Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34135 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 19/12/2019, (ud. 11/07/2019, dep. 19/12/2019), n.34135

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22246/2018 R.G. proposto da:

IMMOBILIARE RES S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dall’avv. Rizzardo Del Giudice e dall’avv.

Cristiano Marinese, con domicilio eletto in Roma, Lungotevere dei

Mellini n. 10.

– ricorrente-

contro

CANTINA DEL TERRAGLIO – SOCIETA’ COOPERATIVA AGRICOLA, in persona del

legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Giorgio

Bressan e dall’avv. Francesco Di Giovanni, con domicilio eletto in

Roma, Via Merulana n. 247.

– controricorrente –

avverso l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 881/2018, depositata

il 16.1.2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno

11.7.2019 dal Consigliere Fortunato Giuseppe.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Cantina del Terraglio ha adito il tribunale di Treviso, esponendo di aver stipulato con l’Immobiliare Res – in data 6.10.2006 – un contratto preliminare di trasferimento dell’immobile sito in (OMISSIS), censito al fl. (OMISSIS), partt. (OMISSIS), sub (OMISSIS), dietro versamento di Euro 2.100.000,00 e con permuta di altro immobile di proprietà della promissaria acquirente; che quest’ultima aveva sottoscritto il contratto consapevole delle condizioni di abbandono del bene ma che, pochi giorni prima dell’appuntamento fissato dinanzi al notaio per la stipula del definitivo, aveva chiesto un sopralluogo e aveva contestato la sussistenza di gravi vizi dell’immobile, per cui il contratto non era stato concluso.

Ha chiesto di emettere una sentenza costitutiva del trasferimento del bene ai sensi dell’art. 2932 c.c..

La convenuta ha eccepito che la promittente venditrice non le aveva inviato la copia del verbale di approvazione del preliminare da parte del Consiglio di amministrazione e non aveva cancellato l’ipoteca volontaria iscritta sull’immobile promesso in vendita.

Ha altresì dedotto di aver agito in separata sede per ottenere il trasferimento del bene ma che il giudizio era stato definito con transazione, prevedendo che il trasferimento sarebbe avvenuto dietro il pagamento di Euro 2.225.000, senza alcuna permuta immobiliare.

Ha inoltre proposto un’autonoma domanda di risoluzione del contratto, sostenendo che, a causa dei vizi dell’immobile rilevati nel corso del sopralluogo del 15.9.2007, non aveva interesse alla conclusione del contratto definitivo.

Riuniti i giudizi, il Tribunale di Treviso ha respinto la domanda di risoluzione, disponendo il trasferimento dell’immobile, previo versamento di Euro 2.225.000,00, oltre accessori.

La decisione di primo grado è stata confermata dalla Corte d’appello di Venezia con sentenza n. 748/2014.

Avverso detta decisione l’Immobiliare Res ha proposto ricorso in cassazione articolato in due motivi, sostenendo che (I motivo) il giudice di secondo grado aveva omesso di esaminare un fatto decisivo della lite, ossia che la ricorrente – dal 2002 (data in cui il bene era stato rilasciato a seguito della cessazione del rapporto di locazione intercorso tra le parti) alla data del sopralluogo del 15.9.2007, non aveva avuto modo di verificare le condizioni di abbandono in cui versava l’immobile.

Ha inoltre censurato (II motivo) l’interpretazione data dalla Corte di appello alla clausola contrattuale con cui l’immobile era stato promesso in vendita “nello stato in cui esso si trova, ben noto all’acquirente”, sostenendo che detta clausola non era stata oggetto di specifica negoziazione.

Con ordinanza n. 881/2018 questa Corte ha ritenuto l’infondatezza del primo motivo, osservando che: a) il giudice distrettuale aveva affrontato la questione della conoscibilità dei vizi, avendo stabilito che la promissaria acquirente era a conoscenza delle condizione del bene ed avendo escluso che l’Immobiliare Res si fosse determinata all’acquisto sulla base delle condizioni dell’immobile che ricordava sussistenti al 2002; b) che la predetta censura sollevava questioni pertinenti alla valutazione delle prove, insindacabili in sede di legittimità; c) che l’omesso esame delle deposizioni dei testi B.F. e Ba.Gi., circa l’avvenuto accesso, da parte della ricorrente, all’area scoperta oggetto del preliminare, non integrava la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo la sentenza comunque esaminato il fatto oggettivo asseritamente non valutato, non essendo tenuta a dar conto di tutte le risultanze istruttorie.

Riguardo al secondo motivo di ricorso, l’ordinanza ha ritenuto insussistente la denunciata violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, perchè la Corte d’appello – nell’escludere che la pattuizione con cui la promissaria acquirente aveva dichiarato di voler acquistare l’immobile nello stato in cui si trovava, “ben noto all’acquirente” costituisse una mera clausola di stile, ha rilevato che la suddetta clausola presentava “un preciso contenuto ed è inserita in un contratto che non reca alcuna pattuizione sulla garanzia per vizi, redatto a seguito di trattativa articolata, avendo entrambe le parti a disposizione il contenuto della bozza che hanno discusso e modificato secondo il loro gradimento”.

Ha concluso che “benchè il ricorso evochi la verifica dei canoni legali di ermeneutica, il motivo di censura finisce per investire il risultato interpretativo in sè e per muovere alla ricostruzione della volontà negoziale una critica traducentesi in una richiesta di diversa valutazione degli stessi elementi di fatto esaminati dalla Corte d’appello”.

La revocazione dell’ordinanza n. 881/2018 è chiesta dall’Immobiliare Res sulla base di due motivi di ricorso, illustrati con memoria.

La Cantina del Terraglio ha depositato controricorso e memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 394 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver l’ordinanza omesso di rilevare l’errore di fatto in cui era incorso il Tribunale che, pur avendo disposto il trasferimento del bene, non aveva preso in esame la clausola indicativa del prezzo contenuta nel preliminare e nulla aveva statuito circa il versamento del prezzo della vendita. Tale omissione integrerebbe un errore revocatorio trasmessosi alla sentenza di appello e all’ordinanza impugnata, rendendo ineseguibile la decisione.

Il motivo è inammissibile.

Come osservato dalla resistente, il dispositivo della sentenza di tribunale aveva già disposto il trasferimento del bene subordinatamente al pagamento, da parte di Immobiliare Res, del prezzo pari ad Euro 2.225.000, oltre interessi legali dal 20.9.2007 al saldo (cfr. sentenza pag. 18).

In sostanza, sin dal primo grado il trasferimento del bene era espressamente subordinato al pagamento del corrispettivo della vendita, con statuizione non impugnata dall’appellante (cfr. atto di appello notificato il 20.5.2011), poichè, in realtà, come asserisce la stessa Immobiliare Res, su tale profilo non era insorta alcuna contestazione, essendo la pronuncia conforme a quanto stabilito dalle parti con la transazione con cui, a modifica del preliminare, il prezzo era stato rideterminato, elevandone l’importo con esclusione della permuta parziale di altro immobile in titolarità della promissaria acquirente.

Non vi era quindi alcuna incompletezza, nè nella sentenza di primo grado nè in quella di appello ed inoltre nessuna censura era stata proposta all’esame di questa Corte nel giudizio definito con l’ordinanza impugnata, fermo peraltro, ove pure il giudice di merito avesse omesso di contemplare l’obbligo di pagamento, il vizio avrebbe sostanziato non un errore di fatto, derivante da un’errata percezione delle risultanze di causa su un punto cui il giudice non avesse espressamente pronunciato (art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4), ma un errore di giudizio, denunciabile con gli ordinari mezzi di impugnazione e ormai precluso poichè non censurato nè in appello, nè in cassazione.

2. Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, sostenendo che la ricorrente non aveva alcuna possibilità di avvedersi delle condizioni dell’immobile nel periodo compreso tra la data del preliminare e quella di conclusione del definitivo.

La clausola con cui la promissaria acquirente aveva accettato l’immobile nelle condizioni in cui esso si trovava alla data della stipula (6.10.2006) non poteva comportare la volontà di acquistare il bene nello stato di degrado accertato al momento della vendita definitiva (20.9.2007) ed il fatto che sia il giudice di merito che quello di legittimità non si siano avveduti di tale circostanza, sostanzierebbe un errore revocatorio.

Il motivo è inammissibile.

Esaminando il primo motivo di ricorso (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), questa Corte ha specificamente preso in esame la questione relativa alla conoscibilità dei vizi da cui era affetto l’immobile, sostenendo che la Corte di merito aveva correttamente stabilito, con motivazione congrua ed esaustiva, che la ricorrente era a conoscenza o in condizione di conoscere l’effettivo stato di conservazione dell’immobile, avendo il giudice di secondo grado escluso che la Immobiliare Res si fosse determinata all’acquisto sulla base delle conoscenze delle condizioni che ricordava sussistenti al 2002″, e precisando che “la dichiarazione contenuta nel preliminare di vendita, stante la sua formulazione, si appalesava di contenuto attuale rispetto al momento della stipula del preliminare stesso”.

E’ quindi esclusa la configurabilità di un errore revocatorio già per il fatto che la conoscenza dello stato dell’immobile al momento della vendita era stato oggetto di contrapposte deduzioni difensive delle parti e di specifica valutazione anche in sede di legittimità – nei limiti della denuncia proposta dalla ricorrente.

Le conclusioni raggiunte dal giudice di appello – poi confermate dall’ordinanza impugnata – appaiono inoltre l’esito di un’attività valutativa delle emergenze processuali e – successivamente – dello scrutinio di legittimità su un punto della controversia oggetto di un’espressa statuizione nei diversi gradi di causa.

Deve ribadirsi che, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, richiamato per le sentenze della Corte di cassazione dall’art. 391-bis c.p.c., rientra fra i requisiti necessari della revocazione che il fatto oggetto della supposizione di esistenza o inesistenza non abbia costituito un punto oggetto di contrasto tra le parti, cui il giudice abbia dato soluzione.

Non è configurabile l’errore revocatorio qualora l’asserita erronea percezione degli atti di causa abbia formato oggetto di discussione e della consequenziale pronuncia a seguito dell’apprezzamento delle risultanze processuali (Cass. 9527/2019; Cass. 7622/2018; Cass. 14929/2018; Cass. 14929/2018; Cass. 442/2018; Cass. 27094/2011; Cass. 14840/2000).

Il ricorso è quindi inammissibile, con aggravio di spese secondo soccombenza.

Si dà atto che sussistono le condizioni per dare atto che la ricorrente è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 10.000,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.

Dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che la ricorrente è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il giorno 11 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019

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