Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3410 del 03/02/2022
Cassazione civile sez. lav., 03/02/2022, (ud. 15/07/2021, dep. 03/02/2022), n.3410
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16588-2015 proposto da:
I.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO n.
13, presso lo STUDIO LEGALE POLITANO, rappresentato e difeso
dall’avvocato MARIO DI IULLO;
– ricorrente –
contro
AZIENDA SANITARIA LOCALE N. 2 DI LANCIANO-VASTO-CHIETI, in persona
del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
RUGGERO FAURO n. 102, presso lo studio dell’avvocato ALESSIO
COSTANTINI, rappresentata e difesa dall’avvocato ALDO LA MORGIA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1032/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,
depositata il 18/12/2014 R.G.N. 795/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
15/07/2021 dal Consigliere Dott. NEGRI DELLA TORRE PAOLO.
Fatto
PREMESSO
che I.A. ha agito in giudizio, avanti al Tribunale di Lanciano, nei confronti della ASL n. 2 di Lanciano-Vasto-Chieti, di cui era stato dipendente dall’1 giugno 1987 al 13 gennaio 2010, per ottenere la monetizzazione delle ferie maturate nel corso del 2009 e fino alla cessazione del rapporto di lavoro;
– che nel medesimo giudizio la ASL ha svolto domanda, in via riconvenzionale, con la quale ha chiesto la condanna del ricorrente al pagamento del corrispettivo di ore (n. 1302) non lavorate per ritardi e assenze ingiustificate;
– che il Tribunale, acquisita documentazione ex art. 421 c.p.c., ha accolto la domanda del ricorrente, se pure riducendone l’ammontare, nonché accolto per intero la domanda riconvenzionale, condannando il ricorrente, previa compensazione dei rispettivi crediti, al pagamento, in favore della ASL, della somma di Euro 10.677,88 oltre interessi legali;
– che con sentenza n. 1032/2014, depositata il 18 dicembre 2014, la Corte di appello di L’Aquila ha confermato la decisione di primo grado, ritenendo non generica e, nel merito, fondata la domanda riconvenzionale, anche sulla base della documentazione acquisita dal Tribunale mediante esercizio dei poteri istruttori d’ufficio;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore, con tre motivi, cui ha resistito la ASL n. 2 di Lanciano-Vasto-Chieti con controricorso.
Diritto
RILEVATO
che con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, oltre al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione all’art. 112 c.p.c., avendo la Corte di appello omesso di pronunciare e di motivare sulla doglianza relativa all’abuso o al non corretto uso dei poteri istruttori d’ufficio da parte del giudice di primo grado;
– che con il secondo il ricorrente denuncia la violazione di norme di diritto, oltre al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione all’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., avendo la Corte omesso di valutare adeguatamente la documentazione in atti;
– che con il terzo il ricorrente deduce i medesimi vizi della sentenza impugnata, oltre alla violazione del principio del contraddittorio, in relazione all’art. 2697 c.c. e all’art. 414 c.p.c., n. 4 e n. 5, avendo la Corte territoriale erroneamente escluso la genericità della domanda riconvenzionale, la quale, per il difetto di diversi ed essenziali elementi di fatto, non sanati neppure a seguito delle acquisizioni documentali disposte d’ufficio, non aveva posto il convenuto in condizione di adeguatamente difendersi;
osservato:
che il primo motivo è infondato;
– che infatti il giudice di appello ha utilizzato, nella propria decisione, anche il materiale probatorio che il giudice di primo grado aveva acquisito a seguito dell’esercizio dei propri poteri istruttori d’ufficio, sicché deve ritenersi che il motivo di impugnazione, con il quale l’appellante si era lamentato del non corretto uso di tali poteri, abbia formato oggetto di una implicita pronuncia di rigetto (Cass. n. 20718/2018, fra le molte conformi);
– che il secondo motivo è inammissibile:
(a) quanto al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per c.d. “doppia conforme” (art. 348-ter c.p.c., u.c.), anche sul rilievo che non risultano indicate nel motivo le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, con la dimostrazione che tali ragioni sono tra loro diverse (Cass. n. 5528/2014; conformi: Cass. n. 19001/2016; n. 26774/2016; n. 20994/2019);
(b) quanto al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, dovendosi ribadire che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. “e’ configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 c.p.c., n. 5)”: Cass. n. 13395/2018; e che il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., operando interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, è insindacabile in sede di legittimità, con la conseguenza che la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito può configurare soltanto “un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito, con modif., dalla L. n. 134 del 2012”: Cass. n. 23940/2017;
– che, d’altra parte, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass. n. 25608/2013, fra le numerose conformi);
– che parimenti inammissibile risulta il terzo motivo;
– che, ferme le considerazioni sopra svolte, è da rilevare, quanto alla violazione dell’art. 414 c.p.c. per difetto di allegazione e conseguente genericità del ricorso di primo grado, che il giudice di merito, al quale è rimessa la relativa valutazione, ha ampiamente motivato sul punto (cfr. sentenza impugnata, pp. 3-4), né risultano compiutamente osservate le regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal Codice di rito in caso di denuncia di compimento di un’attività processuale deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore (Sez. U n. 8077/2012);
ritenuto:
conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;
– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma detto stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 15 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2022