Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34125 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 19/12/2019, (ud. 15/10/2019, dep. 19/12/2019), n.34125

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4229-2014 proposto da:

ASL NAPOLI (OMISSIS) CENTRO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POLI 29, (UFFICO DI

RAPPRESENTANZA DELLA REGIONE CAMPANIA), presso lo studio

dell’avvocato ALBERTO ARMENANTE, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.R., A.A., D.G.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 290/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 06/02/2013 r.g.n. 7897/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/10/2019 dal Consigliere Dott. SPENA FRANCESCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO ALESSANDRO, che ha concluso per l’accoglimento.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza in data 15 gennaio- 6 febbraio 2013 numero 290, riformava la sentenza del Tribunale della stessa sede e, per l’effetto, in parziale accoglimento delle domande proposte da D.R., A.L.A., D.G.G., dirigenti medici dell’ASL NAPOLI (OMISSIS), condannava la ASL a risarcire il danno derivato dalla mancata concessione del riposo compensativo dopo lo svolgimento del turno di pronta disponibilità in giorno festivo negli anni dal 2002 al 2006.

2. La Corte territoriale reputava infondata la tesi della ASL, secondo cui il godimento del riposo compensativo avrebbe richiesto una domanda del medico. Osservava che la norma contrattuale – art. 20, comma 6, CCNL dirigenza medica 1994/1997- non richiedeva la presentazione di tale domanda nonostante il fatto che la fruizione del riposo comportasse un aumento dell’orario di lavoro negli altri giorni lavorativi, ai fini del rispetto dell’orario settimanale.

3.Era obbligo del datore di lavoro organizzare i turni in modo da garantire tanto il diritto del lavoratore al recupero delle energie psicofisiche che l’adempimento del debito orario.

4.Dall’inadempimento della ASL derivava il diritto dei dirigenti medici al risarcimento del danno. Il danno da mancato riposo non poteva parametrarsi alla retribuzione di una intera giornata lavorativa, in quanto il servizio di reperibilità non poteva equipararsi ad una giornata di lavoro; esso andava determinato, secondo equità, in un terzo della retribuzione giornaliera.

5. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la ASL NAPOLI (OMISSIS), articolato in due motivi, cui gli intimati non hanno opposto difese.

6. La causa, già fissata con il rito camerale, è stata rinviata alla pubblica udienza, con ordinanza interlocutoria del 16 aprile 2019, per la discussione sui principi enunciati dalla Corte di Giustizia nella sentenza 21 febbraio 2018, Ville de Nivelles, in causa C-518/2015.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la parte ricorrente ha dedotto- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del CCNL sanità 1994/1997, art. 20, comma 6.

2. Ha censurato l’interpretazione della norma contrattuale posta a base della sentenza impugnata, assumendo che il diritto del dirigente medico al riposo compensativo per il servizio di reperibilità svolto in giorno festivo sorge soltanto a domanda; tanto sul rilievo che il godimento del riposo comporta un aggravio della prestazione lavorativa nell’arco della medesima settimana sicchè resterebbe rimessa alla discrezionalità del dipendente la scelta di usufruirne.

3. Con il secondo motivo la ASL ha censurato la statuizione resa in punto di danno.

4. Ha assunto che ove nel turno di reperibilità in giorno festivo non si verifichi una effettiva prestazione lavorativa spetta al dipendente l’onere di provare che la mancata concessione del riposo abbia provocato un danno risarcibile, prova che nella fattispecie di causa non era stata fornita.

5. Ritiene il Collegio si debba accogliere il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo.

A) IL SERVIZIO DI PRONTA DISPONIBILITA’ NELLA PRECEDENTE GIURISPRUDENZA DI QUESTA CORTE;

6. Il servizio di pronta disponibilità, altrimenti definito come “reperibilità”, già previsto dal D.P.R. n. 270 del 1987, art. 18, è stato disciplinato nel pubblico impiego privatizzato per la dirigenza medica, qui in considerazione, dal CCNL 5 dicembre 1996, art. 20 e dal CCNL 3 novembre 2005, art. 17, per il quadriennio 2002/2006.

7. Sulla questione di causa si era formato un orientamento consolidato di questa Corte (per tutte: Cassazione civile sez. lav., 27/07/2017, n. 18654 e giurisprudenza ivi citata) secondo cui:

– dalla prestazione del servizio di pronta disponibilità in giorno festivo non derivava, quale effetto automatico, il diritto del dipendente a fruire del riposo compensativo; la fruizione del riposo era rimessa alla sua scelta discrezionale, in ragione del connesso aggravio dell’orario giornaliero nell’arco della settimana;

– pertanto, l’obbligo del datore di lavoro di concedere la giornata di riposo, rimodulando conseguentemente l’orario settimanale, sorgeva solo qualora il dipendente ne facesse espressa richiesta.

8. Tale giurisprudenza muoveva dal dichiarato presupposto che il servizio di disponibilità, ove nei fatti non avesse comportato la chiamata del dipendente in servizio (disponibilità cd. passiva), non poteva essere equiparato al lavoro effettivo.

9. A tale presupposto aderisce la stessa sentenza impugnata, nel corpo della motivazione e nella liquidazione del danno da mancato riposo anche se le conclusioni raggiunte dal giudice dell’appello si pongono in contrasto con i principi sin qui esposti.

B) LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA SUL TEMPO DI LAVORO ED I RIPOSI;

10. L’inquadramento del servizio di pronta disponibilità in giorno festivo deve confrontarsi con l’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia alla nozione di “orario di lavoro”, di cui all’art. 2 della direttiva 93/104/CE (modificata dalla direttiva 2000/34/CE), poi codificata dalla direttiva 2003/88/CE (in prosieguo: la direttiva).

11. La direttiva contiene prescrizioni minime sull’organizzazione dell’orario di lavoro al fine di migliorare le condizioni di lavoro dei lavoratori nella Comunità, onde garantirne la sicurezza e la salute.

12. Il suddetto art. 2 definisce, rispettivamente:

– “orario di lavoro” come “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali”;

– “periodo di riposo” come “qualsiasi periodo che non rientra nell’orario di lavoro”.

13. Le nozioni di “orario di lavoro” e di “periodo di riposo”, come chiarito dalla Corte di Giustizia, appartengono al diritto comunitario e vanno interpretate secondo criteri oggettivi, facendo riferimento al sistema ed alla finalità della direttiva e non già alle prescrizioni delle varie normative degli Stati membri; la funzione interpretativa non compete dunque al giudice nazionale ma al giudice Europeo, la cui interpretazione autonoma è l’unica in grado di assicurare la piena efficacia della direttiva e la sua applicazione uniforme in tutti gli Stati membri (sentenza 9 settembre 2003, in causa C 151/02 JAEGER, punto 58).

14. La Corte di Lussemburgo ha chiarito che tre sono gli elementi costituitivi della nozione di orario di lavoro: il primo è l’essere il lavoratore nell’esercizio delle sue attività o delle sue funzioni; il secondo l’essere il lavoratore a disposizione del datore di lavoro; il terzo, l’essere il dipendente al lavoro (Corte di Giustizia,, sentenza 10 settembre 2015 in causa C266/2014, sui lavoratori itineranti, rispettivamente ai punti 30, 35, 43).

15. Nei servizi di reperibilità il dipendente è a disposizione del datore di lavoro; la ratio dubitandi verte, invece, sui due concorrenti presupposti dell’esercizio dell’attività o delle funzioni e dell’essere il dipendente al lavoro.

16. A partire dal leading case SIMAP, sent. 3.10.2000 in causa C303/98- relativa al servizio di guardia dei medici delle unità di pronto soccorso della Comunità Valenciaria- la Corte di Giustizia ha distinto il servizio di guardia dei medici effettuato secondo un regime di presenza fisica nel centro sanitario da quello che si svolge secondo un sistema di reperibilità che non obbliga il medico ad essere presente nel luogo di lavoro.

17. Ha ritenuto che gli elementi caratteristici della nozione di “orario di lavoro” sono presenti nel primo caso poichè configura “esercizio delle funzioni” l’obbligo di essere presenti e disponibili sul luogo di lavoro per prestare la propria opera (anche nel caso in cui sia a messa a disposizione del medico sul luogo di lavoro una stanza con un letto per riposare nei periodi di inattività: così sent. 9.9.2003 cit., relativa al servizio di guardia degli assistenti medici organizzato dal Comune di Kiel). Tale giurisprudenza si basa, dunque, su una interpretazione elastica del requisito dell'”esercizio della attività o delle funzioni”.

18. Diversamente, nel caso in cui il servizio di guardia non si svolga secondo un regime di presenza fisica sul luogo di lavoro, deve essere considerato “orario di lavoro” soltanto il tempo relativo alla prestazione effettiva del servizio giacchè in tal caso, il dipendente, pur essendo a disposizione del datore di lavoro- in quanto deve poter essere raggiungibile- può gestire il suo tempo in modo più libero e dedicarsi ai propri interessi (si vedano anche: Corte di Giustizia 5.10.2004 nelle cause riunite da C 397/01 a C 403/01 PFEIFFER; 1.12.2005 in causa C14/04 ABEDELKADER DELLAS e altri; 11 gennaio 2007 in causa C437/05 VOREL).

19. Una puntualizzazione di tale principio poteva cogliersi nella ordinanza 4 marzo 2011 in causa C-258/10, N.G. ove veniva in questione il servizio di guardia forestale, con fruizione di un alloggio di servizio, nel quale, pur essendo l’orario lavorativo giornaliero di otto ore, secondo la normativa nazionale della Romania il dipendente era responsabile senza limiti di tempo per le zone di sua competenza. Ivi la Corte Europea ha affermato che il periodo durante il quale la guardia forestale è tenuta a garantire la sorveglianza di una particella boschiva, con responsabilità per i danni in essa avvenuti indipendentemente dal momento in cui si producono, costituisce orario di lavoro ai sensi dell’art. 2 punto 1 della direttiva 2003/88/CE se “la natura e la portata dell’obbligo di sorveglianza cui è tenuta la guardia forestale e il regime di responsabilità applicabile richiedono la presenza fisica di quest’ultima sul luogo di lavoro e se durante lo stesso periodo essa debba tenersi a disposizione del datore di lavoro”. La particolarità del caso sta nel fatto che l’obbligo di presenza fisica sul luogo di lavoro, il cui accertamento è demandato al giudice del rinvio, non viene correlato ad una disposizione specifica ma alla natura ed alla portata degli obblighi di sorveglianza ed al regime di responsabilità applicabile.

20. Si manifesta in tal senso un primo esito della predicata interpretazione funzionale della direttiva (ovvero orientata dall’obiettivo di organizzare l’orario di lavoro ed i tempi di riposo in funzione della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori).

21. Il suddetto criterio interpretativo ha trovato una importante espressione, da ultimo, nella sentenza 21.02.2018 in causa C 518/2015 VILLE DE NIVELLES, ove per la prima volta la nozione di “orario di lavoro” ai sensi della direttiva è stata estesa ai servizi di reperibilità eseguiti dal lavoratore presso il proprio domicilio.

22. Nella fattispecie esaminata veniva in rilievo il servizio di guardia effettuato dal sig. Ru. Ma., vigile del fuoco della città belga di (OMISSIS); secondo la disciplina del regolamento organico del servizio antincendio di (OMISSIS) il personale, al termine dell’anno di tirocinio, aveva obbligo di essere domiciliato o residente in un luogo tale che il tempo di viaggio necessario a raggiungere la caserma di (OMISSIS), in condizioni normali, non fosse superiore ad 8 minuti. Durante i periodi di reperibilità il lavoratore era tenuto a rimanere entro una distanza dalla stazione dei vigili del fuoco tale per cui il tempo necessario a raggiungerla in condizioni di traffico normale non fosse superiore a 8 minuti.

23. Nello scrutinare detta disciplina la Corte di Giustizia ha distinto la posizione del lavoratore che deve, durante le ore di guardia, essere semplicemente a disposizione del datore di lavoro affinchè quest’ultimo possa contattarlo, da quella in cui il lavoratore sia tenuto ” a passare il periodo di guardia nel suo domicilio, a tenersi a disposizione del datore di lavoro ed ad essere in grado di raggiungere il luogo di lavoro entro otto minuti” (sent. citata, punto 65) giungendo ad affermare che in tali condizioni le ore di guardia costituiscono “orario di lavoro” giacchè i vincoli imposti al lavoratore sono di natura tale da limitare molto fortemente le possibilità di svolgere altre attività.

24. Nel percorso motivazionale la Corte di Giustizia richiama la propria giurisprudenza sui regimi di guardia con presenza fisica nel luogo di lavoro- della quale si è detto- e pone a base di essa la considerazione che gli obblighi di presenza nel luogo stabilito dal datore di lavoro e di disponibilità a fornire immediatamente le prestazioni opportune in caso di bisogno rientrano nell’esercizio delle funzioni in quanto ” rendono impossibile ai lavoratori interessati di scegliere il luogo in cui stare durante le ore di guardia” (sent. cit., punto 59).

25. Di contro, il sistema di reperibilità senza obbligo di presenza sul luogo di lavoro non costituisce orario di lavoro (salvo il caso di prestazione effettiva) in quanto consente al lavoratore di “gestire il suo tempo con maggiore libertà e dedicarsi ai propri interessi” (punto 60).

26. Il criterio discretivo oggettivo ai fini della reciproca delimitazione delle nozioni di “orario di lavoro” e di “periodo di riposo” -che si escludono a vicenda (punto 55 della sentenza in esame e giurisprudenza ivi citata) – è quello del sistema e delle finalità della direttiva 2003/88/CE, intesa a stabilire prescrizioni minime destinate a migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei dipendenti (punto 62 della sentenza, ove si richiama la sentenza 10 settembre 2015 in causa C 266/2014).

27. L’obbligo di essere fisicamente presente nel luogo stabilito dal datore di lavoro ed il vincolo derivante, dal punto di vista geografico e temporale, dalla necessità di raggiungere il luogo di lavoro entro otto minuti sono di natura tale da limitare in modo oggettivo la possibilità del lavoratore di dedicarsi ai propri interessi personali e sociali sicchè le ore di guardia devono essere considerate come “orario di lavoro” (punto 63).

28. Così esposti i contenuti della pronuncia, appaiono opportune brevi considerazioni.

29. La sentenza dell’anno 2018 porta a compimento la interpretazione funzionale della nozione di orario di lavoro, già enunciata in relazione al presupposto dell'”esercizio dell’attività o delle funzioni” ed ora estesa al requisito dell'”essere al lavoro”.

30. Alla base del ragionamento vi è una interpretazione circolare: se è vero che, letteralmente, l’art. 2 della direttiva 2003/88/CE ricava la nozione di “periodo di riposo”, per esclusione, dalla definizione dell’orario di lavoro, la necessità di assicurare ai lavoratori un riposo adeguato alla protezione effettiva della loro salute e sicurezza finisce con il condizionare l’ampiezza della nozione di “orario di lavoro”.

31. Detta biunivoca interferenza deriva:

– dal già rilevato rapporto di reciproca esclusione tra le nozioni di “orario di lavoro” e di “periodo di riposo”;

– dal fatto che la direttiva non prevede categorie intermedie tra le due nozioni di “orario di lavoro” e di “periodo di riposo” (Corte di Giustizia, sentenza 10.9.2015, punto 26 e giurisprudenza ivi citata).

32. Alla luce delle predette considerazioni appare evidente la decisività del criterio, enunciato dal giudice Europeo, secondo cui la possibilità per i lavoratori di gestire il loro tempo in modo libero e di dedicarsi ai loro interessi è un elemento che denota che il periodo di tempo in questione non costituisce “orario di lavoro” ai sensi della direttiva 2003/88 (Corte di Giustizia, sentenza 10.9.2015, punto 37).

C) LE RICADUTE SUL DIRITTO INTERNO;

33. La sentenza della Corte di Giustizia costituisce ius superveniens ed impone una rivisitazione dei principi espressi da questa Corte, come in partenza indicati.

34. La interpretazione fornita dal giudice dell’Unione rileva sul regime dell’orario di lavoro e dei riposi mentre – come ribadito dalla Corte di Giustizia in relazione alla terza questione sollevata dal giudice remittente – la direttiva 2003/88/CE non impone agli Stati membri di determinare la retribuzione dei periodi di reperibilità del lavoratore al proprio domicilio in funzione della loro qualificazione come “orario di lavoro” piuttosto che come “periodo di riposo”.

35. Si è già detto in premessa che i principi affermati da questa Corte nell’interpretare le norme della contrattazione collettiva sul servizio di pronta disponibilità in giorno festivo muovevano dal presupposto che il servizio di cd. di disponibilità passiva non potesse essere considerato lavoro effettivo.

36. Diversamente, ove il servizio di reperibilità festiva dovesse essere qualificato nell’ambito dell’orario di lavoro, il riposo compensativo previsto dalle norme collettive assumerebbe natura di recupero della festività lavorata. Tanto con immediate ricadute sulla questione in discussione, poichè il diritto del lavoratore apparirebbe pieno ed incondizionato, non trovando fondamento, in particolare, la tesi della ASL secondo cui esso sorgerebbe soltanto a domanda.

37. La disciplina contrattuale deve essere dunque riesaminata alla luce dei principi Europei di cui si è dato conto.

38. Ai sensi del CCNL 5 dicembre 1996, art. 20, e dell’art. 17 del CCNL 3.11.2005 per la dirigenza medica il servizio di pronta disponibilità è caratterizzato dalla “immediata” reperibilità del dirigente e dall’obbligo per lo stesso di raggiungere il presidio nel tempo stabilito con le procedure di cui al CCNL 2005, art. 6, comma 1, lett. B), -(ovvero agli artt. 6 e 7 del CCNL 1996) – nell’ambito del piano annuale adottato dall’azienda o ente per affrontare le situazioni di emergenza in relazione alla dotazione organica ed agli aspetti organizzativi delle strutture.

39. In sostanza, l’obbligo di reperibilità “immediata” del dirigente medico previsto dal CCNL viene specificato dalle singole aziende, all’esito di informazione e concertazione con i sindacati, in un periodo determinato di tempo entro il quale il dirigente medico è obbligato a raggiungere la struttura.

40. Ne deriva che, al fine di valutare se gli obblighi previsti in capo al dirigente medico in servizio di pronta disponibilità festiva siano tali da limitare in modo oggettivo le sue possibilità di dedicarsi ai propri interessi, personali e sociali, occorre tenere conto del regolamento adottato sul punto dalle aziende.

41. La Corte territoriale non si è conformata al principio sopra esposto, non essendosi mossa nell’ottica della qualificazione del servizio di pronta disponibilità in giorno festivo come “orario di lavoro” piuttosto che come “periodo di riposo” ed avendo, anzi, affermato che la reperibilità in giorno festivo non equivale a “tempo di lavoro” muovendo da un parametro non corretto, perchè fondato sul carattere eventuale della prestazione lavorativa.

42. Il primo motivo di ricorso della ASL.. deve essere conclusivamente accolto e la sentenza impugnata cassata alla luce del seguente principio di diritto: “il servizio di pronta disponibilità prestato dal dirigente medico in giorno festivo- sulla base al CCNL 5 dicembre 1996, art. 20, e del CCNL 3 novembre 2005, art. 17, – obbliga la azienda sanitaria alla concessione del riposo compensativo, indipendentemente dalla domanda del dipendente, se esso- in relazione al vincolo derivante, da un punto di vista geografico e temporale, dalla disciplina aziendale sull’obbligo di essere fisicamente presente nel luogo di lavoro- limita in modo oggettivo le possibilità del dirigente medico di dedicarsi ai propri interessi personali e sociali”.

43. Resta assorbito il secondo motivo di ricorso.

44. La causa deve essere rinviata alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione, che provvederà alla applicazione del principio di diritto enunciato ed ai preliminari accertamenti di fatto, eventualmente facendo uso dei suoi poteri istruttori ex art. 437 c.p.c..

45. Il giudice del rinvio provvederà, altresì, alla disciplina delle spese del presente grado.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia – anche per le spese- alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019

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