Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34174 del 15/11/2021

Cassazione civile sez. VI, 15/11/2021, (ud. 24/06/2021, dep. 15/11/2021), n.34174

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20500-2020 proposto da:

V.L., rappresentato e difeso dall’avv. PAOLO BRIN;

– ricorrente –

contro

V.G., rappresentato e difesi dall’avv. LAMBERTO FERRARA;

ISMEA, rappresentata e difesa dall’avv. Michele Lo Bianco;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1547/2019 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 14/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/06/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

V.M. chiamava in giudizio dinanzi al Tribunale di Savona V.L. e la Ismea. L’attore chiedeva l’annullamento di due contratti di intercorsi con l’Ismea (uno dei quali aveva quale parte, oltre l’attore e l’Ismea, Ve.Gi., l’altro l’Ismea r il solo V.L.), oltre la condanna del convenuto V.L. alla restituzione di somme abusivamente prelevate dal conto corrente del genitore.

Il Tribunale di Savona rigettava le domande volte a ottenere l’annullamento dei contratti e accoglieva la domanda di restituzione, ritenendo che il convenuto V.L. non avesse dato la prova del proprio assunto, in base al quale egli era a sua volta creditore del genitore in forza di accordi collegati alle operazioni di cui ai contratti oggetto della domanda di annullamento.

V.L. impugnava la sentenza dinanzi alla Corte d’appello di Genova, sostenendo, per quanto interessa in questa sede, che il primo giudice avrebbe dovuto ritenere provato l’accordo con il genitore in forza del principio di non contestazione.

Si costituiva l’Ismea, rilevando che l’impugnazione era stata ad essa notificata solo ai fini del contraddittorio, in assenza di impugnazione delle statuizioni che la riguardavano.

Si costituiva V.G., nella qualità di erede di V.M., resistendo al gravame.

La Corte d’appello confermava la sentenza di primo grado, rilevando che la tesi dell’appellante, circa l’esistenza di accordi con il genitore tali da escludere il debito restitutorio, era rimasta sfornita di prova; anzi era stata sementata dalla deposizione della persona, che era stata indicata dallo stesso V.L. quale destinataria del pagamento che egli aveva eccepito di aver fatto per conto del padre.

La Corte d’appello condannava l’appellante al pagamento delle spese di lite sia in favore della Ismea, sia in favore di V.G..

Per la cassazione della sentenza V.L. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Con il primo denuncia la violazione degli artt. 332 e 91 c.p.c., nella parte in cui la Corte d’appello l’aveva condannato al pagamento delle spese di lite anche in favore dell’Ismea, che era stata chiamata nel giudizio da V.M., il quale rimase soccombente sulle domande di impugnativa contrattuale. Si sottolinea che l’impugnazione fu notificata dall’attuale ricorrente ad Ismea solo per esigenze di contraddittorio. Egli non aveva proposto né in primo grado né in appello alcuna domanda contro la stessa Ismea.

Con il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c.. Il ricorrente si duole perché la Corte d’appello era giunta alla conclusione, della carenza di prova dell’accordo con il genitore, senza compiere la dovuta verifica circa l’esistenza di specifiche contestazioni mosse dalla controparte.

Hanno resistito con distinti controricorsi la Ismea e V.G.. La causa è stata fissata dinanzi alla Sesta sezione civile della Suprema Corte su conforme proposta del relatore di manifesta fondatezza del primo motivo di inammissibilità del secondo motivo. Le parti hanno depositato memoria.

Il primo motivo è fondato. L’Ismea fu originariamente chiamata in giudizio dall’attore V.M. e non da V.L., il quale, nel proporre appello contro la sentenza, notificò l’atto di impugnazione ad Ismea, senza proporre alcuna domanda nei confronti di questa. Il capo di sentenza con il quale furono rigettate le domande di impugnativa negoziale, proposte anche nei confronti di Ismea non furono impugnate dall’attore originario, soccombente rispetto ad esse. Si rende quindi applicabile, nella specie, il seguente principio di diritto “Nell’ipotesi di cause scindibili ex art. 332 c.p.c., la notifica dell’appello proposto dal convenuto soccombente agli altri convenuti vittoriosi nel giudizio di primo grado non ha valore di vocatio in ius ma di mera litis denuntiatio, sicché questi ultimi non diventano, per ciò solo, parti del giudizio di gravame, né sussistono i presupposti per la condanna dell’appellante al pagamento delle spese di lite in loro favore, ove gli stessi non abbiano impugnato incidentalmente la sentenza, atteso che, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., detta pronuncia presuppone la qualità di parte nonché la soccombenza” (Cass. n. 5508/2016; n. 2208/2012).

Avuto riguardo al caso di specie, dall’applicazione di tali principi deriva che l’appello del V.L. non precludeva il passaggio in giudicato del capo della sentenza di primo grado che aveva respinto le domanda a suo tempo proposte da V.M. nei confronti della Ismea. Questa, pertanto, in difetto di impugnazione di tale capo da parte dell’originario attore, si è inutilmente costituita nel giudizio di gravame; non ricorrevano, in conseguenza, i presupposti per la condanna di V.L. al pagamento delle spese in favore della Ismea, atteso che, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., detta condanna esige la qualità di parte, e perciò una vocatio in ius, nonché la soccombenza.

Il secondo motivo è inammissibile.

Non si chiarisce, infatti, con la specificità richiesta in sede di ricorso per cassazione (infra), la ragione per cui la Corte d’appello avrebbe dovuto ritenere non contestate le circostanze dedotte dall’attuale ricorrente V.L. al fine di negare il diritto del genitore alla restituzione A un attento esame il ricorrente denuncia la violazione del “principio di non contestazione” quasi in via di mera ipotesi. Si sostiene che la Corte d’appello, prima di stabilire se l’attuale ricorrente avesse dato la prova dei propri assunti, avrebbe dovuto valutare se le “circostanze dedotte dal signor V.L. fosse state o meno contestate dal signor V.M.”, laddove “tale accertamento è stato completamente obliterato dalla Corte, che si limita ad affermare che le stesse non sarebbero state provate” (pagg. 3 della memoria del ricorrente). Il rilievo, a un attento esame, rende ancora più evidente l’inammissibilità della censura come formulata in questa sede, tenuto conto del consolidato principio secondo cui “La denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione; ne consegue che è inammissibile l’impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito (Cass. n. 26419/2020; n. 28831/2014). Il ricorrente, quindi, non si può dolere della mancata verifica della esistenza di contestazione per sé stessa, ma avrebbe appunto dovuto censurare la decisione, perché tale verifica, qualora compiuta, avrebbe giustificato l’applicazione del principio di non contestazione; inoltre, come già accennato, avrebbe dovuto assolvere agli oneri imposti a colui che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare la violazione del principio di non contestazione da parte del giudice di merito. E’ stato precisato che “il motivo di ricorso per cassazione con il quale si intenda denunciare l’omessa considerazione, nella sentenza impugnata, della prova derivante dalla assenza di contestazioni della controparte su una determinata circostanza, deve indicare specificamente il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi, evidenziando in modo puntuale la genericità o l’eventuale totale assenza di contestazioni sul punto” (Cass. n. 12840/2017).

In conclusione, fondato il primo motivo, inammissibile il secondo, la sentenza deve essere cassata in relazione al motivo accolto; non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, questa Corte può decidere nel merito e dichiarare irripetibili le spese sostenute in grado d’appello da Ismea.

Compensate fra tutte le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il primo motivo; dichiara inammissibile il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara irripetibili le spese sostenute in grado d’appello da Ismea; dichiara interamente compensate fra tutte le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 24 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2021

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