Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34170 del 15/11/2021
Cassazione civile sez. II, 15/11/2021, (ud. 19/02/2021, dep. 15/11/2021), n.34170
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24864/2019 proposto da:
B.E., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO TRIESTE 10,
presso lo studio dell’avvocato EMANUELE BOCCONGELLI, che lo
rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, IN PERSONA DEL MINISTRO PRO TEMPORE,
COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO PROTEZIONE INTERNAZIONALE
ANCONA;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di L’AQUILA, depositata il
13/06/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
19/02/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.
Fatto
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Il sig. B.E. ha proposto ricorso, sulla scorta di un motivo, per la cassazione del decreto del Tribunale di L’Aquila che, confermando la decisione della Commissione Territoriale di Ancona per il Riconoscimento della Protezione Internazionale, gli ha negato il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.
Il Ministero dell’Interno ha presentato controricorso, eccependo l’inammissibilità del ricorso.
La causa è stata chiamata all’adunanza di Camera di consiglio del 19 febbraio 2021.
Il richiedente riferiva di essere fuggito dal Gambia per sottrarsi alle violenze della matrigna, che aveva anche tentato di ucciderlo.
Il Tribunale ha escluso che tale vicenda integrasse i presupposti della persecuzione costitutiva del diritto allo status di rifugiato; ha ritenuto non vi fossero ragioni per ritenere che il richiedente rischiasse, tornando nel proprio Pese, un “danno grave” D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14; non ha ravvisato un significativo livello di integrazione del richiedente in Italia.
Con l’unico mezzo di ricorso il sig. B. denuncia violazione delle norme sulla protezione internazionale e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Ad avviso del ricorrente, il Tribunale non ha preso adeguatamente in considerazione la violenza e le minacce da lui subite ad opera della matrigna, né la sua condizione di vulnerabilità, dettata dalle esperienze traumatiche e dai maltrattamenti subiti in passato, la cui veridicità non è stata messa in discussione dalla Corte.
La censura investe sia la statuizione di diniego della protezione sussidiaria, denunciando la violazione dell’art. 5, lett. c), in cui il Tribunale sarebbe incorso trascurando che lo Stato del Gambia non offre adeguata protezione contro le violenze domestiche; sia la statuizione di diniego della protezione umanitaria, lamentando che il Tribunale avrebbe trascurato la giovane età del ricorrente e le esperienze traumatiche dal medesimo vissute.
Il motivo è infondato.
Quanto alla censura relativa al diniego della protezione sussidiaria, quest’ultima è stata correttamente negata dal Tribunale, perché i dissidi fra il ricorrente e la sua matrigna sono in sostanza riconducibili ad una lite tra privati (cfr. Cass. n. 19258/20: “In tema di protezione internazionale, le liti tra privati non possono essere addotte quale causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, trattandosi di “vicende private” estranee al sistema della protezione internazionale, nelle forme dello “status” di rifugiato, in presenza di atti di persecuzione, e della protezione sussidiaria, in presenza di serio ed effettivo rischio di subire danno grave in caso di rimpatrio”).
Quanto alla censura relativa al diniego della protezione umanitaria, essa va giudicata inammissibile, in quanto sollecita una revisione – che non trova ingresso in sede di legittimità se non nei ristretti limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, novellato con il D.L. n. 83 del 2012 – in ordine alla situazione nel Paese di origine ed livello di integrazione raggiunto in Italia dal richiedente (giudicato dal Tribunale, quest’ultimo, insufficiente ad integrare il diritto a tale forma di protezione).
Il ricorso è rigettato.
Nulla per le spese, giacché il controricorso del Ministero risulta, a dispetto della indicazione della causa alla quale si riferisce (numero d’iscrizione a ruolo, nomi delle parti, decisione impugnata), privo di forza individualizzante, constando di uno schema avversativo “di genere”, sprovvisto cioè di concreta attitudine di contrasto, attraverso l’esposizione di argomenti specificamente indirizzati a quella vicenda e a quella decisione e posti a confronto di quel ricorso (in termini, Cass. 6186/21, non massimata).
Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2021