Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3417 del 11/02/2011

Cassazione civile sez. II, 11/02/2011, (ud. 22/12/2010, dep. 11/02/2011), n.3417

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. PROTO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA LUNIGIANA 6, presso lo studio dell’avvocato D’AGOSTINO

GREGORIO, rappresentato e difeso da se stesso;

– ricorrente –

contro

PREFETTURA MESSINA in persona del Prefetto pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 823/2004 del TRIBUNALE di MESSINA, depositata

il 18/03/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/12/2010 dal Consigliere Dott. CESARE ANTONIO PROTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Prefetto di Messina in data 26/9/2003 emetteva, nei confronti di I.P., l’ordinanza ingiunzione prot. N. 1072/99 notificata il 7/11/2003.

Con l’ordinanza era ingiunto all’ I. il pagamento della somma di Euro 5.167,19 a titolo di sanzione per la violazione della L. 17 maggio 1995, n. 172, art. 6 e succ. mod. per avere immesso, tramite sistema di smaltimento condominiale, gli scarichi delle proprie acque fognarie in un sistema di fosse biologiche disperdenti nel territorio circostante.

L’ordinanza era stata emessa a seguito al verbale di accertamento del 16/3/1999 del Comando Polizia Municipale di Messina.

I.P. proponeva opposizione deducendo:

– il difetto di motivazione dell’ordinanza;

– la tardività della sua emissione rispetto al ricorso presentato avverso il verbale di contestazione del 7/6/1999, in quanto l’ordinanza era stata emessa oltre 4 anni dopo il ricorso;

l’estinzione dell’obbligazione per mancata notifica della contestazione entro 90 giorni dall’accertamento;

– l’insussistenza dell’illecito;

– la violazione della L. 31 dicembre 1996, n. 675, art. 17, nella parte in cui dispone che nessun provvedimento amministrativo che implichi una valutazione del comportamento umano può essere fondato unicamente su un trattamento automatizzato dei dati personali;

– la violazione della L. n. 689 del 1989, art. 5, per avere ritenuto sussistente il concorso nella violazione amministrativa, che, invece, non avrebbe potuto essere ritenuto sussistente.

Il Prefetto rimaneva contumace.

Il Tribunale di Messina, con sentenza del 18/3/2004, respingeva l’opposizione per i seguenti motivi:

– la violazione era stata accertata in data 16/3/1999; il verbale di contestazione era stato consegnato all’agente postale per la notifica a mezzo posta in data 11/6/1999 e pertanto entro i 90 giorni, posto che il termine a carico del notificante deve intendersi rispettato con riferimento al momento della consegna del plico all’agente postale;

– l’emanazione dell’ordinanza prefettizia a distanza di oltre 4 anni dalla presentazione degli scritti difensivi non era causa di nullità perchè nessun termine è previsto per l’emissione dell’ordinanza, nè avrebbe potuto essere applicato il termine di 30 giorni per la definizione del procedimento previsto dalla L. n. 241 del 1990, art. 2, stante la diversità de procedimento riguardante l’applicazione di sanzioni amministrative, avente natura contenziosa, rispetto alla normativa generale in materia di procedimento amministrativo, contenuta nella L. n. 241 del 1990;

– l’eccezione di nullità dell’ordinanza per omessa convocazione del ricorrente al fine della personale audizione e l’eccezione di nullità per carenza di motivazione erano infondate rispettivamente perchè l’opponente era stato convocato con racc. a.r. n. (OMISSIS) del 9/5/2001 (indicazione contenuta nell’ordinanza ingiunzione) e perchè l’ordinanza era adeguatamente motivata, sia pure per relationem alle risultanze dell’accertamento;

per l’integrazione dell’illecito contestato era sufficiente la sola abusiva apertura di impianto fognario sprovvisto di autorizzazione, indipendentemente da un attuale utilizzo; secondo il giudice a quo la disponibilità materiale e giuridica dell’immobile che ne ha il proprietario induce a identificare nel medesimo il responsabile della condotta di apertura dello scarico;

L’identificazione mediante dati anagrafici del proprietario dell’immobile nel quale era stata accertata l’esistenza degli scarichi abusivi non comportava violazione della L. n. 675 del 1996, art. 17, perchè nella specie l’utilizzo dei dati anagrafici e personali non risultava strumentale ad alcuna valutazione del profilo o della personalità dell’interessato.

Avverso la sentenza propone ricorso per Cassazione I. P. deducendo sei motivi.

Il Prefetto di Messina resiste con controricorso notificato il 18/6/2005 e depositato il 6/7/2005.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il primo e il terzo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente in quanto in entrambi è dedotto il vizio di motivazione e la violazione e falsa applicazione di legge in relazione a pretesi motivi (tempestivamente addotti) di nullità dell’ordinanza impugnata (L. n. 689 del 1981, ex art. 18) sia perchè emessa senza che fosse stato sentito il ricorrente sia perchè asseritamente mancante di motivazione.

Il giudizio di opposizione alla sanzione amministrativa ha il suo presupposto nell’esistenza di un atto amministrativo che infligge la sanzione ma si svolge sul rapporto; il suo oggetto non è l’atto amministrativo, ma l’accertamento della conformità della sanzione a quanto previsto dalla legge; con l’opposizione, dunque, si fa valere il diritto a non subire la sanzione se non nei casi espressamente previsti dalla legge.

Proprio in applicazione di questi principi la Cassazione a sezioni unite (Sez. U, Sentenza n. 1786 del 28/01/2010), con riferimento alla mancata audizione dell’interessato, ha affermato che in tema di ordinanza ingiunzione emessa in esito al ricorso facoltativo al Prefetto, ai sensi del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 204, ovvero a conclusione del procedimento amministrativo L. 24 novembre 1981, n. 689, ex art. 18, la mancata audizione dell’interessato che ne abbia fatto richiesta in sede amministrativa non comporta la nullità del provvedimento, in quanto, riguardando il giudizio di opposizione il rapporto e non l’atto, gli argomenti a proprio favore che l’interessato avrebbe potuto sostenere in sede di audizione dinanzi all’autorità amministrativa ben possono essere prospettati in sede giurisdizionale.

Nella stessa sentenza si è altresì affermato, con riferimento al diverso profilo della mancanza di motivazione dell’ordinanza ingiunzione, che “la tutela del presunto trasgressore, anche nel caso in cui l’ordinanza ingiunzione opposta non abbia espressamente motivato sulle deduzioni difensive svolte nella fase amministrativa è comunque piena, atteso che ognuna delle stesse deduzioni può essere proposta al giudice, deve concludersi nel senso che il difetto di motivazione in ordine alle predette deduzioni non sia funzionale all’oggetto dell’accertamento e, quindi del giudizio … i vizi motivazionali dell’ordinanza ingiunzione, non comportano la nullità del provvedimento, e quindi l’insussistenza del diritto di credito derivante dalla violazione commessa … Ne consegue che anche tale vizio non può comportare l’annullamento dell’ordinanza ingiunzione”.

Non vi sono ragioni per mettere in discussione i principi sovra esposti.

Ne discende che la doglianza riguardante il vizio di motivazione della sentenza sull’eccezione di nullità dell’ordinanza ingiunzione per violazione dell’obbligo di audizione dell’interessato e per violazione dell’obbligo di motivazione è inammissibile in quanto non pertinente ad un punto decisivo per il giudizio, costo che tali violazioni, quand’anche fossero accertate, non comporterebbero la nullità dell’ordinanza ingiunzione; per le considerazioni che precedono il motivo, sotto il profilo della violazione di legge, è infondato.

2. Il secondo motivo di ricorso riguarda la pretesa nullità dell’ordinanza ingiunzione in quanto tardivamente emessa in violazione della L. n. 241 del 1990, art. 2, sul procedimento amministrativo.

La decisione impugnata, sul punto, è conforme all’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte dopo la sentenza della Cassazione a sezioni unite (Sez. U, Sentenza n. 9591 del 27/04/2006) che, con motivazione pienamente condivisa da questa Corte, ha affermato che “il termine di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 2, comma 3, tanto nella sua originaria formulazione, quanto in quella risultante dalla modificazione apportata dal D.L. n. 35 del 2005, art. 3, comma 6 bis conv. dalla L. n. 80 del 2005, è incompatibile con i procedimenti regolati dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, che costituisce un sistema di norme organico e compiuto e delinea un procedimento di carattere contenzioso scandito in fasi, i cui tempi sono regolati in modo da non consentire, anche nell’interesse dell’incolpato, il rispetto di un termine così breve” (v., per le massime successive conformi: Cass. Sez. 2, n. 8763 del 13/04/2010; Cass. Sez. 2, n. 16764 del 16/07/2010).

Pertanto questo secondo motivo deve essere dichiarato infondate.

3. Nel ricorso è indicato con il numero 3 un motivo (violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 3; che, tuttavia, è preceduto da altro motivo pur esso indicato con il numero 3 e già esaminato al precedente punto 1; pertanto in questo paragrafo ci si riferisce al motivo indicato con il secondo numero 3).

Il motivo, come sopra genericamente rubricato, in realtà comprende tre distinte doglianze:

3.1 con la prima doglianza il ricorrente nega di essere l’autore della condotta consistente nell’avere effettuato gli scarichi; questo motivo dovrebbe, quindi, giustificare il richiamo del ricorrente alla L. n. 689 del 1981, art. 3, dove, appunto, è previsto che “nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”;

3.2 la seconda doglianza è fondata su un preteso vizio ci motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui rigetta l’opposizione ritenendo ininfluente il fatto che l’opponente potesse avere effettivamente effettuato scarichi fognari e ritenendo invece sufficiente, ai fini sanzionatori, la condotta di apertura dell’impianto abusivo di smaltimento delle acque reflue. Il ricorrente deduce anche la pretesa violazione della L. 10 maggio 1976, n. 319, art. 21, in relazione alla L. n. 689 del 1981, art. 14 (che prevede l’obbligo di contestazione della violazione) per violazione del principio di contestazione; osserva di essere stato contravvenuto per avere effettuato scarichi fognari abusivi, mentre il giudice dell’opposizione avrebbe ritenuto sussistente, non tale condotta, ma la condotta di abusiva apertura di impianto fognario;

3.3 la terza doglianza è fondata sulla pretesa violazione della L. n. 675 del 1996, art. 17, perchè il giudice non avrebbe rilevato la nullità della sanzione in quanto originata dalla violazione del suddetto articolo; si assume, infatti, che la violazione sarebbe stata accertata, in preteso contrasto con la suddetta norma, esclusivamente sulla base del trattamento automatizzato dei dati anagrafici e di proprietà dell’immobile.

4.1 La prima doglianza è inammissibile perchè attiene ad un pianto non decisivo per il giudizio: i giudice a quo ha ritenuto del tutto ininfluente l’accertamento su un utilizzo in atto degli scarichi fognari abusivi, ritenendo invece sufficiente anche la sola abusiva apertura degli scarichi, nella specie provala presuntivamente dalla disponibilità materiale e giuridica dell’immobile da parte del proprietario; pertanto la circostanza che il ricorrente avesse effettuato o meno degli scarichi fognari al momento dell’accertamento da parte degli agenti di polizia municipale, anche per la ragioni in prosieguo esposte, non è decisiva.

4.2 il motivo di cui al precedente punto 3.2, come detto, è relativo ad un preteso vizio motivazionale consistente nel riconoscimento, da un lato, dell’insussistenza della condotta di effettuazione degli scarichi di acque reflue e, dall’altro nell’addebito di una condotta – di apertura dello scarico abusivo – che non sarebbe stata contestata.

Occorre premettere, quanto alla ricognizione del dato normativo, che la L. n. 319 del 1976, art. 21, puniva con una sanzione penale la condotta di chi effettuava nuovi scarichi nelle acque indicate dall’art. 1 della citata legge o sul suolo o nel sottosuolo; nel testo originario era esclusa la necessità di nuova autorizzazione per gli scarichi civili non confluenti .in pubbliche fognature e preesistenti, se conformi al titolo edificatorio (cfr. Cass. pen. S.U. n. 7673/91).

La norma è stata poi modificata dal D.L. n. 79 del 1995, art. 6 comma 2, convertito dalla L. n. 172 del 1995 (applicabile ratione temporis) per la quale “Chiunque apra o comunque effettui scarichi civili e delle pubbliche fognature, servite o meno da impianti pubblici di depurazione, nelle acque indicate nell’art. 1, sul suolo o nel sottosuolo, senza aver richiesto l’autorizzazione … è punito con la sanzione amministrativa da L. dieci milioni a L. cento milioni”; la normativa è stata, poi, ulteriormente modificata dal D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 54 (pure richiamato nell’ordinanza ingiunzione) dove è previsto che “Chiunque apre o comunque effettua scarichi di acque reflue domestiche o di reti fognarie, servite o meno da impilanti pubblici di depurazione, senza l’autorizzazione di cui all’art. 45, ovvero continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l’autorizzazione sia stata sospesa o revocata, è punito con la sanzione amministrativa …. Nell’ipotesi di scarichi relativi ad edifici isolati adibiti ad uso abitativo la sanzione è da uno a cinque milioni”. Pertanto è indubitabile che per la sussistenza della violazione non e necessario, come correttamente ritenuto dal giudice a quo, che sia accertato un utilizzo in atto dello scarico di acque reflue abusivo, così, come è del tutto irrilevante la circostanza che un soggette, il quale abbia realizzato o comunque disponga ai un impianto di scarico abusivo sia sorpreso mentre ne fa uso ed è altrettanto irrilevante accertare se chi ne dispone sia assente per periodi più o meno lunghi dall’immobile servito dall’impianto di scarico delle acque reflue.

La norma, infatti, come risulta dalla lettura del testo, sanziona indifferentemente tanto la realizzazione dell’impianto fognario abusivo (ossia l’apertura dello scarico) quanto il suo utilizzo (l’effettuazione dello scarico), ad esempio da parte del conduttore di un immobile dotato dell’impianto abusivo, salvo la rilevanza della buona fede. Nell’individuare il soggetto attivo della violazione in “chiunque” si renda responsabile dell’apertura o, comunque, dell’effettuazione di uno scarico senza avere richiesto l’autorizzazione, la norma chiarisce che, coerentemente con la finalità di tutela ambientale, la violazione non presuppone una particolare qualità del soggetto attivo, potendo lo stesso identificarsi sia in colui che, realizzando il relativo impianto, abbia aperto gli scarichi e sia in chi, valendosi dell’impianto, in quanto lo gestisca o lo detenga di fatto, od anche in assenza di esso, effettui, gli scarichi (cfr., negli stessi termini, Cass. Sez. 2 15/5/2007 n. 11122).

Per tali considerazioni, deve concludersi che è immune da vizi motivazionali la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che la prova della materialità della condotta sanzionata è stata pienamente raggiunta attraverso la prova della disponibilità materiale e giuridica dell’immobile di civile abitazione servito dall’impianto di smaltimento, indipendentemente da un attuale utilizzo.

Nella sentenza impugnata la condotta sanzionata è stata qualificata, sulla base delle risultanze del verbale di contravvenzione richiamate nell’ordinanza ingiunzione, come condotta di apertura di scarico abusivo piuttosto che di effettuazione di scarico abusivo.

Dall’esame dell’ordinanza ingiunzione, che qui si impone in relazione alla specificità della censura, emerge che all’ I. era stato contestato di avere immesso gli scarichi delle proprie acque fognarie in un sistema di fosse biologiche disperdenti sul territorio,. tramite il sistema di smaltimento condominiale e che egli era il proprietario dell’immobile.

Nell’ordinanza ingiunzione erano, dunque, valorizzati e contestati gli elementi della proprietà dell’immobile e della comproprietà del sistema di smaltimento condominale (che deriva dall’art. 1117 c.c., n. 3), elementi che sarebbero stati irrilevanti se si fosse inteso contestare la semplice materialità dell’effettuazione dello scarico e non la realizzazione delle attività che rendono possibile detta effettuazione.

Il giudice a quo, nel ritenere l’ I. responsabile della condotta di abusiva apertura dell’impianto fognario,non ha stravolto o modificato i fatti materiali contestati, ma, con adeguata motivazione, ha ritenuto che quei fatti integrassero la condotta di abusiva apertura dell’impianto fognario, sanzionata dalla norma esattamente individuata dal Prefetto e correttamente applicata. Anche questo motivo di ricorso è pertanto infondato.

4.3 La terza doglianza, come detto, è relativa, ad una pretesa violazione della L. n. 675 del 1996, art. 17, che se fosse stato adeguatamente applicato dal giudice, avrebbe comportato, a dire del ricorrente, la declaratoria di nullità dell’ordinanza ingiunzione.

Il citato art. 37, al comma 1, stabilisce che nessun atto o procedimento giudiziario o amministrativo che implichi una valutazione del comportamento umano può essere fondato unicamente su un trattamento automatizzato di dati personali volto a definire il profilo o la personalità dell’interessato.

Anche questo motivo è infondato essendo immune da ceri sur e la motivazione del giudice che ha ritenuto la norma non pertinente al caso concreto in quanto l’utilizzo dei dati anagrafici del proprietario del bene, nel caso concreto, non è stato strumentale ad alcuna valutazione del profilo o della personalità dell’interessato, ma solo alla sua identificazione; il profilo comportamentale e la personalità dell’interessato non assumevano e non assumono alcun rilievo ai fini dell’irrogazione della sanzione che si fonda esclusivamente sull’accertamento dell’esistenza di uno scarico fognario abusivo e sull’individuazione del proprietario che viene sanzionato sul presupposto che ne abbia la disponibilità materiale e giuridica.

5) Con il motivo indicato con il n. 5 (peraltro non preceduto da un motivo n. 4, ma da un motivo indicato con il numero 3 che fa seguito ad altro motivo pure indicato con il n. 3) il ricorrente ribadisce che, non avendo effettuato lo scarico, non poteva essere ritenuto concorrente nella violazione con altri che avevano invece scaricato le acque reflue; questo motivo deve ritenersi assorbito nel motivo di cui al precedente punto 3.1 con il quale l’ I. contesta di avere effettuato lo scarico; la decisione di inammissibilità per mancanza di decisività (v. supra punto 4.1) si estende anche a questo motivo.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corre rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 1.000,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 22 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2011

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