Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34098 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. I, 19/12/2019, (ud. 13/09/2019, dep. 19/12/2019), n.34098

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 19794/2014 proposto da:

M.S.F., in proprio ed in qualità di erede di

M.M.D. nonchè erede di M.B., + ALTRI

OMESSI, gli ultimi tre in proprio ed in qualità di eredi di

M.B., tutti quanti elettivamente domiciliati in Roma, Via

Depretis n. 86, presso lo studio dell’avvocato Fabrizio Spagnolo,

che li rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Azienda Territoriale per l’edilizia Residenziale Pubblica – Aterp, di

Vibo Valentia, in persona del legale rappresentante p.t.;

– intimato –

contro

Azienda Territoriale per l’edilizia Residenziale Pubblica – Aterp di

Catanzaro, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Nicotera n. 29, presso lo

studio dell’avvocato Giuseppe Magno e rappresentata e difesa dagli

avvocati Talarico Mario e Zucco Filippo, giusta procura a margine

del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

Comune di Pizzo, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, Via Lazio n. 14, presso lo studio dell’avvocato

Giuseppe Lagoteta e rappresentato e difeso dall’avvocato Joseph

Feroleto De Maria, giusta procura a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

M.S.F., in proprio ed in qualità di erede di

M.M.D. nonchè di erede di M.B.,

M.A., + ALTRI OMESSI, gli ultimi tre in proprio ed in qualità di

eredi di M.B., tutti quanti elettivamente domiciliati

in Roma, Via Depretis n. 86, presso lo studio dell’avvocato Fabrizio

Spagnolo che li rappresenta e difende, giusta procura in calce al

ricorso;

– controricorrenti ad entrambi i ricorsi incidentali –

avverso la sentenza n. 798/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 06/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/09/2019 dal Cons. Dott. LAURA SCALIA;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. DE AUGUSTINIS UMBERTO, che ha concluso

per l’annullamento della sentenza n. 798/13 ed il rinvio ad altra

sezione della Corte d’Appello di Catanzaro.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Vibo Valentia, previa declaratoria della illiceità dell’occupazione posta in essere dallo IACP di Catanzaro, poi ATERP, quale delegato del Comune di Pizzo, finalizzata alla definitiva espropriazione – nell’ambito di un intervento inserito nel piano di zona approvato con D.P. Giunta Regionale 23 gennaio 1975, n. 124 – per la realizzazione di n. 27 alloggi sul terreno di proprietà degli attori, M.S.F., + ALTRI OMESSI, condannava in solido gli occupanti al pagamento: della somma di Lit. 155.370.600 a titolo di risarcimento danni per l’occupazione definitiva del bene; della somma di Lit. 118.803.00 a titolo di risarcimento danni per l’occupazione temporanea illegittima e della somma di Lit. 43.599.221 a titolo di occupazione legittima.

Veniva rigettata la domanda di rivalsa proposta dall’ATERP avverso il Comune di Pizzo e dichiarata la carenza di legittimazione passiva dell’ATERP di Vibo Valentia.

Il Tribunale accoglieva la domanda risarcitoria pur in mancanza di una irreversibile trasformazione motivando dalla persistente occupazione pubblica del bene e dal mantenimento, sull’area occupata, di un vincolo per l’edificazione pubblica programmata, previo rilascio di tre concessioni per la costruzione di fabbricati.

Su impugnativa dell’Aterp di Catanzaro e del Comune di Pizzo – che denunciavano il carattere esclusivo e contrario delle rispettive ritenute responsabilità, il mancato riconoscimento della successione, nel rapporto, dell’Aterp di Vibo Valentia, l’illegittimità dell’occupazione, la natura eccessiva degli importi liquidati, sollecitando poi il solo Comune l’ammissione della prova testimoniale sulla circostanza che due fittavoli dei M. detenessero il fondo di causa -, la Corte di appello di Catanzaro, con sentenza non definitiva depositata il 15.03.2005, dichiarava l’inefficacia del decreto di esproprio del 4.11.1994 in quanto sopraggiunto al decorso dei termini di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità.

La Corte di merito riteneva quindi la sopravvenuta illegittimità dell’occupazione temporanea e d’urgenza in atto e rigettava la domanda risarcitoria nella parte diretta al controvalore del bene.

Alla mancata irreversibile trasformazione del bene doveva conseguire, per gli appellati, il diritto ad ottenere la restituzione del fondo, non richiesto e non oggetto di pronuncia officiosa, oltre al ristoro del pregiudizio economico loro derivato dal mancato godimento del bene, per il cui accertamento i giudici di appello disponevano la prosecuzione del giudizio, ammettendo la testimonianza richiesta dal Comune in sede di precisazione delle conclusioni e già rigettata dal Tribunale.

Nel corso del giudizio la Corte territoriale, su tempestiva istanza degli appellati, con ordinanza del 15.7.2005 dichiarava l’incapacità a testimoniare dei testi indicati dal Comune, incapacità ribadita dal Collegio con ordinanza del 16.08.2006, adottata in seguito a reclamo.

Veniva disposto il rinnovo della c.t.u. e nel corso delle operazioni peritali venivano rinvenuti sul terreno coloro che vi risultavano presenti nel 1999, anno di svolgimento della precedente consulenza di ufficio disposta in primo grado.

Con sentenza definitiva del 28.05.2013, depositata il 06.06.2013, veniva rigettata la domanda proposta dagli attori in primo grado in relazione ai danni conseguiti dallo spossessamento del bene.

2. Ricorrono per la cassazione dell’indicata sentenza coloro che sono in epigrafe indicati, costituitisi anche quali eredi di M.B. e M.M.D., nelle more deceduti, con tre motivi.

Resistono con controricorso il Comune di Pizzo e l’ATERP di Catanzaro che propongono altresì ricorso incidentale rispettivamente affidato a due e tre motivi di annullamento.

I ricorrenti principali hanno depositato controricorso ai ricorsi incidentali e il solo Comune di Pizzo memoria illustrativa.

Il Procuratore generale della Corte di cassazione ha fatto pervenire conclusioni scritte con cui ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata ed il rigetto dei ricorsi incidentali.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,359,345 e 346 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e vizio di ultra petizione.

La sentenza impugnata si sarebbe fondata su di un tema estraneo a quello di lite e cioè sull’evidenza, in fatto, che non sarebbe mai avvenuta l’occupazione del terreno.

Nonostante i contenuti del decreto di occupazione e del verbale di immissione in possesso in data 5.8.1986, gli appellati non avevano subito alcuna apprezzabile modifica delle modalità di godimento del bene che avrebbero continuato a possedere ininterrottamente a mezzo dei propri incaricati, o coloni, rivenuti sul fondo nel corso delle operazioni peritali disposte in primo e secondo grado, a distanza di dieci anni le une dalle altre.

L’indicata circostanza non sarebbe stata oggetto di deduzione delle parti, tra le quali non era in contestazione il possesso degli enti occupanti, il Comune e lo Iacp, a cui erano succedute le due ATERP di Catanzaro e Vibo Valentia, che dibattevano, piuttosto, sul diverso tema della esclusiva responsabilità della occupazione, nel tempo divenuta illegittima.

Il Comune aveva articolato prova sul punto dinanzi al Tribunale all’udienza di precisazione delle conclusioni del 18.11.1999 solo all’esito del sopralluogo effettuato nel corso della c.t.u. che, disposta in primo grado, aveva rilevato nel 1999 la presenza sul terreno di due sedicenti coloni.

Non si sarebbe avuta una estensione del contraddittorio all’indicata circostanza, non ritualmente dedotta, non avendo il Tribunale ammesso la prova ed essendo stata l’ammissione intervenuta in appello, attinta da declaratoria di incapacità dei testi mai escussi; il Comune non ne avrebbe fatto poi contenuto dei motivi di appello.

Dal verbale di immissione in possesso sarebbe risultato invece che in data 5.08.1986 tutti i privati ivi presenti erano stati estromessi dal fondo.

L’accertamento, di natura complessa e non svolto in giudizio, avrebbe dovuto ricomprendere una serie di questioni, tra le quali l’epoca dell’intervenuta nuova occupazione e l’atteggiarsi del rapporto tra proprietari ed incaricati all’esito dell’intervenuto decreto di occupazione.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti fanno valere la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 246 c.p.c., con riguardo all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

La Corte di appello sarebbe pervenuta ad un giudizio sulla incapacità dei testi quanto alle dichiarazioni rese all’udienza del 19.05.2005 da ritenersi pertanto nulle perchè oggetto della deposizione del teste dichiarato incapace.

La mancanza delle dichiarazioni avrebbe affidato il residuo quadro di prova a meri elementi indiziari, quali la presenza negli anni 1999 e 2009, epoca dei due sopralluoghi effettuati dai cc.tt.uu., dei due coltivatori sul terreno, e quindi a circostanze in fatto inidonee ad affermare la continuità del possesso.

La Corte avrebbe consentito che dichiarazioni informali, rilasciate al c.t.u. in sede di sopralluogo, tenessero luogo della prova testimoniale in violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e in modo non contrastabile con una prova contraria.

3. Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 194 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, e la violazione dell’art. 2729 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c.

La sentenza impugnata, in violazione della distribuzione tra le parti nell’onere probatorio, avrebbe desunto circostanze impeditive del diritto azionato, che avrebbero dovuto essere addotte e provate dalle parti convenute, ai sensi dell’art. 2697 c.c., comma 2, per contrastare i diversi contenuti di atti pubblici provenienti dalla p.A., primo tra i quali il verbale del 05.06.1986.

La Corte di merito avrebbe altresì utilizzato la consulenza tecnica in modo non consentito in ragione del potere del c.t.u. di assumere informazioni da terzi non destinate ad estendersi a fatti e situazioni oggetto di domande ed eccezioni delle parti e quindi a fatti impeditivi del diritto al risarcimento provato e dedotto.

In violazione del principio di cui all’art. 2729 c.c., la Corte di merito avrebbe ritenuto l’esistenza di presunzioni gravi, precise e concordanti al fine di contrastare il contenuto di un atto pubblico, quale era il verbale di immissione in possesso, e non avrebbe attribuito all’evidenza della presenza dei coloni sul terreno la mera e diversa violazione del dovere di custodia da parte della mano pubblica.

4. Il Comune di Pizzo in sede di controricorso deduce l’inammissibilità del ricorso principale perchè diretto a censurare elementi di fatto e di diritto non rientranti nel giudizio di cassazione e per l’infondatezza dell’avversa denuncia di estraneità al tema di lite della coltivazione del fondo in pendenza di occupazione di coloni per conto dei M., tema invece introdotto dal Comune con note autorizzate del 4.10.1999 e riproposto in sede di comparsa conclusionale e nelle conclusioni rassegnate all’udienza del 18.11.1999 dove il Comune aveva richiesto la prova testimoniale delle persone trovate sul terreno in sede di sopralluogo.

5. Con il ricorso incidentale proposto avverso la sentenza non definitiva n. 261 del 2005 su cui all’udienza del 19.05.2005, e successive, aveva dichiarato di fare riserva espressa ex art. 361 c.p.c. e “condizionato” all’accoglimento di quello principale, il Comune di Pizzo fa valere con il primo motivo la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

La Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto la sopravvenuta inefficacia del Piano di Zona del Comune di Pizzo approvato con D.P.G.R. 23 gennaio 1975, n. 124 per non avere tenuto conto del decreto del p.r.g. n. 1913 dell’8/09/1993 che aveva prorogato di altri due anni l’efficacia del Piano di Zona – p.e.e.p. sino alla data del 23/01/1995.

Con il secondo motivo il Comune di Pizzo fa valere la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,183 e 101 c.p.c. e la violazione dell’art. 345 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 Il decreto di esproprio definitivo n. 173 del 4.11.1994 sarebbe intervenuto tempestivamente in seguito alla proroga dell’efficacia del piano di zona al 23/01/1995. Gli attori in primo grado avrebbero poi modificato intempestivamente l’originaria domanda formulata sulla irreversibile trasformazione del suolo in domanda risarcitoria fondata sulla nullità degli atti della procedura ablativa per intervenuta scadenza della dichiarazione di pubblica utilità e l’inefficacia del decreto di esproprio e di quello di occupazione di urgenza.

6. Resiste con controricorso anche l’ATERP della provincia di Catanzaro che, in via incidentale e condizionata all’accoglimento del ricorso principale, articola tre motivi di ricorso dai contenuti di piena adesione alle critiche svolte nell’omologo atto difensivo dal Comune di Pizzo ed un terzo con cui denuncia la sostituzione operata dalla Corte di merito, ex officio, dell’originaria causa petendi di risarcimento da occupazione appropriativa per mancanza di un decreto di esproprio e di irreversibile trasformazione del suolo a seguito della realizzazione dei fabbricati Iacp, in una domanda risarcitoria da occupazione usurpativa.

7. I ricorrenti principali resistono ai ricorsi incidentali proposti dalle controparti dietro impugnazione riservata ex art. 361 c.p.c. avverso la sentenza non definitiva della Corte di appello n. 251 del 15.3.2005 e di quelli fanno valere la tardività per inosservanza del termine ex art. 327 c.p.c. che, decorrente dalla data di pubblicazione della sentenza definitiva e quindi dal 6.6.2013, sarebbe maturato prima dell’introduzione dei ricorsi incidentali, rispettivamente intervenuta il 22 ottobre ed il 27 ottobre 2014.

L’art. 361 c.p.c. avrebbe consentito di ritenere la sentenza non definitiva pronunciata fittiziamente nella stessa data di quella definitiva, e, ciò posto, di non derogare al termine di scadenza di cui all’art. 327 c.p.c., considerati anche gli stringenti contenuti dell’art. 371 c.p.c. che vogliono che il ricorso incidentale sia proposto in sede di controricorso al ricorso principale che sia stato introdotto avverso la “medesima” sentenza.

8. Venendo al ricorso principale.

8.1. Il primo motivo del ricorso principale è infondato per le ragioni di seguito indicate.

La questione della occupazione del fondo e della sua coltivazione da parte dei coloni è una mera difesa e come tale è trattata nel corso del giudizio.

Previo accesso agli atti a cui questa Corte di legittimità è legittimata in ragione della natura processuale del motivo, si ha che già in primo grado, in sede di note autorizzate del 4.10.99, nella conclusionale e, prima ancora, nelle conclusioni rassegnate all’udienza del 18.11.99, il Comune chiese la prova testimoniale sulla coltivazione del fondo all’attualità, provvedendo poi a mantenere il tema in appello attraverso i proposti motivi (pp. 14 e 15 controricorso Comune di Pizzo).

La sentenza impugnata illustra d’altra parte come la Corte di merito abbia rimesso la causa sul ruolo “anche per consentire il necessario approfondimento istruttorio sulla circostanza di fatto dedotta dal Comune di Pizzo secondo cui gli odierni appellanti, in realtà, non avrebbero mai perso la disponibilità materiale del bene, avendo continuato a coltivarlo a percepirne i frutti per mezzo dei propri coloni” (p. 4).

L’evidenza circa la perdurante presenza dei coloni degli attori sul fondo occupato, è oggetto di una eccezione in senso proprio, contestandosi per la stessa dall’Amministrazione, che era convenuta in primo grado, l’esistenza di fatti nuovi impeditivi del fatto risarcitorio dedotto dagli attori a sostegno della domanda ed integrato dalla perdita di disponibilità del fondo in seguito all’occupazione della p.A.

L’indicata deduzione in fatto non si sviluppa infatti secondo la logica di una mera contestazione parziale del fatto costitutivo del diritto ex adverso vantato (in termini: Cass. 26/01/1995 n. 908; Cass. 12/09/2005 n. 18096) nè essa vale ad offrire del primo una diversa ricostruzione in diritto finalizzata all’attribuzione di effetti diversi (vd. Cass. 22/05/2001 n. 6957, in motivazione, p. 7), ma mira a paralizzare in toto il fatto costitutivo del diritto al risarcimento del danno da occupazione illegittima rendendolo del tutto inefficace.

Il danno non si sarebbe invero verificato non avendo gli istanti mai perduto la disponibilità del fondo, continuando essi a coltivarlo e a percepirne i frutti a mezzo dei propri coloni.

Le evidenze in atti, consegnate ai contenuti degli atti difensivi e, ancora, al sopra riportato passaggio argomentativo dell’impugnata sentenza, danno conto dell’appartenenza al thema disputandum della circostanza sulla presenza dei coloni sul terreno occupato e tanto proprio ai fini di accertare il reclamato risarcimento da perdita della disponibilità del bene in capo ai proprietari.

Alle indicate circostanze, prima tra tutte quella con cui la Corte di merito dà atto della intervenuta rimessione della causa sul ruolo istruttorio proprio per accertare l’indicata presenza, che sostengono il rispetto del contraddittorio in lite, resta poi estranea ogni contestazione degli attori che solo in sede di legittimità, e quindi con carattere di novità, si dolgono, denunciando la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del contraddittorio, che i giudici di appello abbiano fondato l’assunta decisione su circostanza nuova, intempestivamente dedotta in lite dall’avversario, e non veicolata a mezzo di una eccezione tempestivamente allegata.

In ogni caso, trattandosi nella specie di giudizio introdotto nell’anno 1993, cioè prima del 30 aprile 1995 (data di entrata in vigore della modifica dell’art. 345 c.p.c. introdotta con la L. n. 353 del 1990), la deduzione sarebbe stata proponibile anche per la prima volta in appello pure se “nuova” (Cass. 07/01/2016 n. 120, ex multis).

8.2. Dei motivi secondo e terzo del ricorso principale può darsi trattazione congiunta nel carattere connesso delle questioni che ne sono oggetto.

8.2.1. Il tema relativo alla violazione dell’art. 246 c.p.c. sulla incapacità del testimone le cui dichiarazioni sarebbero state assunte a fondamento del ritenuto perdurante godimento del bene in capo ai ricorrenti è irrilevante e come tale sostiene un giudizio di inammissibilità del motivo, per difetto di interesse alla sua proposizione.

Il debito scrutinio della sentenza impugnata segnala infatti, in modo inequivoco, che la Corte di merito ha fondato la propria decisione sulle informazioni assunte presso terzi nel corso dei rispettivi sopralluoghi, intervenuti a distanza di dieci anni, nel 1999 e quindi nel 2009, effettuati dai cc.tt.uu. nominati dai giudici di primo e secondo grado.

Diviene inammissibile per difetto di interesse all’impugnazione il motivo di ricorso che censuri una pronuncia per violazione delle regole in ordine alla incapacità di testimoniare ex art. 246 c.p.c. e la derivata nullità della testimonianza là dove il cesurato mezzo di prova non rivesta carattere di rilevanza ai fini della decisione della controversia.

8.2.2. Nel resto, va innanzitutto precisata la valenza che in punto di prova riveste il verbale di immissione in possesso della p.A. che sia stato redatto in occasione di una procedura di occupazione di un bene del privato finalizzata all’esproprio.

Secondo costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità, in tema di occupazione temporanea e d’urgenza destinata alla realizzazione di un’opera pubblica, a norma della L. n. 865 del 1971, art. 20 ratione temporis applicabile, alla formale redazione di un verbale di immissione in possesso in conseguenza della pronuncia di un decreto di occupazione temporanea e d’urgenza si accompagna la presunzione che la p.A., beneficiaria dell’occupazione stessa, si sia effettivamente impossessata dell’immobile e che il proprietario di questo subisca, durante l’occupazione, il duplice danno di aver perso la facoltà di godimento del bene e di vedersi limitata la facoltà di disporne.

La natura relativa della presunzione che assiste il verbale di immissione in possesso opera lungo una duplice direttiva e fa salva da un canto la prova contraria, cui è ammessa la p.A., della mancata effettiva presa di possesso dell’immobile e dall’altro la prova del proprietario del bene occupato di aver subito nel periodo precedente all’immissione in possesso, per effetto della sola adozione del solo decreto di occupazione d’urgenza cui consegue l’indisponibilità giuridica del bene, un pregiudizio purchè connotato dai caratteri della effettività (qual è, ad esempio, quello derivante dall’impossibilità di vendere il bene in presenza di concrete possibilità) (Cass. 02/04/2004 n. 6491; Cass. 19/11/2010 n. 23505; Cass. 21/03/2013 n. 7197; vd. Cass. 27/03/2014 n. 7248).

Il tema di prova come definitosi dinanzi ai giudici di merito muove dal superamento della valenza presuntiva del verbale di immissione in possesso da parte dell’Amministrazione espropriante.

8.3. Il carattere vincibile dell’accertamento contenuto nel verbale di immissione in possesso, nella specie redatto in esito a decreto di occupazione d’urgenza emesso dal P.R.G. della Calabria il 3.6.1986 n. 286, introduce e sostiene infatti le ulteriori valutazioni alle quali questa Corte di legittimità è chiamata su contenuti e rilievo probatorio degli accertamenti effettuati in corso di sopralluogo dai nominati cc.tt.uu.

L’attività dei consulenti di ufficio, incaricati di stimare il danno venuto agli attori dalla indisponibilità del fondo in loro proprietà per una occupazione temporanea rivelatasi illegittima per il decorso dei termini di efficacia in seguito alla mancata tempestiva sopravvenienza del decreto di esproprio, non ha esorbitato dai confini delle strette competenze dei primi da ricostruirsi ai sensi dell’art. 194 c.p.c. e tanto là dove si attribuisce all’indicato ausiliare il potere di assumere informazioni presso terzi ad integrazione della figura della consulenza cd. percipiente.

Le informazioni assunte presso le persone rinvenute dai nominati tecnici sui luoghi oggetto di occupazione nelle due occasioni di accesso vanno a definire il quadro, la cui investigazione è stata rimessa ai primi dai giudici di merito, della perdita di disponibilità e di godimento del fondo integrativa del risarcimento richiesto.

L’accertamento sull’epoca dello spossessamento del fondo e sul suo perdurante svolgimento si coniuga con le affermazioni rese dai coloni ivi rinvenuti in ordine alle coltivazioni da loro svolte ed alla risalenza delle stesse, il tutto in una più composita cornice integrata, anche, dalla verifica circa la natura delle coltivazioni e la sua corrispondenza con quanto riportato, anni prima, in sede di verbale di immissione in possesso dell’autorità pubblica (p. 6 sentenza impugnata).

Le informazioni assunte presso i terzi dal c.t.u. nominato valgono a contrassegnare ed integrare il tema di indagine al primo attribuito dal giudice del merito là dove esse siano connesse con i termini dell’accertamento al tecnico demandato; in caso di verifica del risarcimento del danno da occupazione illegittima l’indagine devoluta all’ausiliare tecnico dal giudice ben può consistere nel tempo lungo il quale si è protratto lo spossessamento in seguito all’intervenuta occupazione e, a definizione di questo, dell’epoca in cui il fondo abbia continuato a ricevere una diversa destinazione dal proprietario.

In tale ipotesi non si assiste ad uno sconfinamento dell’ausiliare dai poteri attribuitigli con conseguente improprio trascinamento verso quanto più squisitamente attiene al tema di prova ed alla sua formazione, che resta invece governato dalle preclusioni processuali dettate alle parti dalla legge.

Vinta nei segnati termini di prova la presunzione che assiste il verbale di immissione in possesso, il motivo sul punto formulato è pertanto infondato non avendo peraltro i ricorrenti neppure allegato di aver subito pregiudizio dalla indisponibilità giuridica dei fondi.

8.4. L’ulteriore profilo di critica con cui si contesta in ricorso l’illegittimità della decisione impugnata perchè fondata su di un mal governo degli indizi, che si vorrebbero privi dei caratteri di cui all’art. 2729 c.c., si presta poi ad una valutazione di inammissibilità in applicazione del principio, fermo nella giurisprudenza di legittimità, per il quale “in tema di prova presuntiva, è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, rimanendo il sindacato del giudice di legittimità circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (da ultimo: Cass. 17/01/2019 n. 1234; tra le altre, in precedenza: Cass. 05/12/2011 n. 26022; Cass. 23/01/2006 n. 1216).

9. La natura condizionata dei ricorsi incidentali lascia assorbita ogni altra questione.

10. In via conclusiva il ricorso principale, infondato, va rigettato. Restano assorbiti i ricorsi incidentali condizionati.

Le spese di lite restano liquidate secondo soccombenza come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale e, assorbiti gli incidentali condizionati, condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali in favore del Comune di Pizzo e dell’ATERP di Catanzaro, spese che liquida in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 13 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019

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