Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34149 del 20/12/2019

Cassazione civile sez. III, 20/12/2019, (ud. 22/05/2019, dep. 20/12/2019), n.34149

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27081/2017 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BONCOMPAGNI N.

61, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO MICHELINI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.P.M., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

ROCCO MIGLIACCIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4289/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 12/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/05/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Nel 2008 S.A. intimò a D.P.M. sfratto per finita locazione e lo citò per la convalida, con riferimento al contratto di locazione ad uso abitativo stipulato tra le parti in data 18 dicembre 1999, relativo all’immobile sito in (OMISSIS), sostenendo che, tenuto conto della disdetta inviata, la locazione doveva considerarsi cessata alla data del 18 dicembre 2007.

Si costituì il D.P. opponendosi alla convalida.

Concessa l’ordinanza provvisoria di rilascio, con fissazione dell’esecuzione per il 31 dicembre 2008, e mutato il rito, la causa proseguì per la trattazione del merito.

Il D.P. dichiarò di aderire all’indicata data di scadenza contrattuale e dedusse, inoltre, la nullità della L. n. 431 del 1998, ex art. 13 – per tardività della registrazione – della controdichiarazione del 18 dicembre 1999, che prevedeva un canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto registrato per il canone di Lire 80.000 mensili; propose, pertanto, domanda riconvenzionale per la condanna del locatore al pagamento della somma di Euro 49.792,40, oltre interessi e rivalutazione, o della diversa somma ritenuta dovuta, a titolo di restituzione delle somme corrisposte in misura superiore al canone contrattuale.

In subordine, qualora fosse stata ritenuta la validità della controdichiarazione, il conduttore ne eccepì la nullità nella parte in cui, dopo aver previsto un canone di Lire 800.000 mensili per il primo anno, stabiliva un canone superiore di Lire 900.000 a decorrere dal secondo anno, in violazione del principio previsto dalla L. n. 431 del 1998, art. 13, di immutabilità del canone per l’intero rapporto di locazione, e chiese la condanna del locatore alla restituzione delle somme percepite eccedenti il canone di lire 800.000 mensili, oltre interessi e rivalutazione.

In via ulteriormente subordinata, il D.P. chiese la declaratoria di illegittimità dell’applicazione degli indici ISTAT in misura superiore a quella prevista per legge, con condanna del locatore al pagamento della somma di Euro 1.020,04 o della diversa somma ritenuta di giustizia, oltre interessi e rivalutazione.

Il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 1706/15 del 2 febbraio 2015, dichiarò cessata la locazione tra le parti il 18 dicembre 2007; dichiarò cessata tra le parti la materia del contendere in ordine alla domanda di condanna al rilascio dell’immobile; dichiarò inammissibile la domanda dello S. volta alla condanna del D.P. al rimborso della metà delle spese di registrazione del contratto di locazione e della controdichiarazione nonchè al pagamento delle spese di cancellazione della registrazione del contratto di locazione; rigettò la domanda riconvenzionale del conduttore tesa alla condanna dello S. al pagamento della somma di Euro 49.792,40; condannò il locatore al pagamento in favore del conduttore della somma di Euro 4.099,87 a titolo di ripetizione dei canoni versati in eccedenza rispetto a quelli dovuti dal dicembre 1999 al dicembre 2008, oltre interessi dal 26 marzo 2009 al saldo; dichiarò interamente compensate tra le parti le spese di lite; rigettò la domanda di risarcimento dei danni proposta dallo S. ex art. 96 c.p.c..

Avverso tale decisione D.P.M. propose gravame, cui resistette lo S., che avanzò, a sua volta, appello incidentale.

La Corte di appello di Napoli, con sentenza pubblicata il 12 dicembre 2016, accolse l’appello principale e rigettò l’appello incidentale e, per l’effetto, in riforma dei capi D) ed E) del dispositivo dell’impugnata sentenza, che confermò per il resto, accolse la domanda riconvenzionale avanzata dal D.P., condannò lo S. al pagamento, a favore del conduttore, della complessiva somma di Euro 49.674,01, a titolo di ripetizione dei canoni versati in eccedenza rispetto a quelli dovuti dal dicembre 1999 al dicembre 2008, oltre interessi dal 26 marzo 2009 (data di deposito della memoria ex art. 426 c.p.c., contenente domanda di ripetizione dell’indebito) al saldo, e compensò le spese di quel grado di giudizio.

Avverso la sentenza della Corte di merito S.A. ha proposto ricorso per cassazione, basato su due motivi e illustrato da memoria.

D.P.M. ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta “Violazione ed errata applicazione delle seguenti norme di diritto: L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 1, in relazione all’art. 1414 c.c. e all’art. 1415 c.c., comma 2, nonchè del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 13, art. 20, D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, comma 5, L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3, L. n. 190 del 2014, art. 1, commi da 634 a 640, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3, 4, 5”.

Sostiene il ricorrente che la Corte di merito avrebbe omesso di considerare i rapporti tra le norme indicate nella rubrica del mezzo all’esame, che, tutte, a suo avviso, evidenzierebbero “la chiara possibilità di produzione degli effetti della pattuizione dissimulata, seppur dopo aver adempiuto, in ottemperanza alle disposizioni tributarie, determinate incombenze ravvisabili nell’effettuazione della registrazione”; il che, nella specie, sarebbe avvenuto, avendo il locatore registrato la controdichiarazione in data 1 aprile 2008.

Secondo lo S., “un’interpretazione della L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 1, fondata sulla conservazione degli effetti della reale volontà delle parti, così come contenuta nell’accordo simulatorio, sia non solo maggiormente conforme ad una lettura costituzionalmente orientata di garanzia della parità di trattamento tra i contraenti… ma anche più rispondente alle intenzioni del legislatore del 1998, confermate dai successivi interventi di settore, di emersione del sommerso e recupero dell’imposta”. In particolare, deduce il ricorrente che “la posizione maggioritaria sia in giurisprudenza che nella dottrina ha evidenziato il ruolo decisivo della registrazione successiva della pattuizione simulatoria per il recupero degli effetti della stessa in termini di acquisto di efficacia o sanatoria”.

S.A. evidenzia che questa Corte a Sezioni Unite, con la sentenza del 17/09/2015, n. 18213, “affermando “un principio generale di inferenza/interferenza dell’obbligo tributario con la validità del negozio” si è pronunciata sull’irrilevanza della tardiva registrazione di una maggiorazione del canone apparente, così come indicato nel contratto registrato di locazione abitativa, prevista dalla L. n. 431 del 1998, art. 13, in guisa di vera e propria lex specialis, derogativa ratione materia, alla lex generalis (benchè posteriore) costituita dal cd. statuto del contribuente” e che “in applicazione dell’istituto della causa negoziale predicativa del carattere c. d. “concreto” dell’elemento causale (ha) individua(to) in un generale principio antielusivo la ragione della sanzione della nullità della pattuizione occulta per esserne illecita la causa in concreto, volta al mero risparmio di imposta, funzionale all’occultamento al fisco della differenza tra la somma indicata nel contratto registrato e quella effettivamente percepita dal locatore”. Tuttavia lo stesso ricorrente assume pure che questa medesima Corte, con la sentenza del 28/04/2017, n. 10498 – le cui argomentazioni lo S. fa dichiaratamente proprie, v. ricorso p. 10 -, in relazione alla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 346, avrebbe “confermato l’inquadramento della sanzione della mancata registrazione nei termini della nullità, ma in virtù della violazione di norma imperativa ai sensi dell’art. 1418 c.c., tale qualificando la norma di cui alla L. 30 dicembre 2004, n. 311”. Ricorda lo S. che, secondo la sentenza da ultimo citata, “la peculiarità di una nullità del contratto per contrarietà a norme imperative indipendente da violazioni attinenti ad elementi intrinseci della fattispecie negoziale, relativi alla struttura o al contenuto del contratto, ma che postula un’attività esterna di formazione del negozio, che risulterebbe altrimenti privo di deficienze strutturali e ormai perfezionato, fa sì da rendere ammissibile la possibilità di ricostruire la tardiva registrazione come fattispecie sanante con efficacia retroattiva della nullità del contratto, una volta adempiuto al precetto tributario… la tesi della nullità, che in ragione della sua atipicità, risulti sanabile con effetto ex tunc, è coerente con i principi che sottendono al complessivo impianto normativo in materia dell’obbligo di registrazione del contratto di locazione ed in particolare con la espressa previsione di forme di sanatoria nella normativa succedutasi nel tempo e dell’istituto del ravvedimento operoso, norma che il legislatore ha mantenuto stabile nel tempo potenziandone l’applicazione…. La possibilità di sanatoria con efficacia ex tunc in esito alla tardiva registrazione consente di mantenere stabili gli effetti del contratto voluti dalle parti sia nell’interesse del locatore, che potrà trattenere quanto ricevuto in pagamento, che nell’interesse del conduttore, che non rischierà azioni di rilascio e godrà della durata della locazione come prevista nel contratto…. La sanatoria della nullità con effetti ex tunc si inserisce coerentemente nel complesso delle norme tributarie che, in particolare a partire dal 1998, hanno superato il principio tradizionale della non interferenza della norma tributaria con gli effetti civilistici del contratto, introducendo e potenziando gli istituti del ravvedimento e prevedendo espressamente la sanzione più radicale per il mancato rispetto dell’obbligo di registrazione del contratto”.

Sostiene il ricorrente che, a suo avviso, “la riconosciuta interferenza tra le norme tributarie e quelle civilistiche non comporta una completa assimilazione delle une alle altre anche in termini di sanzione a seguito di loro violazione…. anche se la sanzione conseguente deve essere rinvenuta nella nullità, questa non necessariamente è insanabile, e ciò vale sia per le norme civilistiche in relazione alle quali l’art. 1423 c.c., prevede espressamente la convalida ove prevista dalla legge, sia, a maggior ragione per le norme tributarie ove la principale finalità è l’applicazione o il recupero dell’imposta e il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 13 e art. 1, commi da 634 a 640, della Legge di stabilità 2015 (L. n. 190 del 2014) predispongono l’istituto del c.d. “ravvedimento operoso” quale rimedio a carattere generale”.

Secondo il ricorrente, nonostante vi sia interferenza tra norme tributarie e atto negoziale, la finalità delle norme tributarie è comunque diversa da quelle civilistiche, essendo le prime tese al recupero della tassazione e, quindi, al recupero degli effetti dell’atto; in tale ottica deve ritenersi che una violazione di norma tributaria incida sull’atto posto in essere nella sua fase funzionale in quanto elusiva di norma imperativa e non nella sua fase genetica (illiceità della causa), altrimenti la previsione stessa di sanzioni e successivi accertamenti si svuoterebbe di significato e contenuti così come il ravvedimento operoso, che subirebbe una vera e propria abrogazione di fatto e non una semplice deroga.

In tale contesto, il riferimento alla nullità “di ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato” può essere “letto”, a parere del ricorrente, come manifestazione di volontà del legislatore di far emergere il sommerso, al fine di recuperare a tassazione i reali importi del rapporto; e il sanzionare con la nullità ciò che non risulti registrato fa trasparire – sempre ad avviso del ricorrente – la volontà del legislatore di porre la registrazione come elemento di validità del contratto di locazione e dunque, quale obbligo a carico dei contraenti.

Nel censurare la sentenza della Corte territoriale, lo S. sostiene che, riconosciuta l’interferenza della norma tributaria su quella civilistica, non sia possibile non considerare le altre specifiche norme di settore e che, se compito dell’interprete è quello di ricercare l’interpretazione più idonea ad armonizzare il sistema normativo nella sua interezza senza creare contrasti tra norme, debba ritenersi che la nullità della pattuizione dissimulata vada intesa come nullità per violazione di norma imperativa, nullità non assoluta (in armonia con lo Statuto del contribuente) ma sanabile in base al meccanismo del ravvedimento operoso.

Assume inoltre il ricorrente che le affermazioni della Corte di merito contenute nella sentenza impugnata (“la pattuizione di un canone superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato… non può in ogni caso ritenersi valida… La causa in concreto di tale patto… rivela la reale (e vietata) finalità di elusione fiscale ad esso sottostante, trattandosi di pattuizione funzionalmente volta ad eludere i diritti di terzi, e in particolare del Fisco, dunque illecita ed insanabilmente nulla perchè tesa a pervenire, in concreto, ad un risultato vietato dalla legge e contrastante con il principio generale antielusivo desumibile dall’art. 53 Cost.”) creerebbero problemi di coordinamento tra le norme al punto da costringere ad invocare, in via interpretativa, una supposta specialità della normativa sulla nullità della L. n. 431 del 1998, ex art. 13, rispetto alla lex generalis, benchè posteriore, costituita dal c.d. Statuto del contribuente.

Dall’analisi storico-sistematica delle leggi in materia fiscale e delle locazioni, ad avviso del ricorrente, sarebbe chiara la volontà del legislatore “di porre la registrazione come requisito validante del contratto… e specifico obbligo a carico delle parti, le quali tuttavia possono recuperare ex tunc gli effetti di quanto non registrato a seguito della successiva registrazione, e ciò anche e soprattutto nell’interesse dei terzi, in particolare del Fisco” e che “solo in mancanza della successiva registrazione e dunque in assenza dell’emersione del sommerso col recupero dell’imposta, perdurerà il giudizio di nullità (come detto sanabile…) e l’operatività dell’azione di restituzione”.

2. Con il secondo motivo, rubricato “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Violazione degli artt. 1321,1325 c.c. e art. 1419 c.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4, 5”, il ricorrente lamenta che la Corte di merito non abbia tenuto conto dell’eccezione di nullità dell’intero contratto per mancanza degli elementi fondamentali della volontà e della causa di cui agli articoli del codice civile indicati nella rubrica del mezzo, non avendo al riguardo motivato.

Sostiene lo S. che qualora si ritenga la nullità della controdichiarazione insanabile per illiceità della causa, altrettanto nulla dovrebbe ritenersi la convenzione registrata, in quanto priva di elementi essenziali del contratto come la volontà (relativamente alla clausola del prezzo) e la causa (relativamente al rapporto sinallagmatico tra prestazione e controprestazione).

Ad avviso del ricorrente, non può essere considerata motivazione adeguata al riguardo l’affermazione fatta – richiamando la sentenza di questa Corte del 17/09/2015, n. 18213 – dalla Corte territoriale secondo cui “l’illegittima sostituzione di un prezzo con un altro è espressamente sanzionata di nullità, secondo un meccanismo del tutto speculare a quello previsto per l’inserzione automatica di clausole in sostituzione di quelle nulle: nel caso di specie, l’effetto diacronico della sostituzione è impedito dalla disposizione normativa, sicchè sarà proprio la clausola successivamente inserita in via interpretativa attraverso la controdichiarazione ad essere affetta da nullità ex lege, con conseguente perdurante validità di quella sostituenda (il canone apparente) e dell’intero contratto”. Secondo lo S., infatti, la Corte territoriale si sarebbe limitata a “ricopiare” quanto affermato nella richiamata sentenza di legittimità senza nulla aggiungere in ordine ai motivi per i quali la clausola apparente conservi validità nonostante la carenza in quest’ultima degli elementi della volontà e della causa rilevata dal ricorrente.

Sostiene altresì il ricorrente che, stante l’unità dell’intero procedimento negoziale, “se il legislatore sanziona con la nullità l’accordo simulatorio,… tale nullità si estende a tutta la contrattazione, ivi compresa la clausola apparente”.

2.1. Inoltre, qualora questa Corte dovesse ritenere applicabile l’interpretazione rigorista data alla L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 1, considerando nullo ed insanabile l’accordo simulatorio, il ricorrente ripropone la questione di legittimità costituzionale della L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 2, già formulata dinanzi alla Corte di merito, sostenendo che una siffatta interpretazione violerebbe gli artt. 3,41,42,55 e 76 Cost..

3. I motivi, che per connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono entrambi infondati e il secondo anche inammissibile, per quanto attiene alle censure motivazionali con lo stesso pure proposte.

3.1. Osserva il Collegio che il richiamo alla sentenza di questa Corte del 28/04/2017, n. 10498, condivisa espressamente dal ricorrente, non è pertinente, riferendosi ad un caso – diverso da quello all’esame -0 in cui il contratto di locazione non era stato registrato e in cui difettava ogni riferimento a controdichiarazioni o, comunque, a qualsivoglia fenomeno simulatorio.

3.2. Va pure rimarcato che i motivi all’esame non tengono in alcun conto che proprio alcuni giorni prima della notifica del ricorso è stata pubblicata la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 23601 del 9/10/2017, cui, invece, si fa riferimento nel controricorso e con la quale sono stati ribaditi e ulteriormente articolati, sia pure con specifico riferimento ad una locazione non abitativa, i principi già affermati con la sentenza – espressamente richiamata dalla Corte di merito – delle medesime Sezioni Unite del 17/09/2015, n. 18213, in relazione ad una locazione abitativa, principi contestati dal ricorrente, il quale sostanzialmente propone una non condivisibile rivisitazione degli approdi cui è pervenuta la decisione appena indicata.

In particolare, con la citata decisione del 2015, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che, in tema di locazione immobiliare ad uso abitativo, la nullità prevista dalla L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 1, sanziona esclusivamente il patto occulto di maggiorazione del canone, oggetto di un procedimento simulatorio, mentre resta valido il contratto registrato e resta dovuto il canone apparente; il patto occulto, in quanto nullo, non è sanato dalla registrazione tardiva, fatto extranegoziale inidoneo ad influire sulla validità civilistica.

3.3. Evidenzia il Collegio che le censure proposte dal ricorrente in questa sede al richiamato orientamento della giurisprudenza di legittimità che si è andato consolidando a partire dal 2015 e cui ha fatto riferimento la Corte di merito trovano risposta, in senso negativo, nella più recente sentenza delle S.U. sopra citata, alla quale era stata posta, con ordinanza interlocutoria 5/08/2016, n. 16604, in sintesi, la questione se, pur al di là ed a prescindere dalla violazione della L. n. 392 del 1978, art. 79, anche per i contratti di locazione ad uso diverso da abitazione debba farsi – in ipotesi di atti negoziali integranti un mero escamotage per realizzare una finalità di elusione fiscale – applicazione del principio affermato nella sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte 17/09/2015, n. 18213, con riferimento ai contratti di locazione abitativa.

3.4. Con ampia motivazione, dopo aver richiamato il complesso e non del tutto armonico quadro normativo in tema di tardivo adempimento dell’obbligo di registrazione del contratto di locazione, nonchè le decisioni della Corte costituzionale, più volte investita della questione della legittimità costituzionale delle norme volte a riconoscere rilevanza civilistica al difetto di registrazione degli atti, anche con riferimento specifico a quelle inerenti alla materia delle locazioni (Corte. Cost., sent., n. 333 del 2001; Corte Cost., ord., n. 242 del 2004; Corte Cost., ord., n. 420 del 2007; Corte Cost., ord. n. 389 del 2008; Corte Cost., ord., n. 110 del 2009; Corte Cost., sent., n. 50 del 2014), e dopo aver dato conto degli orientamenti della giurisprudenza di legittimità in tema di rapporto tra diritto tributario e diritto civile, con particolare riferimento alle possibili conseguenze civilistiche derivanti dalle violazioni tributarie, le Sezioni Unite di questa Corte hanno espressamente confermato l’approdo cui le medesime, modificando radicalmente il precedente orientamento (Cass. 3/04/2009, n. 8148; v. anche Cass. 27/10/2003, n. 16089) e sono pervenute, in tema di locazione abitativa aggiunto con la sentenza n. 18213 del 2015, ad affermare che la nullità prevista dalla L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 1 (applicabile ratione temporis in quel caso e nella fattispecie all’esame, trattandosi di locazione abitativa stipulata ante 2004) sanziona esclusivamente il patto occulto di maggiorazione del canone, oggetto di un procedimento simulatorio, mentre resta valido il contratto registrato e dovuto il canone apparente, con la precisazione che tale patto occulto, in quanto nullo, non è sanato dalla registrazione, vicenda extranegoziale inidonea ad influire sulla testuale invalidità civilistica tardiva, e che “non la mancata registrazione dell’atto recante il prezzo reale…, ma la illegittima sostituzione di un prezzo con un altro, espressamente sanzionata di nullità, è colpita dalla previsione legislativa, secondo un meccanismo del tutto speculare a quello previsto per l’inserzione automatica di clausole in sostituzione di quelle nulle: nel caso di specie, l’effetto diacronico della sostituzione è impedito dalla disposizione normativa, sì che sarà proprio la clausola successivamente inserita in via interpretativa attraverso la controdichiarazione ad essere affetta da nullità ex lege, con conseguente, perdurante validità di quella sostituenda (il canone apparente) e dell’intero contratto”.

Affermano poi le Sezioni Unite nel 2017, (sentenza 23601/2017) che dalla ricostruzione già operata nel 2015 deriva che nessun rilievo può assumere la successiva registrazione dell’atto controdichiarativo recante la pattuizione di un canone maggiore, in quanto l’adempimento formale (ed extranegoziale) dell’onere di registrazione di tale patto “non vale a farne mutare sostanza e forma rispetto alla simulazione”, essendo “inidoneo a spiegare influenza sull’aspetto civilistico della sua validità/efficacia”.

Secondo le Sezioni Unite del 2017, oltre che di natura testuale, l’invalidità negoziale in parola (ritenuta dalle S.U. nel 2015) aveva anche i connotati della nullità virtuale, stante la causa concreta del patto occulto, ricostruita alla luce del precedente procedimento simulatorio, illecita, perchè caratterizzata dalla vietata finalità di elusione fiscale e, pertanto, insuscettibile di sanatoria, con la precisazione che, qualora la sanzione della nullità fosse derivata dalla violazione dell’obbligo di registrazione, sarebbe stato ragionevole ammettere un effetto sanante al comportamento del contraentetil quale, sia pure tardivamente, avesse adempiuto a quell’obbligo (stante la previsione, nel sistema tributario, del cd. “ravvedimento” del D.Lgs. n. 471 del 1997, ex art. 13, comma 1), e che la soluzione adottata con riferimento alla della L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 1, aveva il pregio di porsi in armonia, quoad effecta (anche se non sotto il profilo formale dell’efficacia negoziale della registrazione, predicabile solo a far data dalla L. n. 311 del 2004), con la successiva legislazione intervenuta in materia.

Anche le ulteriori specifiche critiche rivolte dal ricorrente alla ricostruzione operata dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la decisione n. 1813 del 2015, trovano adeguata e condivisibile confutazione nella sentenza delle predette Sezioni n. 23601 del 2017, nella parte in cui, seguendo il ragionamento sviluppato nella sentenza del 2015, si evidenzia, altresì, che: a) il dato normativo limita al solo patto di maggiorazione del canone la sanzione della nullità, non estendendo quest’ultima all’intero contratto, con conseguente validità e sopravvivenza ex lege dell’accordo negoziale “depurato” del patto illecito; b) la fattispecie disciplinata dagli artt. 1414 e 1417 c.c. è fenomenologicamente, prima ancora che giuridicamente, unitaria, sicchè il predicato destino dell’accordo simulatorio è proprio quello previsto dalla norma che ne sancisce la perdurante validità ed efficacia, una volta che sia appunto “depurato” dal patto controdichiarativo contenente l’illegittima maggiorazione del canone; c) nella sentenza del 2015 si rinvengono ulteriori indicazioni, di carattere storico-sistematico ed etico-costituzionali che richiamano l’attenzione dell’interprete sull’avvenuta introduzione, nel nostro ordinamento, in materia di locazione, di un principio generale di interferenza dell’obbligo tributario con la validità negoziale, nonchè sull’opportunità di raggiungere una omogeneità di effetti tra le discipline succedutesi nel tempo (in particolare quella del 1998, applicabile nella specie, e quella del 2004, di cui si è già detto) e, infine, sul rilievo etico/costituzionale del corrette adempimento degli obblighi tributari.

4. Come già sopra rilevato, le argomentazioni del ricorrente di cui al ricorso in scrutinio non risultano idonee a determinare una rimeditazione dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità di cui si è dato conto e al quale si è espressamente riportata la Corte di merito per fondare la sua decisione visione, evidenziandosi, peraltro, che, alle sentenze delle Sezioni Unite sopra richiamate, hanno fatto seguito, in senso conforme, ulteriori decisioni di questa Sezione (Cass. 22/08/2018, n. 20881; Cass., ord., 27/03/2019, n. 8465; v. anche Cass. 2/03/2018, n. 4922, sia pure riferita a locazione non abitativa).

5. Quanto alla questione di legittimità costituzionale prospettata dal ricorrente, osserva il Collegio che la stessa, oltre ad essere volta, in sostanza all’irripetibilità dei canoni illegittimamente versati, in contrasto con il diritto vivente delle Sezioni Unite di 920 Corte, si palesa manifestamente infondata, visto l’insegnamento di queste ultime, così come dedotta dal ricorrente.

6. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

7. Tenuto conto che il ricorso risulta consegnato all’Ufficiale giudiziario per la notifica in data 20 novembre 2017, notifica perfezionatasi il giorno successivo, a poco più di un mese di distanza dalla data di pubblicazione (9 ottobre 2017) della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 23601 più volte sopra richiamata, le spese del presente giudizio di cassazione ben possono essere compensate per intero tra le parti.

8. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa per intero tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2019

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