Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34122 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 19/12/2019, (ud. 06/06/2019, dep. 19/12/2019), n.34122

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLE TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25074-2017 proposto da:

V.G., domiciliato ope legis presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato ROSALIA

GRANDE;

– ricorrente –

contro

DI VINCENZO S.P.A., in confisca definitiva, in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI

RIPETTA 22, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO CATALDI,

rappresentata e difesa dall’avvocato LORENZO MARIA DENTICI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 150/2017 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 13/04/2017 R.G.N. 307/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/06/2019 dal Consigliere Dott. NEGRI DELLA TORRE PAOLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO PAOLA che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato LORENZO MARIA DENTICI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 150/2017, depositata il 13/4/2017, la Corte di appello di Caltanissetta ha confermato la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale della medesima sede aveva respinto la domanda proposta da V.G. nei confronti della società Di Vincenzo S.p.A. in amministrazione giudiziaria per l’accertamento della illegittimità del licenziamento intimatogli, con lettera del 24/9/2009, per giustificato motivo oggettivo.

2. La Corte ha osservato a sostegno della propria decisione che era stata dimostrata dal datore di lavoro sia la sussistenza del motivo posto a fondamento del recesso, e cioè un esubero di personale che aveva condotto al licenziamento anche di altro lavoratore; sia la impossibilità di ricollocazione all’interno dell’impresa, tenuto conto anche del fatto che per i sette mesi successivi non vi erano state assunzioni di altri dipendenti con le stesse mansioni svolte dal V., peraltro neppure risultando che quest’ultimo avesse assolto l’onere di cooperazione consistente nell’individuazione di specifiche posizioni lavorative cui poter essere adibito.

3. La Corte ha inoltre ritenuto, quanto ai criteri utilizzati per individuare nell’appellante il dipendente con mansioni di operaio muratore da licenziare, che fosse stata data ampia prova della ragionevolezza della relativa determinazione aziendale, avuto riguardo alle indicazioni del direttore di cantiere e alla genericità dei rilievi formulati dal lavoratore, in ipotesi di ritenuta applicabilità al licenziamento individuale plurimo dei criteri legali di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 5.

4. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il V. con tre motivi, cui ha resistito con controricorso la Di Vincenzo S.r.l. (già S.p.A.), in confisca definitiva.

5. Entrambe le parti hanno depositato memoria; con la propria la società controricorrente ha dato conto dell’intervenuto rigetto, da parte della Corte di appello di Caltanissetta, del ricorso per revocazione proposto dal V. nei confronti della sentenza oggetto della presente impugnazione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, artt. 3 e 5, nonchè degli artt. 1175 e 1375 c.c.” in relazione all’art. 2697 c.c., per avere la sentenza impugnata, ritenendo che il lavoratore fosse tenuto a indicare l’esistenza di posti disponibili in azienda, nei quali poter essere ricollocato, disposto una illegittima inversione dell’onere della prova in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e obbligo di repechage, in contrasto con il diverso orientamento di legittimità recentemente formatosi sulla questione.

2. Con il secondo motivo viene dedotta ex art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., per avere la sentenza ritenuto che fosse stata dimostrata l’impossibilità di reimpiego del lavoratore all’interno dell’azienda e peraltro sulla base di una circostanza (e cioè che, nei sette mesi successivi al suo licenziamento, non vi fossero state altre assunzioni) da sola insufficiente a sostenere tale conclusione.

3. Con il terzo viene dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 5 e degli artt. 1175 e 2697 c.c., per avere la sentenza escluso che il ricorrente fosse stato erroneamente individuato come uno dei dipendenti da licenziare perchè in esubero, nonostante che l’onere della prova circa l’applicazione (in via analogica) dei criteri di scelta stabiliti per i licenziamenti collettivi incombesse sul datore di lavoro e la società non avesse in proposito formulato alcuna deduzione nè offerto alcuna prova.

4. Il primo motivo non può trovare accoglimento.

5. Premesso che questa Corte ha mutato il proprio precedente orientamento, affermando che “in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, spetta al datore di lavoro l’allegazione e la prova dell’impossibilità di repechage del dipendente licenziato, in quanto requisito di legittimità del recesso datoriale, senza che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili, essendo contraria agli ordinari principi processuali una divaricazione tra i suddetti oneri” (Cass. n. 5592/2016; conformi: Cass. n. 160/2017; 24882/2017); ciò posto, è tuttavia da rilevare che l’accertamento compiuto nella sentenza impugnata si fonda su di una pluralità di elementi probatori – desunti dalla testimonianza del direttore di cantiere; dalla documentazione prodotta; dall’impiego del ragionamento presuntivo – di per sè idonei a sorreggerne, in via autonoma, le conclusioni.

6. In particolare, la Corte di appello, condividendo le considerazioni già svolte al riguardo dal giudice di primo grado, ha ritenuto dimostrato dal datore di lavoro che nei cantieri operativi aperti al momento del licenziamento “ogni posto era utilmente occupato” (cfr. sentenza, p. 9), precisando come, a seguito dell’esame delle dichiarazioni del direttore di cantiere e della documentazione in atti, oltre che sulla base del fatto che non vi erano state nuove assunzioni di “operai muratori, nè in concomitanza con il licenziamento del V., nè successivamente”, l’unico altro cantiere della Di Vincenzo S.p.A., pur attivo, non necessitasse di “ulteriore manodopera” con la professionalità del ricorrente.

7. Ove, poi, con il motivo in esame si volesse denunciare anche un’errata interpretazione delle risultanze delle dichiarazioni testimoniali, si deve allora rilevare come esso risulti chiaramente inammissibile, risolvendosi in una diversa valutazione del materiale di prova acquisito al giudizio, la quale compete in via esclusiva al giudice di merito.

8. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, posto che “in tema di prova presuntiva, è incensurabile in sede di legittimità l’aprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, rimanendo il sindacato del giudice di legittimità circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall’art. 360 c.p.c., n. 5” (Cass. n. 1234/2019).

9. D’altra parte, è consolidato il principio, per il quale nella prova presuntiva non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo invece sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, ovvero che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, la cui sequenza e ricorrenza possano verificarsi secondo regole di esperienza (Cass. n. 14762/2019, fra le molte conformi).

10. Il terzo motivo è infondato.

11. La Corte di appello ha invero correttamente applicato il principio, secondo il quale “in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ravvisato nella soppressione di un posto di lavoro in presenza di più posizioni fungibili perchè occupate da lavoratori con professionalità sostanzialmente omogenee, non essendo utilizzabile il criterio dell’impossibilità di repechage, il datore di lavoro deve individuare il soggetto da licenziare secondo i principi di correttezza e buona fede; in questo contesto la L. n. 223 del 1991, art. 5, offre uno standard idoneo ad assicurare una scelta conforme a tale canone, ma non può escludersi l’utilizzabilità di altri criteri, purchè non arbitrari, improntati a razionalità e graduazione delle posizioni dei lavoratori interessati” (Cass. n. 25192/2016).

12. Nella specie, la Corte ha ritenuto non irrazionale, nè discriminatoria, la scelta operata dal datore di lavoro, avendo la Di Vincenzo S.p.A. seguito le indicazioni fornite al riguardo dal direttore di cantiere e cioè criteri oggettivamente improntati ad un minore rendimento del V. e ad una sua scarsa affidabilità sul piano della pianificazione lavorativa (cfr. sentenza impugnata, p. 13).

13. Il ricorso deve conclusivamente essere respinto.

14. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 6 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019

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