Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34106 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. I, 19/12/2019, (ud. 04/10/2019, dep. 19/12/2019), n.34106

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9789/2016 proposto da:

(OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliata in Roma, P.zza Cavour, presso la Cancelleria Civile

della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dagli avvocati

Broccolini Giovanni e Groppi Loretta, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) s.r.l. in persona del curatore R.L.,

domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la Cancelleria Civile

della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato

Spezia Franco, giusta procura in calce al controricorso;

controricorso intimato –

contro

VALCHERO CALCESTRUZZI SRL;

avverso la sentenza n. 390/2016 della CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA, del

03/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/10/2019 dal cons. FALABELLA MASSIMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Il 21 ottobre 2015 il Tribunale di Piacenza, su istanza di Valchero Calcestruzzi s.r.l., dichiarava il fallimento di (OMISSIS) s.r.l..

2. – Avverso la sentenza dichiarativa di fallimento proponeva reclamo la società dichiarata fallita, la quale non si era costituita nel giudizio di primo grado. Resistevano la curatela fallimentare e la nominata società istante. La Corte di appello di Bologna, con sentenza del 3 marzo 2016, respingeva il reclamo: osservava che Valchero Calcestruzzi, titolare di un credito portato da titolo esecutivo, era legittimata alla presentazione della domanda di fallimento e rilevava, poi, che (OMISSIS) versava in una situazione di indebitamento grave ed irreversibile, onde andava confermata l’affermazione del giudice di prime cure circa lo stato di insolvenza della società.

3. – La pronuncia è impugnata per cassazione da (OMISSIS) con un ricorso basato su due motivi, che è illustrato da memoria; resiste con controricorso la curatela fallimentare; Valchero Calcestruzzi, intimata, non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo oppone violazione e falsa applicazione della L.Fall., artt. 5 e 15. Deduce la ricorrente che il giudice del reclamo aveva ritenuto sussistente lo stato di insolvenza sulla base di un’istanza di fallimento proposta in forza di un unico credito contestato, in quanto oggetto di opposizione a decreto ingiuntivo, omettendo di valutare, seppure incidentalmente e ai limitati fini del giudizio, la fondatezza della pretesa del creditore che aveva richiesto l’apertura della procedura concorsuale. Rileva, in particolare, che essa ricorrente, nel proporre opposizione al decreto ingiuntivo emesso su ricorso di Valchero Calcestruzzi, aveva domandato la sospensione della provvisoria esecuzione “con ciò confermando la contestazione non soltanto sul quantum, ma anche sull’an del credito azionato” da tale società. Osserva, inoltre, come del procedimento relativo alla dichiarazione di fallimento al giudice sia riservato un ruolo di supplenza, in funzione dell’integrazione del materiale probatorio che risultasse incompleto: in proposito osserva come essa fallita non fosse venuta tempestivamente a conoscenza del giudizio in quanto il rappresentante legale, nel periodo della notifica del decreto di convocazione del giudice delegato, non si trovava presso la sede legale della società; tale circostanza, a suo avviso, “per quanto rimproverabile sotto il profilo della diligenza media richiesta all’imprenditore”, non era di per sè “sufficiente a (far) desumere lo stato di insolvenza della società interessata o a semplificare la verifica dei presupposti del fallimento”.

Il motivo è palesemente infondato.

Anzitutto lo stato di insolvenza rappresenta una situazione oggettiva dell’imprenditore che prescinde totalmente dal numero dei creditori, essendo ben possibile che anche un solo inadempimento possa essere indice di tale situazione oggettiva (Cass. 3 aprile 2019, n. 9297; Cass. 15 gennaio 2015, n. 583, non massimata; cfr. pure Cass. 30 settembre 2004, n. 19611).

In secondo luogo, la Corte di appello ha ritenuto che Valchero Calcestruzzi fosse legittimata alla presentazione dell’istanza di fallimento, avendo riguardo al fatto che la contestazione del credito era “relativa all’entità e alla sua quantificazione e non alla sussistenza stessa della pretesa creditoria”. Rammentato che L. Fall., art. 6, laddove stabilisce che il fallimento è dichiarato, fra l’altro, su istanza di uno o più creditori, non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, nè l’esecutività del titolo, essendo sufficiente, di contro, un accertamento incidentale da parte del giudice, all’esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell’istante (Cass. Sez. U. 23 gennaio 2013, n. 1521; Cass. 28 novembre 2018, n. 30827; Cass. 22 maggio 2014, n. 11421), va detto che la Corte di Bologna ha valorizzato, ai fini della detta indagine, un dato innegabilmente rilevante: quello della certa esistenza del credito, che, nel giudizio vertente sulla pretesa creditoria, era stato contestato dal debitore fallito solo nel suo ammontare. A fronte di tale dato non assume alcuna rilevanza che (OMISSIS) abbia, in quello stesso procedimento, domandato la sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo ottenuto da Valchero Calcestruzzi nei propri confronti, giacchè una tale istanza, in sè considerata, non smentisce affatto quanto affermato dalla Corte di appello in ordine alla mancata contestazione dell’an debeatur: infatti, nulla esclude che l’intimato, pur limitandosi ad opporre il provvedimento monitorio per la ritenuta eccedenza dell’importo ingiunto rispetto a quello da lui reputato dovuto, richieda, poi, la sospensione dell’esecuzione del decreto per l’intero, e non per quella parte dell’importo che è stata in concreto contestata.

Quanto, poi, alla lamentata mancata spendita dei poteri officiosi – che secondo la ricorrente si sarebbe imposta in ragione della mancata costituzione della fallita nel giudizio di primo grado – questa S.C. ha già chiarito che il ruolo di supplenza affidato al giudice nel procedimento per la dichiarazione di fallimento non è rimesso a presupposti vincolanti poichè richiede una valutazione del giudice di merito circa l’incompletezza del materiale probatorio e l’individuazione di quello utile alla definizione del procedimento, nonchè circa la sua concreta acquisibilità e rilevanza decisoria, sicchè, trattandosi di una facoltà necessariamente discrezionale, il mancato esercizio dei poteri istruttori ufficiosi da parte del giudice non determina l’illegittimità della sentenza e, ove congruamente motivato, non è sindacabile in cassazione (Cass. 29 marzo 2019, n. 8965; Cass. 4 dicembre 2015, n. 24721): in questa sede deve solo precisarsi che, a seguito della novellazione dell’art. 360, n. 5, risultante dalla D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, con cui è stata introdotta la nuova ipotesi dell’omesso esame del fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, l’unica anomalia motivazionale suscettibile di censura in cassazione è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054). Ebbene, nel caso in esame l’istante non ha formulato doglianze diverse da quelle consistenti nelle rubricate violazioni o false applicazioni di legge.

Appare infine privo di consistenza il rilievo per cui la mancata costituzione della fallita nel primo grado del giudizio non era sufficiente a postulare l’esistenza dello stato di insolvenza: infatti, quest’ultimo non è stato di certo ricavato dalla nominata condotta processuale dell’odierna ricorrente.

2. – Il secondo mezzo oppone l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, con riferimento, in particolare, allo stato di insolvenza della società dichiarata fallita. Osserva l’istante che il giudice del reclamo aveva fondato il proprio convincimento sull’ultimo bilancio depositato presso il registro delle imprese, quello del 2011, senza considerare che l’esposizione debitoria era garantita da ipoteche sugli immobili realizzati dall’impresa; rileva, inoltre, che essa ricorrente aveva ottenuto il documento di regolarità contributiva, il quale attestava la correttezza dei pagamenti e degli adempimenti previdenziali, assistenziali e assicurativi e che, inoltre, nella propria motivazione, la Corte di appello non aveva fatto neppure menzione dei bilanci relativi agli esercizi 2012, 2013 e 2014, non depositati dal ricorrente, ma comunque prodotti in udienza. Sostiene che il quadro certamente lacunoso degli elementi di prova su cui si è fondata la decisione di secondo grado avrebbe dovuto indurre il giudice distrettuale ad attivare poteri ufficiosi di accertamento per consentire “un accertamento tecnico più preciso ed approfondito delle scarne relazioni prodotte in giudizio”.

La censura è infondata.

Essa prospetta una carenza motivazionale che, nelle espressioni oggi rilevanti della “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, della “motivazione apparente”, del “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e della “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053 cit.; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054 cit.), non si ravvisa affatto.

In proposito, non vale opporre che l’esposizione debitoria della fallita era “coperta” dalle garanzie ipotecarie accese in favore degli istituti di credito che avevano erogato alla medesima dei finanziamenti: per un verso, infatti, il vizio motivazionale deve riguardare la motivazione in sè, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (cfr. sentenze da ultimo citate); per altro verso, l’esistenza delle nominate garanzie reali è, in sè, priva di decisività, dal momento che esse non implicano la capacità dell’impresa di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni (dovendosi qui rammentare che lo stato d’insolvenza dell’imprenditore commerciale, quale presupposto per la dichiarazione di fallimento, si realizza in presenza di una situazione d’impotenza, strutturale e non soltanto transitoria, a soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni a seguito del venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie alla relativa attività: Cass. Sez. U. 13 marzo 2001, n. 115; Cass. 20 novembre 2018, n. 29913).

Con questo secondo motivo la ricorrente torna poi a dolersi, specificamente, del mancato uso dei poteri officiosi, ma si è visto, trattando del primo motivo, che sul punto viene in questione un apprezzamento discrezionale rimesso al giudice del merito. La stessa istante non prospetta puntualmente, del resto, nemmeno con questo secondo mezzo, un vizio motivazionale con riguardo alla mancata spendita dei richiamati poteri. Deve in ogni caso escludersi che il vizio in questione sussista in una fattispecie quale quella in esame: ove, cioè, il giudice argomenti quanto all’esistenza degli elementi di riscontro atti a fondare il proprio convincimento (così dando conto dell’autosufficienza di quel corredo probatorio) e la parte interessata nemmeno adduca di aver sollecitato vanamente l’esercizio dei poteri officiosi avanti a lui.

La deduzione svolta con riguardo al conseguito rilascio del documento di regolarità contributiva è non concludente: a parte la mancanza di specificità della censura (dal momento che la sentenza impugnata non affronta il tema e la ricorrente non spiega se e come abbia dedotto la stessa in sede di reclamo), non si vede quale radicale vizio motivazionale presenti, sul punto, la decisione, giacchè l’assolvimento, per un dato periodo, di oneri contributivi di imprecisato ammontare non esclude di certo che la società sia nell’impossibilità di far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni.

Per quanto poi attiene ai bilanci degli esercizi 2012, 2013 e 2014, è stata la stessa istante a dare atto del mancato loro deposito. Ora, ai fini della prova della sussistenza dei requisiti di non fallibilità di cui alla L.Fall., art. 1, comma 2, i bilanci degli ultimi tre esercizi che l’imprenditore è tenuto a depositare, ai sensi della L.Fall., art. 15, comma 4, sono quelli già approvati e depositati nel registro delle imprese, ex art. 2435 c.c., sicchè, ove difettino tali requisiti o essi non siano ritualmente osservati, il giudice può motivatamente non tenere conto dei bilanci prodotti, rimanendo l’imprenditore onerato della prova circa la sussistenza dei requisiti della non fallibilità (Cass. n. 20 dicembre 2018, n. 33091; Cass. 31 maggio 2017, n. 13746). Infatti: “Le ragioni di tutela, anche ai fini concorsuali, di coloro che siano venuti in contatto con l’impresa (potendo aver fatto affidamento sulla fallibilità o meno dell’imprenditore in base ai dati di bilancio), fanno sì che l’esame di siffatti documenti contabili, non depositati o non tempestivamente depositati, possa dar luogo a dubbi circa la loro attendibilità, anche in conseguenza delle tempistiche osservate (o non osservate) nell’esecuzione di tali adempimenti formali, sicchè – in tali casi – il giudice potrà non tenere conto dei bilanci prodotti, di conseguenza rimanendo l’imprenditore diversamente onerato della prova circa la sussistenza dei requisiti della non fallibilità” (Cass. 31 maggio 2017, n. 13746 cit.). Per la medesima ragione, afferente alla loro potenziale inaffidabilità, i bilanci non pubblicati nel registro delle imprese non costituiscono elemento che il giudice del merito debba prendere in considerazione nel giudizio a lui demandato circa l’insolvenza della società.

3. – Il ricorso è respinto.

4. – Le spese sguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della la Sezione Civile, il 4 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019

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