Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34176 del 20/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 20/12/2019, (ud. 24/10/2019, dep. 20/12/2019), n.34176

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. DI PAOLA Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10981-2017 proposto da:

VM MOTORI SPA, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA GONDAR 22,

presso lo studio dell’avvocato MARIA ANTONELLI, che lo rappresenta e

difeso unitamente all’avvocato CORRADO MAGNANI;

– ricorrente –

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCAIURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

averso la sentenza n. 2911/2016 della COMM.TRTE.REG. di BOLOGNA,

depositata 11/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/10/2019 dal Consigliere Dott. DI PAOLA LUIGI.

Fatto

RILEVATO

che:

con la sentenza impugnata è stata confermata la pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale di Bologna che aveva rigettato l’istanza di rimborso della somma di Euro 345.257,00 per IRAP versata in eccedenza in base alla dichiarazione relativa all’anno 2008, proposta dalla VM Motori S.p.A., per non avere quest’ultima tenuto conto, nella determinazione della base imponibile, della imputazione a perdita delle spese (iscritte alla voce B 10) c) del conto economico che, ai sensi dell’art. 2425 c.c., concerne “altre svalutazioni delle immobilizzazioni”) per attività di ricerca e sviluppo sostenute per la realizzazione di un progetto per la produzione di un motore diesel, cancellato dalla committente (General Motors Co.) il 23 dicembre 2008;

per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la società, affidato ad un unico motivo;

l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso;

la predetta società ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo, la VM Motori S.p.A. – denunciando violazione del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 5.1, così come sostituito dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1.50, lett. a), e dell’art. 101.5 TUIR, nonchè falsa applicazione dell’art. 108 TUIR e del principio di continuità dei valori di bilancio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – si duole che il giudice di appello, nell’escludere la spettanza del rimborso, abbia postulato l’irrilevanza dell’abbandono del progetto ai fini della deducibilità delle perdite di beni agli effetti IRAP ed abbia, quindi, erroneamente, fatto riferimento all’art. 108 TUIR in tema di deducibilità delle quote di ammortamento nell’esercizio di conseguimento dei ricavi;

la pretesa al rimborso è infondata e il ricorso va conseguentemente rigettato;

va in premessa evidenziato che per l’applicazione dell’IRAP, ai sensi del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 5, vale la regola della derivazione dei costi sostenuti dal conto economico, ovvero della cd. derivazione di bilancio, che comporta il controllo della correttezza delle appostazioni nel conto economico alla stregua dei principi civilistici e contabili nazionali (Cass. n. 15115/18);

in estrema sintesi la base imponibile IRAP delle società commerciali è determinata dalla differenza tra la somma delle voci classificabili nel valore della produzione, indicata dall’art. 2425 c.c., comma 1, lett. A) (i corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi direttamente imputabili all’attività dell’impresa, delle cessioni delle materie prime, sussidiarie, di semilavorati e altri beni mobili esclusi i cespiti, delle cessioni delle azioni, obbligazioni o altre quote di partecipazioni e di strumenti finanziari simili, nonchè le indennità conseguite a titolo di risarcimento e tutti i contributi in denaro) e la somma di quelle classificabili ai costi della produzione, indicata dalla lett. B) del medesimo comma al netto, in quanto indeducibili, delle perdite su crediti, delle spese del personale dipendente e lavoro assimilato, dei compensi per lavoro autonomo, della quota interessi del canone di locazione finanziaria, etc…;

il formante giurisprudenziale, inoltre, è nel senso di allineare, ove possibile, l’inquadramento fiscale ai criteri di redazione del bilancio civilistico, così come integrati ed esplicitati dai principi contabili nazionali (Cass. nn. 1304/19; 16447/18; 25690/2016; 21621/15; 23330/2013; 400/2013, in diversi contesti fiscali);

il principio di derivazione, del resto, è il criterio che guida l’intera imposizione diretta anche sui redditi societari, laddove la Corte afferma: “sembra più corretto, dunque, riportare la questione nell’alveo delle regole di redazione del bilancio dettate dal codice civile, valevoli, di norma, anche in ambito fiscale; sin dalla L. delega n. 825 del 1971, art. 2, n. 16, il legislatore, nella determinazione delle base imponibile delle società, si è ispirato al principio della “dipendenza”, ovverosia della “derivazione” dal risultato del conto economico redatto secondo i criteri del codice civile; tale principio è stato recepito dall’art. 52 TUIR (attuale art. 83), anche a seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 344 del 2003; secondo l’opinione unanime della dottrina, inoltre, la determinazione civilistica rappresenta quanto di più approssimato all’effettivo incremento di ricchezza prodotto dall’attività sociale, espressivo della capacità contributiva attribuibile al soggetto passivo collettivo; nella dichiarazione fiscale, pertanto, l’imponibile è liquidato apportando all’utile o alle perdite di esercizio quelle sole variazioni previste in esecuzione dello stesso TUIR, per la basilare esigenza di contemperare i necessari margini di discrezionalità del prudente apprezzamento imprenditoriale – propri del sistema civilistico – con i canoni di certezza, semplicità e prevenzione anti-elusiva che modulano l’interesse fiscale; una simile prospettiva – preme rimarcarlo – vale come parametro interpretativo di alcune disposizioni derogatorie del TUIR, in tema di rimanenze (artt. 92, 93), interessi passivi (artt. 89, 96), proventi immobiliari (art. 90), spese di pubblicità, propaganda etc. (art. 108), svalutazioni e accantonamenti (artt. 106, 107); è anche possibile, ovviamente, che si verifichi il fenomeno della “derivazione rovesciata”, allorquando la società adegui ab initio il bilancio civilistico ad esigenze tipicamente fiscali (Cass. 1699/1985); in sintesi, le variazioni obbligatorie rispetto al conto economico non possono che essere unicamente quelle previste in esecuzione delle disposizioni del TUIR (sezione I, capo II, titolo II), come stabilisce esplicitamente il primo periodo dell’art. 83, TUIR” (Cass. nn. 10902/19 e 9252/19, in tema di ammortamento);

secondo il principio OIC 29, un errore nel bilancio consiste nell’impropria o mancata applicazione di un principio contabile se, al momento in cui viene commesso, le informazioni e i dati necessari per la sua corretta applicazione sono disponibili; una volta scoperto, l’errore deve essere prontamente rettificato, non appena si disponga delle informazioni e dei dati per il suo corretto trattamento in bilancio; più in particolare, l’errore rilevante commesso negli esercizi precedenti deve essere rilevato sul saldo d’apertura del patrimonio netto dell’esercizio in cui è individuato, mentre deve essere rilevato a conto economico in tutti gli altri casi;

pertanto, chi intenda ottenere il rimborso fiscale derivante da errori di classificazione rilevanti è previamente tenuto a procedere ad apposita rettifica (nel caso mancata, avuto riguardo al silenzio serbato in ricorso sul punto ed al ragionamento della CTR che presuppone l’omissione) in bilancio, non potendo – contrariamente a quanto sostenuto dalla contribuente in memoria – accertarsi incidentalmente la corretta imputazione contabile di una operazione al mero fine della determinazione della esatta obbligazione tributaria;

l’omessa correzione del bilancio implica, del resto, il mancato riconoscimento, ad opera dell’assemblea dei soci, dell’errore stesso (laddove, per Cass. n. 20122/18, v’è invece la possibilità per il fisco di rettificare il bilancio a fini tributari, contestando i criteri utilizzati dal contribuente nella sua redazione, al fine di far emergere la sussistenza di una imposta evasa o l’insussistenza di un rimborso);

resta così, nel caso, non dimostrata la certa infruttuosità futura dei costi di ricerca e sviluppo – che secondo il principio OIC 24 comprendono anche quelli per personale e beni strumentali affrontati dalla contribuente, società operante nel settore motoristico, per un progetto pur sempre motoristico;

infine, riguardo ai principi contabili internazionali (IAS-38), un’attività immateriale deve essere stornata quando nessun beneficio economico futuro è atteso per il suo utilizzo o dismissione (p.112) e l’ammortamento non cessa se l’attività immateriale non è più utilizzata (p.117);

al rigetto del ricorso segue il pagamento delle spese di lite, determinate come in dispositivo;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna la società al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, della somma di Euro 8.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 20 dicembre 2019

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