Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34142 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 19/12/2019, (ud. 03/10/2019, dep. 19/12/2019), n.34142

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23527/2018 R.G. proposto da:

Perdipiù S.r.l., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Enrico Aguglia

e Giuseppe Iacono Quarantino, con domicilio eletto presso lo studio

di quest’ultimo in Roma, via Val di Lanzo, n. 79;

– ricorrente –

contro

Banco BPM S.p.A. (già Banco Popolare Società Cooperativa),

rappresentata e difesa dall’Avv. Maria Delia Manno;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 98/2018,

depositata il 19 gennaio 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3 ottobre

2019 dal Consigliere Iannello Emilio.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte d’appello di Palermo ha confermato la sentenza di primo grado che aveva respinto la domanda proposta dalla Perdipiù S.r.l. nei confronti della Banca Popolare Italiana Società Cooperativa (ora Banco BPM S.p.A.), di risarcimento danni da violazione dell’obbligo di buona fede nelle trattative ex art. 1337 c.c..

A fondamento di tale pretesa parte attrice aveva esposto che, avendo acquistato un’area edificabile ed un fabbricato con il proposito di realizzarvi alcune unità abitative per le quali aveva ottenuto la relativa concessione edilizia, aveva chiesto la concessione di un mutuo di Euro 400.000,00 alla Banca Popolare Italiana, agenzia di Termini Imerese, la quale, solo dopo due anni, a conclusione dell’istruttoria della pratica, aveva rigettato la richiesta. Essa si era quindi trovata costretta a rinunciare alla realizzazione dell’originario progetto ed a vendere il terreno alla società, che, nelle more, aveva realizzato in appalto sia le opere di urbanizzazione sia le strutture dei fabbricati.

Richiamato il principio giurisprudenziale secondo cui per ritenere integrata la responsabilità precontrattuale occorre che tra le parti siano in corso trattative; che queste siano giunte ad uno stadio idoneo ad ingenerare, nella parte che invoca l’altrui responsabilità, il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; che esse siano state interrotte, senza un giustificato motivo, dalla parte cui si addebita detta responsabilità; che, infine, pur nell’ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto, la Corte territoriale, conformemente alla valutazione del primo giudice, ha escluso che nella specie fossero ravvisabili tali presupposti.

Ha in tal senso evidenziato che le parti non erano approdate ad alcun accordo sulle linee fondamentali della autoregolamentazione precettiva dei rispettivi interessi divergenti, nè, dunque, avevano delineato le linee fondamentali del regolamento di interessi da sancire con il contratto, e che pertanto la vicenda prenegoziale di formazione del contratto non si era conclusa, ma era ancora in fieri.

Ha rilevato che a tal fine non soccorrevano la produzione documentale prodotta (due richieste di mutuo peraltro di diverso importo, susseguitesi a distanza di otto mesi fra loro), nè le prove testimoniali, correttamente ritenute inammissibili dal primo giudice in quanto non idonee a dar prova dei predetti elementi essenziali del contratto.

“Sul punto – ha soggiunto – è sufficiente considerare che il contratto di mutuo ha natura di contratto reale, cioè di contratto che si perfeziona esclusivamente con la consegna materiale del denaro, perchè ne consegua, di tutta evidenza, che, non avendo la convenuta mai erogato finanziamento di sorta, e non avendo neppure, tanto meno, nel rispetto della previsione di cui al T.U.B., art. 117, fatto firmare ai potenziali clienti alcun contratto scritto, si debba escludere che qualsivoglia contratto di finanziamento sia stato concluso tra le parti. A riguardo, infatti, l’appellante non ha fornito prova di sorta in ordine ad un intervenuto consenso tra le parti in virtù del quale la banca si sarebbe impegnata a corrispondere in un momento successivo il finanziamento in questione, evidenziando (e volendo esclusivamente dimostrare con mere prove orali) come tra l’appellante e la Banca si fossero svolte esclusivamente delle trattative faticose e complesse mai approdate ad accordo di sorta”.

2. Avverso tale decisione la Perdipiù S.r.l. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, cui resiste Banco BPM S.p.A. depositando controricorso.

3. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

La società ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 2.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione ed erronea applicazione dell’art. 1337 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

1.1. Premesso che con l’atto d’appello si era censurata, poichè infondata, la valutazione del tribunale che aveva ritenuto la domanda generica e non supportata da adeguata documentazione, nonostante fosse stata prodotta “corposa documentazione documentale” e nonostante la convenuta non avesse negato l’esistenza delle trattative, lamenta la ricorrente che la Corte d’appello ha ignorato del tutto tale motivo di gravame.

1.2. Lamenta inoltre che la Corte d’appello ha adottato in sentenza una nozione riduttiva del concetto di trattative, finendo coll’assimilarla praticamente al contratto preliminare, avendo ritenuto necessario che queste pervengano alla conclusione di un accordo contrattuale di massima o addirittura, con specifico riferimento al contratto di mutuo, che l’ente erogante abbia fatto sottoscrivere al potenziale cliente un contratto ai sensi del T.U.B., art. 117.

Sostiene di contro che la norma non richiede che le trattative siano pervenute alla fase finale, immediatamente precedente alla conclusione dell’affare, essendo sufficiente, ai fini della dedotta responsabilità, che le parti abbiano stabilito contatti seri e convincenti finalizzati alla conclusione di un particolare contratto, manifestando le condizioni alle quali ciascuna di esse è disponibile a contrarre e agli adempimenti necessari alla stipulazione.

In relazione a tale definizione rileva che la sentenza impugnata, nell’affermare che “la vicenda negoziale di formazione del contratto non si era ancora conclusa ma era ancora in fieri”, ha con ciò stesso riconosciuto che le trattative vi erano state.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce “nullità della sentenza; omessa motivazione; omesso esame di documenti decisivi e delle allegazioni fattuali delle parti, violazione del principio di non contestazione”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

Riportato un ampio stralcio della comparsa di risposta depositata in primo grado dalla banca convenuta (pagg. 18-22 del ricorso), sostiene che da esso poteva ricavarsi dimostrazione dell’esistenza delle trattative, posto che risultavano confermati i fatti storici così come riferiti dalla stessa attrice.

Lamenta quindi l’obliterazione di documenti prodotti in giudizio, asseritamente idonei a dimostrare la serietà e la concludenza delle trattative condotte, quali: a) la perizia bancaria a firma dell’arch. M.M.; b) la nota, datata 26 marzo 2007, con cui la banca comunicava al notaio Dott. G. che la società odierna ricorrente lo aveva prescelto per il perfezionamento della pratica, chiedeva allo stesso la produzione della relazione preliminare sull’immobile oggetto di ipoteca, allegava perizia tecnica estimativa e copia di certificato camerale; c) la relazione preliminare del notaio, in data 3/11/2008, contenente la descrizione e la storia del dominio degli immobili offerti in garanzia, le notizie circa la presenza di trascrizioni, ipoteche e privilegi.

Sostiene che tali documenti, oltre al comune interesse alla stipulazione del contratto, attestavano che era stato completato l’iter istruttorio della domanda di mutuo e che quindi le trattative erano giunte alla fase conclusiva.

3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia infine violazione ed erronea applicazione degli artt. 115 e 244 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

Premesso che con l’atto d’appello si era censurata la valutazione del Tribunale che aveva ritenuto irrilevanti la prova per testi oltre che la mancata valutazione dell’ulteriore richiesta di ordine di esibizione, lamenta che il gravame sul punto è stato ritenuto dalla Corte d’appello inammissibile sulla base di regole (incensurabilità della valutazione di rilevanza dei mezzi istruttori) proprie del giudizio di legittimità. Soggiunge che la valutazione di inammissibilità, espressa dal Tribunale e condivisa dalla Corte territoriale, è conseguenza del concetto restrittivo di trattative accolto in sentenza.

4. Il primo motivo è inammissibile, con riferimento ad entrambe le censure in cui si articola.

4.1. La prima di esse (v. supra p. 1.1) si appalesa aspecifica, risolvendosi nella mera testuale riproduzione di un ampio stralcio dell’atto d’appello (v. pagg. 6-11 del ricorso), seguita dalla lagnanza secondo cui “la Corte d’appello ha ignorato del tutto il motivo riprodotto sopra”.

In tali termini la postulazione risulta del tutto generica e tale da impingere in inammissibilità per difetto di specificità alla stregua del consolidato principio di diritto di cui a Cass. n. 4741 del 2005, seguito da numerose conformi e avallato da Cass. Sez. U. n. 7074 del 2017 (“Il requisito di specificità e completezza del motivo di ricorso per cassazione è diretta espressione dei principi sulle nullità degli atti processuali e segnatamente di quello secondo cui un atto processuale è nullo, ancorchè la legge non lo preveda, allorquando manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento del suo scopo (art. 156 c.p.c., comma 2). Tali principi, applicati ad un atto di esercizio dell’impugnazione a motivi tipizzati come il ricorso per cassazione e posti in relazione con la particolare struttura del giudizio di cassazione, nel quale la trattazione si esaurisce nella udienza di discussione e non è prevista alcuna attività di allegazione ulteriore (essendo le memorie, di cui all’art. 378 c.p.c., finalizzate solo all’argomentazione sui motivi fatti valere e sulle difese della parte resistente), comportano che il motivo di ricorso per cassazione, ancorchè la legge non esiga espressamente la sua specificità (come invece per l’atto di appello), debba necessariamente essere specifico, cioè articolarsi nella enunciazione di tutti i fatti e di tutte le circostanze idonee ad evidenziarlo”).

Nella specie, per vero, il ricorrente non indica esattamente quale tra i vari e variamente intrecciantisi argomenti svolti nello stralcio trascritto dell’atto d’appello (mancato esame di documenti, erronea valutazione di prove, violazione del principio di non contestazione, contraddittorietà della motivazione) sia stato ignorato, di tal che nella sostanza il ricorso appare volto, per tale parte, al mero scopo di riproporre alla Corte di legittimità lo stesso atto d’appello nel generico auspicio di un diverso esito valutativo.

Ove poi si possa tale censura benevolmente leggere, nella sostanza, come diretta a denunciare un vizio di omessa pronuncia (sulle critiche volte a contestare la valutazione di carenza probatoria espressa dal primo giudice), ne appare evidente l’inammissibilità e comunque l’infondatezza, dal momento che non si confronta minimamente con la sentenza impugnata, la quale dà espressamente atto, sia della doglianza (v. ultimo cpv. della terza pagina), sia dei motivi per le quali è disattesa. Tant’è vero che i successivi motivi di ricorso si appuntano proprio e nuovamente (e pressochè negli stessi termini) su tale valutazione, in quanto espressamente condivisa anche dalla Corte d’appello.

Eccentrico comunque il riferimento in rubrica agli artt. 115 e 116 c.p.c.: oltre a non essere tale riferimento minimamente illustrato, il motivo nel suo complesso si muove evidentemente su di un piano (erronea o inadeguata valutazione delle prove, error in iudicando) totalmente diverso da quello che in astratto mette in gioco il rispetto delle regole processuali poste dalle norme succitate (al riguardo apparendo sufficiente rimandare ai principi affermati da Cass. Sez. U. 05/08/2016, n. 16598; Cass. 10/06/2016, n. 11892; Cass. 20/10/2016, n. 21238).

4.2. E’ inammissibile, poichè aspecifica, anche la seconda censura (v. supra p. 1.2), con cui propriamente si denuncia un error in iudicando.

Essa infatti non si confronta con il contenuto integrale della sentenza impugnata, appuntandosi solo sulle affermazioni che, nella parte finale della motivazione, fanno riferimento al momento perfezionativo del contratto di mutuo: affermazioni che, ancorchè in sè effettivamente non pertinenti al tema trattato, non restituiscono il senso e il nucleo centrale della motivazione, il quale sta nella affermazione, chiaramente leggibile nei capoversi immediatamente precedenti ed espressiva di un accertamento in fatto, secondo cui le trattative, pur indubbiamente esistenti, “non erano giunte ad uno stadio idoneo a far sorgere nella parte che invoca l’altrui responsabilità il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto”, non essendo le parti “approdate ad alcun accordo sulle linee fondamentali della autoregolamentazione precettiva dei rispettivi interessi, nè delineato le linee fondamentali del regolamento di interessi”.

Nell’enunciare tale ratio decidendi, con la quale il motivo omette di confrontarsi, la Corte di merito ha applicato una corretta regola di giudizio, esplicitata del resto con il richiamo a costante giurisprudenza, secondo cui – giova ripetere – “per ritenere integrata la responsabilità precontrattuale occorre che tra le parti siano in corso trattative; che queste siano giunte ad uno stadio idoneo ad ingenerare, nella parte che invoca l’altrui responsabilità, il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; che esse siano state interrotte, senza un giustificato motivo, dalla parte cui si addebita detta responsabilità; che, infine, pur nell’ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto. La verifica della ricorrenza di tutti tali elementi si risolve in un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità ove adeguatamente motivato” (così, tra le più recenti, Cass. 15/04/2016, n. 7545).

Non è pertanto ravvisabile il dedotto error iuris nemmeno sub specie di errore di sussunzione, non risultando alcun accertamento fattuale distonico rispetto al principio enunciato.

5. Il secondo e il terzo motivo, congiuntamente esaminabili in quanto ruotanti intorno alla medesima doglianza di fondo, si appalesano altresì inammissibili.

Escluso il vizio di omessa motivazione (essendo ampia e ben comprensibile la ratio decidendi posta a fondamento della sentenza, come già sopra evidenziato) nonchè quello, peraltro in contraddizione logica con la prima doglianza, di omesso esame di documenti o prove orali (avendo la Corte d’appello affermato e motivato l’irrilevanza degli uni e delle altre, ancorchè non richiamandone specificamente il contenuto, in quanto idonei a dimostrare solo l’esistenza delle trattative, non anche il loro avanzamento ad uno stadio tale da giustificare la formazione di aspettative che possano considerarsi ingiustificatamente lese dal successivo comportamento della banca), ed escluso altresì, per la stessa ragione, la pure dedotta violazione del principio di non contestazione, appare evidente che l’essenza delle critiche è diretta a contestare, nel merito, la valutazione operata dai giudici di merito e a sollecitare inammissibilmente a questa Corte un riesame completo del materiale istruttorio.

Tutto ciò peraltro secondo una chiave di lettura errata in diritto.

Al contrario di quanto afferma la ricorrente non è infatti la Corte d’appello ad aver adottato una nozione troppo ristretta di trattative, ma è la ricorrente a muovere da una lettura dell’illecito precontrattuale troppo ampia ed elastica.

I ragionamenti e le critiche svolte tendono infatti a sostenere l’esistenza di trattative prolungate e concretizzatesi anche nello svolgimento di accertamenti preliminari (ciò che del resto non è negato nè dalla convenuta nè dalla sentenza), che però, in base all’interpretazione pacificamente accolta da questa Corte, sopra ripetutamente ricordata, non è di per sè sufficiente a fondare di per sè una responsabilità precontrattuale nel caso di esito infruttuoso delle stesse, occorrendo altresì, come s’è detto, “che le trattative fossero giunte ad uno stadio idoneo ad ingenerare, nella parte che invoca l’altrui responsabilità, il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; che esse siano state interrotte, senza un giustificato motivo, dalla parte cui si addebita detta responsabilità; che, infine, pur nell’ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto”: elementi tutti sui quali nessun elemento risulta acquisito nè alcun argomento è sviluppato in ricorso, tale da poter segnalare una lacuna motivazionale nella sentenza impugnata sindacabile (per omesso esame di fatto storico decisivo e oggetto di discussione tra le parti) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

6. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma degli artt. 1-bis e 13.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma degli artt. 1-bis e 13.

Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019

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