Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34155 del 20/12/2019

Cassazione civile sez. III, 20/12/2019, (ud. 02/10/2019, dep. 20/12/2019), n.34155

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19119/2017 proposto da:

Q.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G PISANELLI

2, presso lo studio dell’avvocato STEFANO DI MEO, che lo rappresenta

e difende unitamente agli avvocati CRISTINA MARIA FERRARI, ROBERTO

VALERIO;

– ricorrente –

contro

M.S.P.;

– intimati –

e contro

BARPRO SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 101,

presso lo studio dell’avvocato ANTONIO FARINA, che lo rappresenta e

difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 759/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 12/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/10/2019 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato STEFANO DI MEO;

udito l’Avvocato ANTONIO FARINA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Q.F. ricorre, avvalendosi di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 759/2017 della Corte d’Appello di Milano, pubblicata il 22 febbraio 2017.

M.S.P. ha conferito procura speciale al fine di partecipare all’udienza di discussione della causa.

Q.F. assume di aver dato in locazione, con contratto sottoscritto il 30 maggio 2007, alla società BarPRO S.r.L. un immobile di sua proprietà sito in (OMISSIS), per il canone annuale di Euro 12.000,00, da corrispondere in quattro rate trimestrali di Euro 3.000,00, di avere successivamente concesso, con scrittura privata del 14 giugno 2007, in locazione un altro immobile di sua proprietà dopo averlo unito al primo, e di aver pattuito l’integrazione del canone originario di locazione di Euro 800,00 e del correlativo deposito cauzionale, di avere registrato il primo contratto, ma non le pattuizioni integrative condensate nelle clausole nn. 17-19 da aggiungere al contratto precedentemente stipulato, di avere corrisposto, nonostante la mancata registrazione di tali pattuizioni integrative, l’imposta di registro annuale sull’intero importo del canone percepito, di aver dichiarato i redditi complessivamente tratti dalla locazione, di avere intimato sfratto per morosità alla società BarPRO per il mancato pagamento dei canoni di locazione a far data dall’1 giugno 2014 per un importo complessivo di Euro 12.372,00 al momento dell’intimazione, e di avere contestualmente chiesto la risoluzione per grave inadempimento del contratto, la condanna al rilascio dell’immobile e al pagamento dei canoni scaduti e a scadere fino all’effettivo rilascio.

La società BarPRO, costituitasi in giudizio, oltre al rigetto delle domande del locatore, chiedeva in via riconvenzionale la restituzione di Euro 67.200,00 per canoni pagati in eccedenza rispetto al canone dovuto e risultante dal contratto registrato, il risarcimento dei danni derivanti da vizi strutturali dell’immobile e da altri difetti all’impianto idrico-sanitario ed alla caldaia, la riduzione del 20% del canone per ammaloramento e insalubrità degli ambienti locati.

Il Tribunale di Como, in accoglimento dell’intimazione di sfratto per morosità e contestuale citazione per la convalida, dichiarava risolto il contratto di locazione, condannava la società BarPRO al rilascio dell’immobile, al pagamento della somma di Euro 30.930,00 per i canoni scaduti, oltre al pagamento dei canoni a scadere ed alle spese processuali.

La conduttrice proponeva appello, censurando la decisione impugnata per aver accolto la domanda basandosi esclusivamente sul contratto di locazione prodotto in giudizio, insisteva perchè fossero accertati l’insussistenza della sua morosità, il diritto alla restituzione di Euro 67.200,00, per i canoni che il locatore avrebbe percepito illegittimamente in virtù di pattuizione nulla della L. n. 392 del 1978, ex art. 79, comma 1, la mancata pronuncia sulle domande formulate in via riconvenzionale.

La Corte d’Appello, con la sentenza qui impugnata, rilevava che dalla fotocopia del contratto di locazione prodotta in giudizio dal locatore, recante sul retro le clausole 17-19, prima della data di sottoscrizione, 30 maggio 2007, della firma del conduttore e del timbro di registrazione dell’Ufficio dell’Agenzia delle entrate, risultava che le tre clausole erano riportate come se fossero state redatte contestualmente alla stipulazione del primo contratto e non come affermato dal locatore dopo la registrazione del contratto avvenuta il 31 maggio 2007, e che il contratto registrato non recava menzione di tali clausole aggiunte; ne traeva la conclusione che la scrittura privata del 14 giugno 2007 prevedente il canone aggiuntivo fosse nulla per violazione della L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 346, con conseguente non debenza di quanto in essa pattuito e con diritto alla ripetizione dell’indebito da parte della società conduttrice di quanto percepito in eccedenza dal locatore rispetto al contratto registrato. Rilevava che nel momento in cui era stato intimato lo sfratto per morosità il conduttore non era moroso, rigettava la domanda di risoluzione del contratto ed accoglieva la domanda riconvenzionale di BarPRO di restituzione di Euro 49.200,00, somma determinata dalla differenza tra Euro 154.200,00 versati al netto della rivalutazione Istat, Euro 105.000,00 dovuti al netto di Istat fino al rilascio dell’immobile avvenuto nel novembre 2015, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, con compensazione in via equitativa della rivalutazione Istat sulle quote dei canoni versati in eccesso con le maggiorazioni Istat che avrebbero dovute essere versate sul canone pattuito nel contratto registrato nel periodo compreso tra la data dell’atto di citazione e quella del rilascio dell’immobile e gli interessi legali dovuti al locatore sull’importo dei canoni non corrisposti nel periodo in questione, da calcolarsi sul canone rivalutato.

Respingeva le altre domande riconvenzionali e regolava le spese di lite ponendole a carico del locatore, in ragione del principio di soccombenza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza o del procedimento, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, dovuta alla violazione e falsa applicazione dell’art. 101 c.p.c. e degli artt. 24 e 111 Cost., nonchè la nullità del procedimento per avere la Corte d’Appello rilevato d’ufficio la nullità dei patti successivamente aggiunti al contratto per mancata registrazione degli stessi senza avere previamente sottoposto alle parti la relativa questione omettendo di disporre i termini di cui all’art. 101 Cost..

La tesi è che la Corte d’Appello abbia pronunciato la nullità del contratto per mancata registrazione, cioè sulla base di una questione diversa da quella posta a fondamento della domanda di BarPRO e senza integrazione del contraddittorio. Ciò gli avrebbe impedito di formulare domande riconvenzionale e/o eccezioni dirette a far accertare l’illegittima occupazione dell’immobile ed avanzare richiesta di compensazione.

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, a sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e la violazione di norme di diritto, ex art. 360 c.c., comma 1, n. 3.

La Corte territoriale non avrebbe considerato la circostanza pacifica e non contestata che le imposte erano state pagate sull’intero canone percepito, e quindi avrebbe applicato erroneamente la L. n. 311 del 2014, art. 1, comma 346, senza interpretare la disposizione in ragione della ratio perseguita dal legislatore, cioè quella di lotta all’evasione fiscale; pertanto, il ricorrente invoca il ricorso all’equità sostitutiva per effetto della quale il giudice sostituisce integralmente l’applicazione della norma con una propria decisione equitativa.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., in merito alla condanna alle spese di primo e secondo grado nonostante vi fosse stata una parziale soccombenza di BarPRO, sulle domande riconvenzionali che avrebbe dovuto portare ad una compensazione delle spese di lite.

4. Il Collegio ritiene che l’ordine logico imponga di esaminare per primo il secondo motivo.

Assorbente rispetto alla parziale ricostruzione dei fatti di causa, essendosi la sentenza impugnata limitata a prendere atto della mancata registrazione della scrittura privata del 14 giugno 2007, con cui, successivamente al contratto registrato, le parti avevano convenuto una integrazione/maggiorazione del canone iniziale, e ad applicare la sanzione di cui alla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346, omettendo di verificare se il canone maggiorato fosse giustificato dall’ampliamento del locale inizialmente locato (da p. 5, si evince che la Corte territoriale ha applicato la sanzione della nullità a prescindere “dalla qualificazione della scrittura quale patto aggiunto diretto a stabilire un illegittimo aumento del canone di locazione pattuito originariamente, di cui è stata invocata la nullità L. n. 392 del 1978, ex art. 79, comma 1, o quale canone integrativo per un altro locale adiacente a quello originariamente oggetto del contratto”) è l’evidente contrasto della sentenza con la giurisprudenza di questa Corte relativa alla natura ed alla funzione della nullità di cui alla L. n. 311 del 2014, art. 1, comma 346.

La nullità introdotta dalla disposizione invocata è stata, infatti, da oltre un decennio oggetto di un vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale, originato dalla sua natura per molti versi eccentrica, che si è guadagnata proprio in ragione di tale sua eccentricità appellativi di vario genere: singolare, sopravvenuta, praeter legem o sospesa.

Essa ha messo in discussione il “principio di non interferenza” tra le norme di diritto tributario e le regole relative alla validità civilistica degli atti, di tal modo chè la violazione delle prime si riteneva non determinasse l’invalidità dei secondi (si escludeva infatti la ricorrenza di una nullità virtuale (ex art. 1418 c.c., comma 1) disconoscendo alle disposizioni tributarie, nonostante la loro inderogabilità, natura imperativa, in quanto poste a tutela di interessi pubblici di carattere settoriale e tendenzialmente non proibitive; la norma imperativa) presupponendo invece un carattere proibitivo e la tutela di interessi generali (ex plurimis cfr. Cass. 05/11/1999, n. 12327; Cass. 03/09/2001, n. 11351; Cass. 28/09/2001, n. 5582; Cass. 18/04/2002, n. 5582), ha costretto a misurarsi con una causa invalidante non trovante origine in un vizio genetico dell’atto o in un elemento di struttura o di funzione, bensì nel successivo inadempimento di un obbligo “esterno” di registrazione del contratto, di cui, peraltro, la L. n. 311 del 2014, art. 1, comma 346, non sembrerebbe costituire un esempio isolato, data la tendenza del legislatore più recente a servirsi della nullità a scopo sanzionatorio (cfr. art. 67-septiesdecies, comma 4, cod. cons.; D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 46; D.Lgs. 20 giugno 2000, n. 122, art. 2).

Proprio allo scopo di rispettare le caratteristiche della nozione tipica della nullità e contemperare la sanzione con il principio di non interferenza, era prevalsa, presso la giurisprudenza di merito, la reinterpretazione della disposizione, qualificando la registrazione del contratto come condizione di efficacia dello stesso, con conseguente applicazione dell’art. 1360 c.c. e riconoscimento di efficacia ex tunc alla tardiva registrazione: soluzioni che la recente decisione di questa Corte, Sez. un., 09/10/2017, n. 23601, etichetta negativamente come espressioni di “interpretazione antiletterale (…) tendenzialmente tendenti ad interpretazioni abroganti o, quantomeno, volte a limitare la portata della invalidità sancita dalla norma”.

La sconfessione di tale indirizzo è stata determinata dalla Consulta che con l’ord. 5/12/2007, n. 420, seguita dalla ord. 19/11/2008, n. 389 e dalla ord. 9/4/2009, n. 110, ha elevato la norma tributaria al rango di norma imperativa, la violazione della quale determina la nullità del negozio ai sensi dell’art. 1418 c.c..

Ferme restando la nullità del contratto non registrato, la sanatoria con effetti ex nunc della nullità attraverso la registrazione e, soprattutto, l’insanabilità del contratto con cui le parti abbiano occultato il canone effettivamente pattuito, il giudice a quo avrebbe dovuto tener conto che dai fatti allegati e, si ribadisce, non contestati – di cui il Collegio, investito del relativo potere, essendo stato dedotto un error in procedendo, ha trovato conferma tramite accesso diretto agli atti – non era emerso l’intento di perseguire, attraverso la pattuizione, successiva al contratto registrato, di un canone maggiore, uno scopo illecito, perchè il locatore non aveva inteso avvantaggiarsi nè si era avvantaggiato, non registrando la scrittura privata del 14 giugno 2007, di alcun risparmio fiscale.

Proprio tale rilievo, atto ad escludere che alla base della omessa registrazione vi fosse un’operazione simulatoria, volta ad eludere i diritti di terzi, ed in particolare del fisco, connotata dalla violazione dell’interesse pubblicistico sotteso alla norma fiscale elusa, avrebbe dovuto imporre al giudice a quo di ricercare, beninteso iuxta alligata et probata, la diversa causa concreta del negozio, cioè lo scopo pratico perseguito dalle parti, onde verificare se essa perseguisse altre finalità vietate ovvero se la mancata registrazione avesse dovuto essere degradata e trattata giuridicamente alla stregua di una mera irregolarità, ininfluente sulla validità del contratto e sul diritto del locatore di percepire il canone maggiorato diverso da quello emergente dall’unico contratto registrato.

Proprio dall’assenza della illegittima sostituzione di un canone con un altro, si trae la dimostrazione che la Corte d’Appello ha applicato erroneamente il meccanismo del tutto speculare a quello previsto per l’inserzione automatica di clausole in sostituzione di quelle nulle, rappresentato dalla perdurante efficacia del canone iniziale contenuto nel contratto registrato.

5. Il motivo merita, dunque, accoglimento. Dalla sua fondatezza discende l’assorbimento dei motivi numeri 1 e 3.

6. La Corte accoglie il ricorso cassando la sentenza per quanto di ragione e rinvia la controversia alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione cassa la sentenza in relazione alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di Cassazione, il 2 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2019

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