha

chiesto l’inammissibilità del ricorso in subordine rigetto.

Fatto

Considerato che:

Con sentenza n. 129/2013 la CTR di Milano rigettava l’appello proposto dalla società Santa Croce s.r.l. avverso la sentenza della CTP di Lecco con cui è stato parzialmente accolto l’impugnativa della società relativa all’avviso di rettifica dei valori dei terreni acquistati con atto di vendita registrato in data 23.7.2009 emesso ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52.

Il giudice di appello rilevava che, contrariamente a quanto affermato dalla contribuente, i primi giudici avevano fondato il loro convincimento su plurimi elementi tenendo conto del valore indicato dalla società Parco Est in sede di redazione del bilancio, del prezzo dell’aggiudicazione nonchè della mancata produzione della copia della fattura di acquisto emessa dal curatore fallimentare per un valore medio di Euro 8,33/mq, malgrado la società appellante ne avesse fatto espressa riserva di produzione.

Osservava per quanto attiene alle sanzioni che la contribuente non aveva addotto ragioni convincenti in merito alla illegittima applicazione.

Avverso tale sentenza la società Santa Croce propone 3 motivi di ricorso cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

Considerato che:

Con un primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, commi 1, 2 e 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Lamenta, in particolare, che la valutazione dell’Ufficio fatta propria dalla CTR si sarebbe fondata su dati inattendibili rispetto a quelli forniti dalla contribuente attraverso la produzione di stime più aggiornate e produzioni documentali attestanti lo scarso valore dei beni negoziati che non sarebbero stati attentamente vagliati dal giudice di appello.

Con un secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51 commi 1, 2 e 3 e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Osserva infatti che l’Amministrazione finanziaria, gravata dall’onere di dimostrare la congruità dei valori attribuiti ai beni nell’avviso di rettifica, non lo avrebbe, nella specie, soddisfatto l’utilizzando in modo non corretto il criterio comparativo.

Denuncia, inoltre, che il quantum sarebbe frutto di un errore in cui sarebbe incorsa l’Amministrazione che avrebbe fondato la determinazione di valore su di una proporzione matematica poi abbandonata in corso di causa.

Con il terzo motivo la società si duole della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, art. 16, comma 3 e art. 17, della L. n. 212 del 2000, artt. 7 e 8 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

La ricorrente nella sostanza lamenta che la CTR avrebbe fornito in punto sanzioni una motivazione insufficiente limitandosi ad un esame formale delle richieste senza riuscire a coglierne la sostanza.

Sostiene infatti che la contribuente avrebbe inteso ottenere, quantunque non espressamente dichiarato, la disapplicazione delle sanzioni a causa di un errore scusabile che trova la sua regolamentazione nel D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, commi 1 e 2.

In via preliminare in ordine all’eccepita irregolarità della notifica del primo ricorso notificato all’Agenzia in quanto privo di procura in data 19.3.2014 cui ha fatto seguito uno successivo atto notificato in data 21.3.2014 completo di procura e alla prospettata tardività dell’impugnativa va rilevato che qualsiasi originaria irregolarità del mandato risulta sanata ai sensi dell’art. 182 c.p.c. con effetto retroattivo.

Ciò posto i primi due motivi del ricorso che vanno esaminati congiuntamente sono infondati.

In proposito occorre muovere dal dato normativo di riferimento.

Il combinato disposto del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 43, comma 1, lett. a) e art. 51, commi 1 e 2 (Testo unico imposta di registro), per gli atti aventi ad oggetto il trasferimento di beni immobili, stabilisce che la base imponibile alla quale commisurare le imposte proporzionali di registro, ipotecaria e catastale è rappresentata dal valore indicato in atto dalle parti.

Tuttavia, se il valore non è indicato, ovvero se il corrispettivo pattuito risulta superiore, la base imponibile è pari a quest’ultimo.

Successivamente, in sede di eventuale accertamento di valore gli uffici dell’Agenzia delle Entrate devono controllare la congruità del valore indicato in atto dalle parti, che deve riflettere il valore venale in comune commercio del bene compravenduto.

Il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 3 detta le linee guida per il controllo sulla congruità dell’imposta per l’ufficio del registro, ora inglobato nell’ufficio delle Entrate.

L’articolo suddetto stabilisce che per gli atti che hanno per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari, ai fini dell’eventuale rettifica, l’ufficio controlla il valore di cui al comma 1 (ovvero il valore indicato in atto dalle parti) avendo riguardo ai trasferimenti a qualsiasi titolo e alle divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni alla data dell’atto o a quella in cui se ne produce l’effetto traslativo o costitutivo, che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni.

In questo caso l’ufficio ha la possibilità di effettuare una sorta di comparazione con dei casi analoghi.

Dunque, l’ufficio provvede alla rettifica, e alla conseguente liquidazione, se ritiene che gli immobili ceduti abbiano un valore venale superiore a quello dichiarato o al corrispettivo pattuito, ed, a tal fine, ha “riguardo ai trasferimenti a qualsiasi titolo e alle divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni alla data dell’atto o a quella in cui se ne produce l’effetto traslativo o costitutivo, che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni, ovvero al reddito netto di cui gli immobili sono suscettibili, capitalizzato al tasso mediamente applicato alla detta data e nella stessa località per gli investimenti immobiliari, nonchè ad ogni altro elemento di valutazione, anche sulla base di indicazioni eventualmente fornite dai comuni” (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 3).

Questa Corte ha affermato che i predetti criteri di valutazione sono assolutamente pariordinati (cfr. Cass. n. 4221 del 2006), ed, in riferimento al criterio comparativo, ha, in particolare, rilevato che la circostanza secondo cui deve aversi riguardo ai trasferimenti a qualsiasi titolo ed alle divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni, non implica l’immodificabilità del valore risultante da detti atti, ma si limita ad indicare un parametro certo di confronto, in base al quale l’Ufficio deve determinare il valore del bene in comune commercio (Cass. n. 4363 del 2011; nr 963 /2018; Cass. 29143/2018 e Cass. nr 1961/2018).

Posta tale premessa nel caso in esame la rettifica del valore indicato nell’atto di vendita era fondata su plurimi elementi primo fra tutti il prezzo di aggiudicazione che non si contesta sia avvenuta oltre il triennio, prezzo esattamente coincidente con la perizia di stima redatta dal consulente nominato dal Tribunale fallimentare nonchè con i dati iscritti a bilancio.

Elementi questi che sono stati ritenuti dalla CTR idonei a sorreggere la determinazione unitamente alla mancata produzione della fattura di acquisto emessa dai curatore fallimentare per un prezzo di acquisto asseritamente inferiore (E 8,33/mq) svolgendo un apprezzamento di fatto ad essa riservata. Ora, è noto che, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, nel cui ambito non rientra il potere di riesaminare e valutare i merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservata l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, la valutazione delle prove, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle stesse, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (v. Cass. n. 9097 del 2017; Cass. n. 7921 del 2011).

A fronte dei plurimi elementi fattuali dei quali la sentenza impugnata per cassazione da conto e fornisce valorizzazione, non coglie affatto nel segno la censura mirata a far risaltare sotto forma di violazione di legge pretese violazioni degli oneri probatori o irregolarità nell’utilizzo dei criteri comparativi. Con riguardo all’ultimo motivo se deve rilevare l’inammissibilità.

Il profilo censurato prospetta una questione nuova non dedotta nel ricorso introduttivo.

La CTR aveva ritenuto non meritevole di accoglimento la richiesta di disapplicazione delle sanzioni in quanto non sorretta da idonei motivi.

La censura sollevata non scalfisce il passaggio argomentativo che ha condotto il Giudice di appello a dichiarare il rigetto della domanda risolvendosi in una violazione di norme di diritto fondata su circostanze non allegate dalla stessa ricorrente oltre che nuove.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta ricorso; condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese di lite che si liquidano in complessive Euro 10.000,00 oltre ad accessori di legge ed al 15% per spese generali; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso se dovuto.

Così deciso in Roma, il 7 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 20 dicembre 2019

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