Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34179 del 15/11/2021

Cassazione civile sez. trib., 15/11/2021, (ud. 22/06/2021, dep. 15/11/2021), n.34179

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 17989/2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (CF (OMISSIS)), in persona del Direttore p.t.,

rapp.ta e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,

elettivamente domiciliata in Roma alla v. dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

UOP LIMITED (CF (OMISSIS)), in persona del legale rapp.te p.t.,

rapp.ta e difesa per procura notarile del 2 agosto del 2013 in atti

del Notaio P.G., rep. n. (OMISSIS), racc. n. (OMISSIS),

dagli avv. Guglielmo Maisto e Marco Cerrato, elettivamente

domiciliati in Roma, alla Piazza d’Aracoeli n. 1;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 611/9/12, depositata in data 28 maggio 2012,

della Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, sezione

staccata di Pescara;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 22 giugno 2021 dal relatore Dott. Aldo Ceniccola.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 611/9/12, depositata il 28 maggio 2012, la Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, rigettava l’appello proposto dall’Ufficio avverso la sentenza con la quale la Commissione tributaria provinciale di Pescara aveva accolto il ricorso proposto da UOP Ltd avverso il silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso del credito di imposta sui dividendi erogati dalla controllata UOP MS s.r.l..

Secondo la CTR, il primo motivo articolato dall’Ufficio era infondato, in quanto correttamente la sentenza impugnata aveva ritenuto assolto l’onere, gravante sulla società, dell’assoggettamento ad imposizione nel Regno Unito dei dividendi pagati dalla controllata italiana, essendo agli atti il relativo documento.

Inammissibile era, poi, il secondo motivo, in quanto articolato su un nuovo tema di indagine, in violazione del divieto di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57.

Infondati erano, infine, gli ulteriori motivi di gravame, in quanto nel corso del giudizio di primo grado era stata prodotta in originale la nota di accredito dei dividendi.

Avverso tale sentenza l’Ufficio propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Resiste il contribuente mediante controricorso illustrato da successiva memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il primo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57 e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 e al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1, avendo la CTR erroneamente dichiarato inammissibile, in quanto nuovo e dunque precluso in appello, il secondo motivo con il quale l’Ufficio aveva eccepito l’illegittimità della richiesta di rimborso sull’assunto che la società aveva già fruito del regime previsto dalla direttiva madre-figlia, alternativo a quello convenzionale, venendo semmai in rilievo una questione di diritto che il giudice avrebbe dovuto esaminare anche d’ufficio.

2. Il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 della Convenzione stipulata tra Italia e Regno Unito per evitare le doppie imposizioni, approvata e resa esecutiva con L. 5 novembre 1990, n. 329, in relazione al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 27-bis ed alla direttiva “madre-figlia” (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, comma 1), in quanto, se la CTR avesse esaminato il motivo fondato sull’intervenuta applicazione della direttiva “madre-figlia” e sulla conseguente inapplicabilità del regime alternativo previsto dalla normativa convenzionale, lo avrebbe dichiarato fondato.

3. I primi due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati.

3.1. Come recentemente statuito da Cass. 20/07/2021, n. 20646, relativamente ad una controversia intercorrente tra le stesse parti, “In tema di imposte sui dividendi corrisposti da una società figlia, residente in Italia, ad una società madre, residente nel Regno Unito, l’esenzione integrale da imposta sui dividendi riconosciuta in Italia ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27-bis che ha attuato la direttiva madre-figlia n. 453/1990/CE, non elimina necessariamente il rischio di doppia imposizione economica né di violazione del principio di neutralità fiscale, secondo l’interpretazione offerta dalla Corte di giustizia (causa C-389/18, del 19 dicembre 2019, Brussels Securities). Pertanto, è consentito alla società madre, che originariamente non abbia subito in Italia ritenute sui dividendi ricevuti D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 27-bis di optare successivamente per l’applicazione dell’art. 10, par. 4 lett. b, della Convenzione contro le doppie imposizioni Italia-Regno Unito, ratificata con L. 5 novembre 1990, n. 329, chiedendo un credito di imposta, che deve però subire una doppia ritenuta, del 5 sull’ammontare dei dividendi ricevuti e di un ulteriore 5 % sull’importo del credito di imposta, non sussistendo una alternatività, in termini assoluti, tra le due fonti normative ed hi applicazione del principio di neutralità ed efficienza fiscale internazionale (international tax neutrality ed efficiency), espressione della intercountry equity”.

3.2. Sul punto è stato condivisibilmente precisato che ciò che si deve evitare è che l’eliminazione o attenuazione della doppia imposizione determini l’effetto contrario rappresentato dalla duplice non-imposizione, conseguenza che può essere evitata proprio in forza della scelta effettuata dalla contribuente tra le modalità alternative previste dalla convenzione bilaterale (riconoscimento del credito d’imposta) e dalla direttiva (esenzione dalla ritenuta), non potendo in alcun caso essere riconosciuta alla società madre sia l’esenzione della ritenuta sull’utile distribuito, sia il credito d’imposta (cfr. Cass., 19/10/2018, n. 26412, par. 5). Non sarebbe, dunque, possibile per la società madre usufruire del credito d’imposta di fonte convenzionale, se la società figlia italiana non effettui alcuna ritenuta sui dividendi attribuiti, mentre, nel caso in esame, la società madre britannica ha chiesto correttamente, con la domanda di rimborso del credito d’imposta, anche l’applicazione di ritenute non effettuate in origine.

3.3. E sulla questione, del resto, il giudice d’appello, con pieno accertamento di fatto, ha stabilito che è stato assolto “l’onere, gravante sulla società, dell’assoggettamento ad imposizione da parte del Regno Unito dei dividendi pagati dalla controllata italiana: è agli atti, infatti, il relativo documento”.

3.4. Quanto poi allo specifico profilo introdotto con il primo motivo, va precisato che la questione della possibile opzione per la tassazione dei dividendi secondo il regime convenzionale Italia-Regno Unito, invece che secondo il regime di esenzione totale dalle ritenute, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27-bis costituiva, sin dal ricorso originario, l’oggetto della richiesta di rimborso e, quindi, rientrava nel perimetro del giudizio conseguente al rigetto della istanza di rimborso del credito d’imposta. In questi termini, dunque, va corretta la motivazione della CTR che ha ritenuto inammissibile, in quanto nuova, la questione sollevata dalla Agenzia delle entrate in ordine alla impossibilità per la società contribuente di formulare l’opzione per la tassazione dei dividendi in base alla Convenzione Italia-Regno Unito sulla doppia imposizione.

3.5. Del resto, va in proposito richiamato il costante orientamento espresso materia da questa Corte, secondo cui “In tema di contenzioso tributario, ove la controversia abbia ad oggetto l’impugnazione del rigetto dell’istanza di rimborso di un tributo avanzata dal contribuente, quest’ultimo riveste la qualità di attore in senso non solo formale -come nei giudizi di impugnazione di un atto impositivo ma anche sostanziale, con la duplice conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e provare i fatti ai quali la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato nella domanda e che le argomentazioni con le quali l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti o la qualificazione ad essi attribuita dal contribuente, costituiscono mere difese, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale, salvo la formazione del giudicato interno o – dove in concreto ne ricorrano i presupposti – l’applicazione del principio di non contestazione” (cfr. da ultimo Cass. n. 26307 del 2020, in parte motiva, in una fattispecie relativa all’applicazione della direttiva “madre-figlia”, in rapporto alla convenzione italo-britannica, sebbene la Corte, in tale occasione, abbia utilizzato il principio sopra riportato per escludere la qualificazione in termini di eccezione in senso stretto della difesa, formulata per la prima volta in appello dall’Ufficio, relativa alla mancanza di prova da parte del contribuente di aver pagato l’imposta nel regno Unito).

4. Con il terzo motivo, l’Ufficio si duole della “violazione e falsa applicazione dell’art. 16 preleggi e dell’art. 10 della Convenzione stipulata tra Italia e Regno Unito per evitare le doppie imposizioni, approvata e resa esecutiva con L. 5 novembre 1990, n. 329, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, comma 1”. Invero, secondo il ricorrente, i giudici di secondo grado non avrebbero verificato il rispetto del principio di reciprocità sotteso alla concessione del beneficio richiesto in base alla Convenzione stipulata tra Italia Regno Unito. Infatti, dal 6 aprile 1999 il Regno Unito ha modificato il regime di tassazione dei dividendi con la soppressione dell’istituto dell’advanced corporation act, passando dal sistema del credito d’imposta a quello dell’esenzione. Pertanto, a decorrere da tale data, il socio inglese che riceve dividendi da una società del Regno Unito non ha più diritto al credito d’imposta. Ciò si rifletterebbe sulla posizione del socio italiano che abbia ricevuto dividendi nel Regno Unito, perché egli non potrà più ricevere alcun credito d’imposta, non previsto in via ordinaria per i residenti. Tale circostanza farebbe venir meno il principio di reciprocità.

4.1. Il motivo è inammissibile.

4.2. Secondo quanto affermato a più riprese da questa Corte, con riguardo al diritto azionato dallo straniero, l’insussistenza della “condizione di reciprocità”, prevista dall’art. 16 preleggi, non può essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità, trattandosi di fatto costitutivo del diritto stesso, ia cui ricorrenza deve essere contestata nel giudizio di merito (Cass. 26/11/1987, n. 8764; Cass., 07/05/2009, n. 10504).

4.3. Come precisato da Cass. n. 20646 del 2021 (più sopra richiamata), inoltre, l’art. 16 preleggi si riferisce ai diritti di carattere privatistico (“diritti civili attribuiti al cittadino”), sicché si sottraggono all’operatività della condizione di reciprocità le norme interne di applicazione necessaria, quali quelle tributarie.

5. Le considerazioni che precedono impongono dunque il rigetto del ricorso. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

6. Risultando soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato (Agenzia delle entrate), in quanto amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica nei suoi confronti il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Pone a carico del soccombente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 13.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2021

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