Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34148 del 20/12/2019

Cassazione civile sez. III, 20/12/2019, (ud. 22/05/2019, dep. 20/12/2019), n.34148

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14068/2017 proposto da:

AGNONE EDILE DI F.S. & C. SAS, in persona del

rappresentante legale F.S., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA MONTE BALDO 8, presso lo studio dell’avvocato STEFANIA

INGLESE, rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONINO TRIBULATO;

– ricorrente –

contro

D.S.D., quale erede di L.F.U., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO, 19, presso lo studio

dell’avvocato ORNELLA RUSSO, rappresentato e difeso dall’avvocato

CARMELO GIUNTA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 86/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 27/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/05/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per l’accoglimento p.q.r. dei motivi

1, 3 e 4, rigetto del 2 motivo, assorbito il 5 motivo;

udito l’Avvocato ANTONINO TRIBULATO;

udito l’Avvocato CARMELO GIUNTA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 21/13 del 6 febbraio 2013 il Tribunale di Siracusa rigettò la domanda di ripetizione di indebito proposta dalla conduttrice Agnone Edile di F.S. & C. s.a.s. nei confronti del locatore L.F.U., ritenendo valida e legittima la pattuizione di aumento del canone di locazione convenuta con scrittura privata dell’11 aprile 2008, in quanto le disposizioni imperative di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 79, si riferivano alle sole convenzioni tendenti ad escludere preventivamente i diritti del conduttore e non anche alla disposizione di tali diritti effettuata in corso di rapporto.

La società soccombente propose gravame, cui si oppose l’appellato.

Il giudizio, interrotto per il decesso del L.F., venne riassunto nei confronti della sua erede, D.S.D., la quale si costituì, insistendo per il rigetto dell’impugnazione.

La Corte di appello di Catania, con sentenza pubblicata il 27 gennaio 2017, rigettò il gravame e condannò l’appellante alle spese di quel grado.

Avverso la sentenza della Corte territoriale Agnone Edile di F.S. & C. s.a.s. ha proposto ricorso per cassazione, basato su cinque motivi e illustrato da memoria.

D.S.D., quale erede di L.F.U., ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta “Violazione e falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, artt. 32 e 79 e degli artt. 1362 c.c. e segg. e art. 1343 c.c., in relazione agli artt. 1, 2 e 5 della scrittura dell’11.4.2008, in riferimento all’art. 366 c.p.c., n. 4 e all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Si censura l’affermazione della Corte di merito secondo cui non è predicabile l’indisponibilità del diritto alla rinuncia dei canoni dovuti ai sensi della L. n. 392 del 1978, in quanto la nullità dei patti contrari alle disposizioni imperative della L. n. 392 del 1978, sanzionata dall’art. 79 della stessa legge si riferisce alle sole convenzioni tendenti ad escludere preventivamente i diritti del conduttore e non anche alla disposizione di tali diritti nel corso del rapporto.

Secondo la ricorrente, la tesi sarebbe erronea, non avendo la Corte di merito fatto corretta applicazione del principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità (e ribadito anche da Cass. 4/07/2017, n. 8669), secondo cui il canone di locazione non può, nel corso del rapporto, essere rideterminato ma solo aggiornato nei limiti di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 32, sicchè ogni pattuizione finalizzata non all’aggiornamento bensì all’aumento del canone è da ritenere nulla per violazione dell’art. 79 della medesima Legge.

La ricorrente, inoltre, sostiene che la Corte territoriale non avrebbe vagliato adeguatamente il tenore letterale delle clausole contenute nella scrittura dell’11 aprile 2008; deduce che la possibilità delle parti di determinare liberamente il contenuto del contratto non può derogare ai limiti imposti dalla legge e che, poichè, ai sensi dell’art. 1343 c.c., la causa è illecita quando è contraria a norme imperative, ne conseguirebbe che, nel caso all’esame, poichè la causa della scrittura dell’11 aprile 2008 sarebbe stata solo quella di far conseguire al locatore un illegittimo aumento del canone, essa sarebbe illecita e nulla perchè si porrebbe in contrasto con il disposto della L. n. 392 del 1978, artt. 32 e 79.

2. Il secondo motivo è così rubricato: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 112,416 e 437 c.p.c., in riferimento all’art. 366 c.p.c., n. 4 e all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4”.

Censurando la parte di sentenza impugnata in cui si afferma che “il fatto che la scrittura privata in questione non menzioni la transazione stipulata in pari data non è sufficiente ad escludere l’invocato collegamento causale, per come evidenziato sin dal primo grado dalla difesa di parte appellata”, la ricorrente rappresenta che il L.F. ha chiesto, nella memoria datata 12 gennaio 2010 e depositata il 12 gennaio 2011, il rigetto della domanda, sostenendo che la pattuizione in questione era legittima perchè le parti del contratto di locazione erano libere di modificare e aumentare il canone dopo la stipula del contratto e, pur asserendo che, a suo avviso, “la scrittura di aumento del canone” costituisse un adempimento della diversa scrittura transattiva stipulata lo stesso giorno, il medesimo L.F. non avrebbe – in primo grado – proposto domanda per ottenere il riconoscimento che la scrittura di aumento del canone fosse stata convenuta nell’ambito di un accordo transattivo. Deduce la ricorrente che solo nella memoria difensiva in appello del 17 gennaio 2014 il locatore avrebbe chiesto il rigetto dell’appello “perchè l’accordo con il quale venne pattuito l’aumento del canone faceva parte di una operazione economica contestuale più ampia avente natura transattiva”, così proponendo una nuova domanda, che, avanzata in secondo grado, sarebbe stata inammissibile; la Corte di merito non ne avrebbe dovuto, pertanto, tenere conto e, non facendolo, avrebbe violato il disposto degli artt. 112,416 e 437 c.p.c..

3. Con il terzo motivo si lamenta “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e segg., in relazione al contenuto della scrittura di aumento del canone dell’11.4.2008 rispetto alla scrittura di vendita delle quote sociali di pari data, dell’art. 1965 c.c., in riferimento all’art. 366 c.p.c., n. 4 e all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Sostiene la società ricorrente che la Corte territoriale avrebbe erroneamente qualificato la scrittura dell’11 aprile 2008 di aumento del canone di locazione come transazione)ed avrebbe, altresì, errato nel ritenere che tale scrittura fosse collegata causalmente all’altra in pari data e che proprio il venir meno della qualità di socio in capo al locatore e, quindi, di ogni interesse ad agevolare il buon andamento della società fosse circostanza sufficiente a dar ragione della consensuale rinegoziazione delle condizioni contrattuali della locazione, in quanto, secondo la ricorrente, quella Corte non avrebbe correttamente interpretato le clausole contenute nella predetta scrittura di aumento del canone di locazione, secondo i canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., ed avrebbe, quindi, erroneamente ritenuto che non fosse nulla della L. n. 392 del 1978, n. 4.

Assume la ricorrente che l’adozione, da parte dell’interprete giudiziale, dei criteri ermeneutici integrativi può avvenire solo quando i criteri principali (letterale e di collegamento tra le varie parti dell’atto) siano insufficienti per individuare la comune volontà delle parti.

4. Con il quarto motivo si deduce “Violazione e falsa applicazione. degli artt. 1362 c.c. e segg., in relazione al contenuto della scrittura di aumento del canone dell’11.4.2008 rispetto alla scrittura di vendita delle quote sociali di pari data, degli artt. 1965,2697 e 2727 c.c. e degli artt. 416 e 437 c.p.c., in riferimento all’art. 366 c.p.c., n. 4 e all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3″.

Sostiene la ricorrente che la Corte di merito avrebbe violato le regole dell’ermeneutica contrattuale, i principi in tema di onere della prova e di presunzioni laddove ha ritenuto che proprio il venir meno della qualità di socio in capo al locatore e, quindi, di ogni interesse ad agevolare il buon andamento della società fosse circostanza sufficiente a dar ragione della consensuale rinegoziazione delle condizioni contrattuali della locazione.

Deduce la ricorrente che il L.F. avrebbe nella comparsa di risposta in primo grado dedotto che l’interesse che lo aveva indotto alla stipula dell’accordo era di natura transattiva, anche con riguardo all’ottenuta rinnovazione del contratto per ulteriori sei anni della locazione che scadeva proprio quell’anno e che le due scritture private facevano parte di un’unica operazione economicà, ma sostiene che il locatore non avrebbe mai dedotto che il canone fosse stato convenuto in misura inferiore a quella di mercato perchè quale socio voleva agevolare la società; nè mai avrebbe affermato che l’aumento del canone fosse dovuto al fatto che non avesse più alcun interesse ad agevolarla come affermato dalla Corte territoriale; solo in appello, nella memoria difensiva del 17 gennaio 2014, la controparte avrebbe cambiato versione.

Ad avviso della ricorrente, le affermazioni contenute nella memoria appena richiamata non sarebbero vere nè fornite di prova, sicchè il L.F. in appello avrebbe fondato la sua difesa su fatti mai prospettati, così introducendo nel secondo grado un nuovo tema d’indagine e la Corte di merito avrebbe deciso sulla base di tale inammissibile mutamento dei fatti e della difesa da parte dell’appellato; inoltre quella Corte avrebbe fatto ricorso ad una praesumptio de praesumpto è del tutto inammissibilmente.

5. Va esaminato, seguendo l’ordine logico, anzitutto il secondo motivo.

5.1. Lo stesso è infondato.

Osserva al riguardo il Collegio che la correlazione tra le scritture di cui si discute in causa dedotta dal L.F. costituisce una mera difesa e non già una domanda, sicchè viene meno il presupposto stesso della censura di inammissibilità della domanda nuova proposta in appello, evidenziandosi, peraltro che la stessa società ricorrente, a p. 7 del ricorso, rappresenta che il L.F. aveva dedotto, in comparsa di costituzione depositata il 12 gennaio 2011 in primo grado, che la scrittura di aumento costituiva un adempimento della diversa scrittura transattiva stipulata lo stesso giorno e a p. 15 del ricorso riporta testualmente brani della medesima comparsa di costituzione in cui si fa espresso riferimento ad un interesse transattivo e ad un collegamento negoziale tra le due scritture private di cui si discute, sicchè neppure sussiste la novità della questione, proprio perchè rappresentata già in primo grado.

6. Vanno poi unitariamente esaminati, stante lo stretto collegamento tra gli stessi, i motivi primo, terzo e quarto.

Tali mezzi sono fondati nei termini appresso indicati.

6.1. Va escluso il collegamento tra le due scritture private di cui si discute in causa, sul rilievo che l’interpretazione delle stesse operata dalla Corte di merito deve ritenersi non corretta, nè logica e neppure plausibile.

Ed invero la Corte territoriale ha posto a base del ritenuto collegamento l’irrilevanza della mancata menzione della transazione stipulata in pari data (elemento negativo) senza indicare validi elementi positivi da cui inferire una volontà delle parti di collegare i due atti, salvo” ritenere-senza indicare da quali dati abbia tratto tale convincimento – che “proprio il venir meno della qualità di socio in capo al locatore e dunque di ogni interesse ad agevolare il buon andamento della società appaia circostanza sufficiente a dar ragione della consensuale rinegoziazione delle condizioni contrattuali della locazione”; pertanto, sulla base di tale rilievo, così come indicato nella motivazione della sentenza impugnata, non risulta predicabile l’affermato collegamento, evidenziandosi, peraltro, che ad esiti diversi neppure si perviene sulla base del tenore delle due scritture in parola, riportate nel ricorso.

A tale ultimo riguardo va pure rimarcato che, in tema di interpretazione dei contratti, è pur vero che il carattere prioritario dell’elemento letterale non può intendersi in senso assoluto, atteso che il richiamo nell’art. 1362 c.c., alla comune intenzione delle parti impone di estendere l’indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici anche laddove il testo dell’accordo sia chiaro ma incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti (arg. ex Cass., sez. un. 8/03/2019, n. 6882, in motivazione; Cass. 28/06/2017, n. 16181); va, tuttavia, posto in rilievo che una corretta ricostruzione della comune intenzione delle parti debba essere operata innanzitutto sulla base del criterio dell’interpretazione letterale delle clausole del contratto, che resta, quindi, il primo e imprescindibile punto di partenza di ogni procedimento di ermeneutica contrattuale (Cass. 27/07/2001, n. 10290).

7.1. Escluso il collegamento tra le scritture più volte richiamate, va, quindi, esaminata la questione relativa alla validità o meno della pattuizione inerente all’aumento del canone.

7.2. A tale riguardo si osserva che le Sezioni Unite di questa Corte hanno già avuto modo di affermare che la sanzione di nullità sancita dalla L. n. 392 del 1978, art. 79, tradizionalmente intesa come volta a colpire le sole maggiorazioni del canone previste in itinere e diverse da quelle consentite ex lege, deve, invece, essere letta nel senso che il patto di maggiorazione del canone è nullo anche se la sua previsione attiene al momento genetico, e non soltanto funzionale, del rapporto (Cass., sez. un., 9/10/2017, n. 23601; Cass. 2/03/2018, n. 4922. V. pure già Cass. 7/02/2008, n. 2932; Cass. 19/11/2009, n. 24433; Cass. 9/06/2010, n. 13826).

Da ultimo questa Corte, ribadendo sostanzialmente, i principi appena richiamati,, ha precisato che, in tema di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da abitazione, ogni pattuizione avente ad oggetto non già l’aggiornamento del corrispettivo ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 32, ma veri e propri aumenti del canone deve ritenersi nulla ex art. 79, comma 1, della stessa Legge, in quanto diretta ad attribuire al locatore un canone più elevato rispetto a quello previsto dalla norma, senza che il conduttore possa, neanche nel corso del rapporto, e non soltanto in sede di conclusione del contratto, rinunziare al proprio diritto di non corrispondere aumenti non dovuti; il diritto del conduttore a non erogare somme eccedenti il canone legalmente dovuto (corrispondente a quello pattuito, maggiorato degli aumenti c.d. Istat, se previsti) sorge nel momento della conclusione del contratto, persiste durante l’intero corso del rapporto e può essere fatto valere, in virtù di espressa disposizione di legge, dopo la riconsegna dell’immobile, entro il termine di decadenza di sei mesi (Cass. 14/03/2018, n. 6124; Cass. 7/02/2013, n. 2961).

A tale orientamento giurisprudenziale va data, in questa sede, continuità.

Quanto sopra evidenziato non esclude, tuttavia, la ipotizzabilità di una valida transazione novativa, ove essa possa configurarsi sussistente, anche nel corso del contratto di locazione pure con riferimento all’entità (in aumento) del canone (arg. ex Cass. 17/05/2010, n. 11947 e Cass., sez. un., ord. 15/06/2017, n. 14861).

8. Dall’accoglimento per quanto di ragione delle censure che precedono resta assorbito l’esame del quinto motivo, rubricato: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

9. Conclusivamente, il ricorso deve essere, alla luce di quanto sopra evidenziato, accolto per quanto di ragione; la sentenza impugnata va cassata in relazione e la causa va rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione.

11. Stante l’accoglimento del ricorso, va dato atto della insussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte accoglie per quanto di ragione il ricorso; cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 22 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2019

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