Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34095 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 19/12/2019, (ud. 22/10/2019, dep. 19/12/2019), n.34095

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 463/15 R.G. proposto da:

C.L., rappresentata e difesa, giusta procura a margine del

ricorso, dall’avv. Giuseppe Marini, con domicilio eletto presso il

suo studio in Roma, alla via di Villa Sacchetti, n. 9;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, 12 è elettivamente

domiciliata;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria del Veneto n.

742/6/14 depositata in data 5 maggio 2014;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 ottobre

2019 dal Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina Anna Piera.

Fatto

RILEVATO

che:

Con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale del Veneto accoglieva l’appello principale dell’Agenzia delle Entrate e rigettava l’appello incidentale di C.L. proposti avverso la sentenza n. 105/2/12 della Commissione tributaria provinciale di Treviso che, in accoglimento parziale del ricorso della contribuente, aveva rideterminato il maggior reddito di lavoro autonomo accertato dall’Amministrazione finanziaria sulla base delle movimentazioni finanziarie di due conti correnti intestati alla contribuente, che svolgeva l’attività di commercialista.

I giudici di appello, disatteso il vizio di insufficiente motivazione della sentenza di primo grado sollevato dall’Ufficio, dopo avere richiamato i principi di diritto costantemente affermati dalla giurisprudenza di questa Corte in materia di accertamenti fondati su indagini bancarie, ritenevano legittimo l’avviso di accertamento ed incompleta e non analitica la documentazione prodotta dalla controparte e, come tale, non idonea a giustificare le riprese a tassazione.

Ricorre per la cassazione della suddetta decisione C.L., con due motivi, cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la contribuente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 8, del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, nonchè dell’art. 2727 c.c.

Sostiene, in primo luogo, che i giudici di appello hanno illegittimamente ritenuto che la presunzione prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 (per le imposte dirette) e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 (per l’1.V.A.) valga, relativamente ai prelevamenti, anche per la determinazione dei compensi dei lavoratori autonomi, e ciò nonostante avesse invocato l’applicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 2014; in secondo luogo, che la sentenza viola le norme richiamate in rubrica poichè pretende che i movimenti bancari registrati vengano considerati redditi imponibili, anzichè compensi lordi dai quali sottrarre i costi.

Trascrivendo uno stralcio dell’avviso di accertamento, evidenzia che la sentenza viola il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, nella parte in cui si conferma la pretesa impositiva sebbene i redditi siano stati determinati considerando come compensi i prelevamenti sui conti correnti della contribuente per complessivi Euro 45.071,10 e, sotto il profilo dell’I.V.A., viola il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 e il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 8, nella parte in cui si conferma l’irrogazione della sanzione applicata per la mancata regolarizzazione di acquisti senza fattura.

Lamenta, altresì, che la pronuncia della Commissione regionale non ha considerato che, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 109, il reddito imponibile avrebbe dovuto ricavarsi sottraendo i costi.

2. Con il secondo motivo la contribuente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per omessa pronuncia in ordine alla domanda di annullamento dell’atto di irrogazione di sanzioni per difetto del requisito soggettivo di colpevolezza e per insufficiente motivazione, sottolineando che i giudici di secondo grado non hanno tenuto conto di tale autonoma domanda che era stata formulata in primo grado ed era stata riproposta in appello.

3. Il primo motivo è fondato nei termini che di seguito si espongono.

3.1. Con l’avviso di accertamento impugnato, l’Ufficio finanziario ha recuperato a tassazione una serie di movimenti – versamenti e prelevamenti – effettuati su due conti correnti intestati alla contribuente, nel 2008, considerati “compensi” conseguiti dall’attività libero professionale dalla stessa svolta, come previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo che, in relazione ai rapporti ed alle operazioni bancarie, stabiliva che “sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e semprechè non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni”.

La denuncia della violazione e falsa applicazione del citato art. 32, comma 1, n. 2, impone la preliminare verifica della applicabilità della presunzione legale nei confronti del contribuente lavoratore autonomo.

3.2. Con la sentenza del 24 settembre 2014, n. 228, la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità della presunzione posta dall’ultima parte dell’art. 32, comma 1, n. 2 e dell’inversione dell’onere probatorio che ne discende, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione limitatamente alle parole “o compensi”, ritenendo che, con riferimento ai compensi percepiti dai lavoratori autonomi, la presunzione fosse “lesiva del principio di ragionevolezza nonchè della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito”.

3.3. Questo Collegio ritiene, quindi, che debba essere ribadito l’orientamento secondo cui “In tema di accertamento, resta invariata la presunzione legale posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicchè questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno, all’esito della sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 2014, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale limitatamente ai prelevamenti sui conti correnti” (Cass. n. 16697 del 9/8/2016; Cass. n. 18065 e 18066, 18067, 16686 del 14/9/2016; Cass. n. 6093 del 30/3/2016; Cass. n. 23575 del 18/11/2015; Cass. n. 19806 del 9/8/2017; Cass. nn. 5152 e 5153 del 28/2/2017; Cass. 18125 del 15/9/2015; Cass. n. 12021 del 10/6/2015).

3.4. Per effetto della richiamata sentenza della Corte Costituzionale è, dunque, definitivamente venuta meno la presunzione di imputazione dei prelevamenti operati sui conti correnti bancari ai ricavi conseguiti nella propria attività dal lavoratore autonomo o dal professionista intellettuale, che la citata disposizione poneva.

Ciò comporta che, in tema di accertamento, la presunzione legale posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, secondo cui i prelevamenti sono considerati ricavi, può essere utilizzata, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 2014, nei confronti dei soli imprenditori, non anche dei lavoratori autonomi. Le operazioni bancarie di versamento, invece, hanno efficacia presuntiva di maggiore disponibilità reddituale nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia solo dimostrando che ne hanno tenuto conto ai fini della determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine (Cass. n. 2432 del 31/1/2017; Cass. n. 29572 del 16/11/2018).

3.5. In particolare, con riguardo ai versamenti, la presunzione legale prevista dalla disposizione normativa in esame a favore dell’Erario, tenuto conto della fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici ed è superabile da prova contraria fornita dal contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (Cass. n. 18081 del 4/8/2010; Cass. n. 26018 del 10/12/2014; Cass. n. 6237 del 27/3/2015; Cass. n. 9078 del 5/5/2016; Cass. n. 8266 del 4/4/2018).

3.6. Ciò posto, il ricorso è fondato laddove è stata denunciata la violazione e falsa applicazione della presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, del dovendosi fare applicazione del principio di diritto, secondo cui “il mutamento normativo prodotto da una pronuncia di illegittimità costituzionale, configurandosi come ius superveniens, impone, anche nella fase di cassazione, la disapplicazione della norma dichiarata illegittima e l’applicazione della disciplina risultante dalla decisione anzidetta; con l’ulteriore conseguenza che, ove la nuova situazione di diritto obiettivo derivata dalla sentenza d’incostituzionalità richieda accertamenti di fatto non necessari alla stregua della precedente disciplina, questi debbono essere compiuti in sede di merito” (Cass. n. 4349 del 1995; Cass. n. 12779 del 21/6/2016).

3.7. Alla luce delle considerazioni svolte, nel caso in esame, la presunzione poteva ritenersi operante con riferimento ai versamenti sui conti correnti della contribuente operati nell’anno in contestazione, essendo onere della stessa fornire la prova che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non fossero riferibili ad operazioni imponibili, ma non poteva essere applicata per i prelevamenti.

La Commissione regionale, ritenendo operante nei confronti della ricorrente la presunzione legale di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, anche con riguardo ai prelevamenti, non si è attenuta ai suddetti principi, mentre, quanto ai versamenti, ha fatto corretta applicazione della presunzione legale e dell’inversione dell’onere probatorio a carico della contribuente.

L’accoglimento della censura esaminata nei termini sopra esposti consente di dichiarare assorbiti i restanti profili di doglianza fatti valere con il mezzo in esame ed il secondo motivo del ricorso.

4. In conclusione, va accolto il primo motivo nei termini di cui in motivazione, con assorbimento del secondo motivo, e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Veneto in diversa composizione, affinchè, facendo applicazione dei superiori principi, proceda a nuovo esame del merito della vicenda e provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta accoglie il primo motivo nei limiti di cui in motivazione e dichiara assorbito il secondo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019

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