Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34119 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 19/12/2019, (ud. 13/12/2018, dep. 19/12/2019), n.34119

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25257-2014 proposto da:

TRENITALIA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ANTONIO NIBBY 7, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO GUARINO,

rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCO BONAMICO;

– ricorrente –

contro

T.M., domiciliato o e legis presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato BARTOLOMEO

DANIELE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 693/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 11/08/2014 R.G.N. 1278/2013.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che la Corte di Appello di Torino, con sentenza pubblicata in data 11.8.2014, ha rigettato il gravarne interposto da Trenitalia S.p.A., nei confronti di T.M., avverso la pronunzia del Tribunale della stessa sede, accogliendo il ricorso presentato dal lavoratore, ha dichiarato “la illegittimità dell’addebito eseguito sulle buste paga del ricorrente dalla datrice di lavoro Trenitalia S.p.A. tra marzo e luglio 2001, per un importo totale di Euro 1.000,00, condannando la convenuta a restituirgli il suddetto importo, oltre accessori”;

che la Corte di merito, per quanto ancora in questa sede rileva, ha ritenuto illegittima la predetta trattenuta sullo stipendio, stabilità dalla società datrice, in conseguenza del fatto che il T., svolgente mansioni di capotreno, era stato derubato, ad opera di ignoti, mentre era in servizio a bordo di un treno viaggiatori, del proprio trolley, lasciato incustodito nello scompartimento di una carrozza e contenente cinquanta biglietti; e ciò, a parere dei giudici di secondo grado, in quanto un blocchetto di biglietti ferroviari è privo di valore finchè non venga utilizzato e, nel caso di specie, mancava la prova dell’effettivo utilizzo;

che, inoltre, come sottolineato dalla Corte distrettuale, vi è una differenza essenziale tra la nozione di clausola penale, invocata da Trenitalia S.p.A., che presuppone un incontro di volontà tra le parti contraenti, e quella di disposizione aziendale contenuta nelle circolari inviate ai dipendenti, tipica espressione di una volontà unilaterale, che, da sola, non può comportare la modifica delle condizioni contrattuali con i singoli dipendenti;

che per la cassazione della sentenza ricorre Trenitalia S.p.A., articolando un motivo, cui resiste con controricorso il T.; che sono state depositate memorie nell’interesse di Trenitalia S.p.A.;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il ricorso, si censura, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e segg. c.c., in relazione all’art. 51 del CCNL Attività ferroviarie; nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 1326 c.c., in combinato disposto con l’art. 1382 c.c. e si deduce che la società ricorrente avrebbe il diritto di imporre ai propri dipendenti delle clausole penali anche attraverso delle circolari aziendali e che tale possibilità scaturirebbe dal disposto dell’art. 51 del CCNL delle Attività ferroviarie, in vigore all’epoca in cui si sono svolti i fatti, in quanto, sotto la rubrica “Doveri del Personale” è previsto che il dipendente debba “svolgere con diligenza e con spirito di collaborazione le proprie mansioni, osservando le disposizioni del presente contratto e i regolamenti interni dell’azienda”; pertanto, a parere della parte ricorrente, una volta accertato che il regolamento interno sia stato inviato ai dipendenti, esso, per espressa previsione contrattuale – collettiva, sarebbe già fonte obbligatoria per il dipendente, senza necessità di una sua esplicita adesione o di una successiva ratifica di carattere collettivo;

che il motivo, sostanzialmente articolato in due censure, attiene ad una questione – la norma di cui all’art. 51 del CCNL Attività ferroviarie, quale fonte di una clausola penale – riguardo alla quale la società ricorrente non specifica se sia stata proposta nei gradi di merito e, dunque, appare nuova nel presente giudizio; la società, peraltro, non ha prodotto gli atti del primo e del secondo grado, dai quali potesse eventualmente evincersi il contrario; e ciò, in violazione del principio più volte ribadito da questa Corte, che definisce quale onere della parte ricorrente quello di indicare lo specifico atto precedente cui si riferisce (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), in modo tale da consentire alla Corte di legittimità di controllare ex actis la veridicità delle proprie asserzioni prima di esaminare il merito della questione (Cass. n. 14541/2014). Il ricorso per cassazione deve, infatti, contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado di giudizio di merito (cfr., tra le molte, Cass. nn. 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013); per la qual cosa, questa Corte non è stata messa in grado di apprezzare la veridicità delle doglianze mosse al procedimento di sussunzione operato dai giudici di seconda istanza;

che, comunque, in mancanza di un “incontro di volontà” formalizzato in un atto, non può ravvisarsi, all’evidenza, nella fattispecie, la sussistenza di alcuna clausola penale, che costituisce un patto accessorio del contratto, convenuto dalle parti per rafforzare, da un lato, il vincolo contrattuale e, dall’altro, per stabilire, preventivamente, una determinata sanzione per il caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento, con l’effetto di limitare alla prestazione prevista il risarcimento del danno indipendentemente dalla prova dell’effettivo pregiudizio economico verificatosi (v., pure, tra le altre, Cass. n. 10626/2007);

che per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va respinto;

che le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di

proposizione del ricorso, sussistono presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 13 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019

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