Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34161 del 20/12/2019

Cassazione civile sez. III, 20/12/2019, (ud. 08/11/2019, dep. 20/12/2019), n.34161

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24791/2017 R.G. proposto da:

G.N., rappresentata e difesa dall’Avv. Andrea Lijoi, con

domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Acqua Donzella,

n. 11, pal. B, sc. B, int. 15;

– ricorrente –

contro

ATER – Azienda Territoriale Edilizia Residenziale Pubblica del Comune

di Roma, rappresentata e difesa dall’Avv. Edmonda Rolli, con

domicilio eletto presso la sede dell’Avvocatura dell’ente in Roma,

via Fulcieri Paulucci dè Calboli, n. 20/E;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 1218/2017,

depositata il 16 marzo 2017;

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio dell’8 novembre

2019 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con sentenza del 19/12/2013 il Tribunale di Roma rigettò la domanda proposta da G.N. nei confronti dell’Ater di Roma volta all’accertamento, in opposizione a decreto di rilascio notificato dall’ente, del diritto a subentrare alla defunta madre nella locazione avente ad oggetto alloggio di edilizia popolare.

Osservò infatti che la G. non risultava convivente con la madre al momento del decesso di quest’ultima (20/4/1998) ed era, inoltre, carente del requisito reddituale.

2. Tale decisione è stata confermata dalla Corte d’appello di Roma che ha rigettato l’appello interposto da G.N. sul triplice rilievo che:

– essendo il requisito reddituale un presupposto per il valido esercizio del diritto al subentro, da verificarsi dal giudice anche d’ufficio, era comunque onere della parte ricorrente offrirne la prova, essendo irrilevante che di esso non si facesse menzione nel decreto di rilascio opposto;

– il reddito dominicale posseduto dall’istante, secondo quanto dalla stessa riconosciuto, sulla base della rendita catastale aggiornata, superava il limite massimo di Lire 100.000.000 previsto dall’art. 21 del Regolamento regionale n. 2 del 2000, richiamato dalla L.R. Lazio 6 agosto 1999, n. 12, art. 11, comma 1, lett. c), per il computo del requisito reddituale, non rilevando che tale limite fosse stato successivamente aumentato con Regolamento del 23/4/2008, dovendo il requisito in parola sussistere già al momento dell’assegnazione (ovvero al momento in cui si maturano le condizioni per il subentro) oltre che permanere in costanza di rapporto;

– peraltro, non risulta neppure che la G. ovvero la sua dante causa avessero effettuato la necessaria comunicazione all’Ater dell’avvenuto rientro della prima nel nucleo familiare, come prescritto dall’art. 12, comma 5, L.R. cit., al fine di consentire all’ente gestore di verificare l’insussistenza di causa di decadenza dall’assegnazione.

3. Avverso tale sentenza G.N. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi, cui resiste l’Ater depositando controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione della L.R. Lazio n. 12 del 1999, art. 12, comma 5.

Sostiene che tale ultima disposizione richiede la comunicazione all’ente gestore dell’ingresso nell’alloggio di uno dei soggetti indicati nel comma 4 (tra cui i figli) ai soli fini della verifica da compiersi da parte dello stesso ente, non già ai fini dell’acquisto del diritto al subentro. Questo – afferma – “o c’è o non c’è, a prescindere da qualsivoglia attività accertativa della pubblica amministrazione, spettando comunque al giudice ordinario l’accertamento del diritto sulla base della sussistenza nel caso concreto delle condizioni stabilite dalla legge”.

La Corte di merito avrebbe pertanto, in tesi, dovuto ammettere la prova testimoniale richiesta ai fini della dimostrazione dell’effettiva sussistenza del detto presupposto.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia inoltre, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e conseguente violazione e/o falsa applicazione della L.R. Lazio n. 12 del 1999, art. 11, comma 1 e dell’art. 21 del Regolamento regionale n. 2 del 2000, così come modificato dal Regolamento regionale n. 12 del 23 aprile 2008.

La censura investe l’affermata insussistenza del requisito reddituale, sostenendosi in proposito che:

– la propria madre, precedente assegnataria, era deceduta il 20/4/1998 e a quel momento, in cui in tesi era maturato il diritto al subentro nell’assegnazione dell’alloggio, essa ricorrente non era titolare di alcun bene immobile;

– l’immobile cui è riferito il rilevato superamento del predetto limite di valore venne acquistato nel giugno del 2002, quando la moneta circolante era ormai divenuta l’Euro, ciò che – si assume sostanzialmente – rendeva inattuale il limite fissato dall’art. 11, comma 2, del Regolamento regionale n. 2 del 2000, essendo “semplicistico affermare che in termini reali 100 milioni di lire corrispondano veramente a Euro 51.645,68”, tanto che – si osserva ancora – “la Regione Lazio, seppur con grave ritardo, si è resa conto della necessità di modificare (con il nuovo Regolamento del 23/4/2008) il requisito reddituale perchè altrimenti tale situazione sarebbe stata foriera di gravi ingiustizie”.

3. Il primo motivo è infondato.

3.1. Ai sensi della L.R. Lazio n. 12 del 1999, art. 12, comma 5, “l’ingresso di uno dei soggetti indicati nel comma 4, deve essere immediatamente comunicato all’ente gestore”; ciò affinchè quest’ultimo possa verificare “nei successivi tre mesi” chel”a seguito dell’ampliamento, non sussistano cause di decadenza dall’assegnazione”, con la precisazione che “qualora dalla verifica risultino comunicazioni non veritiere, l’ampliamento non produce effetti ai fini dell’eventuale subentro”.

La comunicazione di dati non veritieri è dunque configurata, dalla norma, come causa di inefficacia dell’ampliamento ai fini dell’eventuale subentro. Quale che sia l’effetto da riconoscere a tale ampliamento (sorgere del diritto al subentro ipso iure o mera aspettativa e legittimazione a richiederne il riconoscimento con effetto costitutivo), esso comunque non può prodursi in presenza di comunicazione non veritiera (v., in tal senso, Cass. 26/10/2017, n. 25411, che pure accedere alla prima tesi ricostruttiva).

Ciò posto, risponde ad elementare canone logico di interpretazione ed è pienamente condivisibile l’assunto, espresso in sentenza, secondo cui a maggior ragione deve ritenersi ostativa al prodursi di tali effetti la totale omissione di tale comunicazione (nella specie verificatasi, secondo quanto accertato in sentenza, sul punto non fatta segno di censura alcuna).

Allo stesso modo della comunicazione non veritiera, infatti, anche e a fortiori l’omessa comunicazione (come il più comprende il meno) non consente all’ente di compiere alcuna verifica sui presupposti del diritto al subentro e circa l’esistenza di eventuali cause di decadenze.

3.2. Può peraltro rilevarsi che la censura muove da una premessa, quella della acquisizione ex lege del diritto al subentro per il solo fatto del possesso dei requisiti, in contrasto con l’interpretazione, in netta prevalenza accolta nella giurisprudenza di questa Corte, e qui condivisa, secondo cui in materia di locazione di immobili dell’edilizia residenziale pubblica, l’unico titolo che abilita alla locazione è l’assegnazione, di tal che in caso di morte dell’assegnatario si determinano la cessazione dell’assegnazione – locazione ed il ritorno dell’alloggio nella disponibilità dell’ente, il quale può procedere, nell’esercizio del suo potere discrezionale, ad una nuova assegnazione, eventualmente a favore dei soggetti indicati nel D.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035, art. 12, che, in qualità di conviventi ed in presenza delle altre condizioni generali previste dalla normativa, hanno un titolo preferenziale per l’assegnazione, dovendo invece escludersi che possa configurarsi, in base ad un’interpretazione dei principi generali in materia di edilizia residenziale pubblica, un diritto al subentro automatico (Cass. 17/09/2004, n. 18738; v. anche Cass. 09/05/2017, n. 11230; 04/07/2017, n. 16466).

Secondo la prevalente e preferibile interpretazione/a tale schema ricostruttivo non si sottrae la disciplina dettata dalla citata L.R. Lazio n. 12 del 1999 (che interviene in materia riservata alla competenza legislativa residuale delle regioni ex art. 117 Cost., comma 4 (cfr. Corte Cost. sent. n. 94 del 2007)).

Come è stato condivisibilmente rilevato (v. Cass. n. 11230 del 2017) l’intero sistema risulta invero imperniato sulla verifica, tanto al momento della assegnazione, quanto nel corso del rapporto – in relazione ad eventuali modifiche della composizione del nucleo familiare o di variazioni inerenti condotte o condizioni soggettive riferibili all’assegnatario ed ai familiari – della sussistenza dei requisiti legali che giustificano l’assegnazione dell’alloggio ERP.

Il complesso delle norme sopra richiamate, quindi, presuppone:

a) che sia stato adottato un provvedimento di assegnazione dell’alloggio di edilizia residenziale pubblica;

b) la permanenza al momento della pubblicazione del bando e dell’assegnazione, nonchè in costanza di rapporto, dei requisiti legali che giustificano l’assegnazione.

Le vicende successorie non incidono sui presupposti indicati, in assenza dei quali non può insorgere il diritto, attribuito iure proprio (cfr. Corte Cass. Sez. 2, Sentenza n. 178 del 10/01/2003; id. Sez. 1, Sentenza n. 6588 del 28/04/2003) ai familiari dell’assegnatario, al subentro nel titolo di assegnazione dell’alloggio e.r.p..

Non si dubita pertanto che l’accertamento dei requisiti soggettivi, che qualificano l’erede come componente del nucleo familiare originario od ampliato, costituiscano condizione necessaria ma non sufficiente al riconoscimento del diritto al subentro nella assegnazione dell’alloggio, occorrendo altresì che in capo a tali soggetti si verifichi anche il possesso dei requisiti legali prescritti per la concessione del titolo di assegnazione dell’alloggio ERP.

La disciplina dettata dall’art. 12, comma 1, della Legge Regionale, individua infatti (in relazione all’art. 11, commi 5 e 6 della Legge Regionale) i soggetti componenti del “nucleo familiare” legittimati attivamente ad esercitare il “diritto di subentro nell’assegnazione”, ma non esaurisce in tale accertamento la insorgenza e titolarità del diritto che richiede, invece, la previa verifica di tutti i fatti costitutivi previsti dalla fattispecie normativa, e precisamente la verifica della effettiva sussistenza in capo ai “successibili” dei requisiti prescritti dalla L.R. Lazio n. 12 del 1999, art. 11, per l’accesso all’edilizia residenziale pubblica destinata all’assistenza abitativa.

4. Il secondo motivo rimane assorbito dalle precedenti considerazioni: il rigetto del primo motivo fa sì, infatti, che la decisione impugnata resti comunque pienamente giustificata, alla stregua di autonoma ratio decidendi, dal rilievo ostativo correttamente attribuito, ai sensi della L.R. Lazio n. 12 del 1999, cit. art. 12, comma 5, alla mancata comunicazione del rientro nel nucleo familiare.

Se ne può comunque, ad abundantiam, rilevare l’inammissibilità.

Anzitutto là dove assume, contrariamente all’accertamento contenuto in sentenza, ma senza specifica censura sul punto, che il diritto al subentro nell’assegnazione dell’alloggio sia sorto già nel 1998, al momento della morte della madre, precedente assegnataria.

Inoltre là dove, con il secondo rilievo, contesta la validità dell’importo fissato (in 100 milioni di lire), dal regolamento regionale vigente al momento del subentro (art. 21 del Regolamento regionale n. 2 del 2000), quale limite del valore complessivo dei beni patrimoniali ai fini dell’accertamento del requisito soggettivo di cui all’art. 11, comma 1, lett. c): l’essere tale limite espresso in lire lo renderebbe, secondo la ricorrente, eccessivamente basso una volta avutasi la conversione di tale valuta nell’Euro.

Una tale censura non intercetta, invero, alcun potere di sindacato di questa Corte, trattandosi di norma regolamentare emessa nel legittimo esercizio del potere di normazione secondaria attribuito alla regione.

Il suo mantenimento anche dopo l’introduzione dell’Euro costituisce frutto di insindacabile scelta legislativa, essendo appena il caso di rilevare che la sola introduzione dell’Euro nell’ordinamento nazionale, lungi dal comportare effetto abrogante implicito delle norme che alla vecchia valuta facevano riferimento, ha solo comportato l’obbligo della conversione dei relativi importi in Euro, secondo i criteri fissati dal D.Lgs. 24 giugno 1998, n. 213, art. 4.

5. Il ricorso deve essere pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2019

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