Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3409 del 03/02/2022
Cassazione civile sez. lav., 03/02/2022, (ud. 15/07/2021, dep. 03/02/2022), n.3409
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2392-2015 proposto da:
ASL N. 2- SAVONESE, in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NICOLO’ TARTAGLIA n. 5,
presso lo studio dell’avvocato AROMOLO SANDRA, rappresentata e
difesa dagli avvocati PIPICELLI ANTONIO, SPOTORNO MARIO;
– ricorrente –
contro
P.E., elettivamente domiciliato in ROMA VIA G. BETTOLO N. 9
presso lo studio dell’avvocato RICCHIUTI LORETTA, rappresentato e
difeso dall’avvocato CORRENTI CORRADO;
– controricorrente –
e contro
G.I. GROUP S.P.A.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 300/2014 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,
depositata il 17/07/2014 R.G.N. 239/2014; udita la relazione della
causa svolta nella camera di consiglio del 15/07/2021 dal
Consigliere Dott. NEGRI DELLA TORRE PAOLO.
Fatto
PREMESSO
che con sentenza n. 300/2014, depositata il 17 luglio 2014, la Corte di appello di Genova ha confermato la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale di Savona aveva dichiarato la nullità del contratto di somministrazione tra G.I. Group S.p.A. e ASL n. 2 Savonese e del contratto per prestazioni di lavoro somministrato, e relative proroghe, tra G.I. Group S.p.A. e il ricorrente P.E., con condanna dell’Azienda utilizzatrice al risarcimento del danno in favore di quest’ultimo, liquidato in quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;
– che la Corte ha rilevato, in primo luogo, il difetto di specifica indicazione della causale della somministrazione a termine, disattendendo la tesi dell’appellante, secondo la quale tale specificazione non sarebbe richiesta dalle norme regolatrici della fattispecie (D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20 e 21) e sarebbe sufficiente un richiamo alla previsione generale della legge, come quello contenuto nel contratto oggetto di giudizio; ha inoltre rilevato come l’Azienda non avesse fornito la prova dell’esistenza delle ragioni sostitutive, a fronte delle quali sarebbe avvenuta la somministrazione che aveva riguardato il P., poiché dai tabulati prodotti era risultata la presenza in servizio, nel periodo del rapporto contrattuale
e successiva proroga, di un numero di lavoratori somministrati con mansioni di infermiere maggiore del numero dei lavoratori assenti per malattia, ferie o maternità;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la ASL n. 2 – Savonese, con due motivi, assistiti da memoria, cui ha resistito il P. con controricorso, mentre G.I. Group S.p.A. è rimasta intimata.
Diritto
RILEVATO
che con il primo motivo viene dedotta la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27 e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 in relazione al limite previsto dal D.Lgs. n. 235 del 2003, art. 1, comma 2, censurandosi la sentenza di appello per non avere considerato che il D.Lgs. n. 276 del 2003 non trova applicazione per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale (art. 1, comma 2), con conseguente inoperatività nei confronti della P.A. delle rigide condizioni di ammissibilità previste da tale decreto, art. 20, comma 4, e conseguente mancanza dei presupposti per una pronuncia di condanna al risarcimento del danno, stante l’inesistenza di alcuna violazione di norme inderogabili in tema di lavoro a termine;
– che con il secondo viene dedotto il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, avendo la sentenza di appello valutato il materiale probatorio alla stregua del criterio delle “piante organiche”, e non alla stregua del criterio, più flessibile, delle “dotazioni organiche”, così da non avvedersi che il contratto generale di somministrazione era stato stipulato, con G.I. Group S.p.A., per consentire all’Azienda di adeguare con elasticità e immediatezza il proprio personale sanitario, presente nelle varie strutture, alle necessità contingenti delle stesse (non solo collegate a gravidanze, lunghe assenze per malattia o pensionamenti) e che proprio in tale quadro si era inserita la prestazione lavorativa del P., che, infatti, si era limitata a soli otto mesi ed era cessata nel momento in cui la ristrutturazione aziendale aveva permesso la copertura delle dotazioni organiche della struttura di Medicina Interna con personale di ruolo e a tempo indeterminato;
osservato che il primo motivo è infondato;
– che le amministrazioni pubbliche possono stipulare, fra altre forme contrattuali flessibili, anche contratti di somministrazione di lavoro, purché a tempo determinato;
– che la somministrazione di lavoro a termine è ammessa, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, “a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore”;
– che, ai sensi dell’art. 21, il contratto di somministrazione deve essere stipulato in forma scritta e deve contenere, unitamente ad altri requisiti, l’indicazione di tali ragioni (comma 1, lett.c); in mancanza di forma scritta, con indicazione degli elementi di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del comma 1, il contratto di somministrazione è nullo e i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore (comma 4);
– che, così esattamente individuate le fonti regolatrici della fattispecie dedotta in giudizio, la sentenza impugnata ha poi altrettanto esattamente sottolineato la necessità di rendere controllabile ex post la corrispondenza delle mansioni in concreto affidate al lavoratore con le ragioni indicate nel contratto e, pertanto, la necessità di un grado di specificazione tale da consentire il raffronto;
– che, infatti, è stato più volte affermato nella materia dei contratti a tempo determinato (ma il principio è chiaramente estensibile ad ogni ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto) che il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, nel consentire che venga fissato un termine finale al contratto di lavoro a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate in apposito atto scritto, a pena di inefficacia, “impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonché la immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare, nonché la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa” (Cass. n. 840/2019, fra le molte conformi);
– che la successiva verifica, da parte del giudice di appello, dell’insussistenza delle ragioni sostitutive indicate nel contratto è conforme al principio, secondo il quale “In tema di somministrazione di manodopera, la legittimità della causale indicata nel contratto di somministrazione non è sufficiente per rendere legittima l’apposizione di un termine al rapporto, dovendo anche sussistere, in concreto, una situazione riconducibile alla ragione indicata nel contratto stesso” (Cass. n. 20598/2013, già cit. in sentenza);
– che è poi costante l’orientamento di questa Corte, per il quale, nel lavoro pubblico contrattualizzato, è esclusa la possibilità di far derivare dalla nullità o comunque dalla illegittimità dell’utilizzo di forme di impiego flessibili la conversione del rapporto a tempo indeterminato;
– che la normativa sul lavoro flessibile alle dipendenze della pubblica amministrazione si e’, infatti, mossa costantemente lungo una direttrice di fondo segnata dall’esigenza costituzionale di conformità al canone espresso dall’art. 97 Cost., u.c., Cost., che prescrive che agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvi i casi stabiliti dalla legge (cfr., per tutte, Sez. U n. 5072/2016);
– che, in attuazione di tale principio costituzionale, il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5 esclude, la possibilità di costituire rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le pubbliche amministrazioni in ogni ipotesi in cui ricorra la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte delle stesse amministrazioni. La disposizione si trova ribadita in riferimento alla somministrazione di lavoro dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 86, comma 9, a tenore del quale: “La previsione della trasformazione del rapporto di lavoro di cui all’art. 27, comma 1, non trova applicazione nei confronti delle pubbliche amministrazioni”. Identico regime deve applicarsi, a norma del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, nelle fattispecie in cui la costituzione del rapporto di lavoro con l’utilizzatore discenda dalla nullità per vizi di forma del contratto di somministrazione, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 21, comma 4, (Cass. n. 446/2021);
– che il secondo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto, da un lato, non enuclea le affermazioni in diritto, contenute nella sentenza impugnata, che sarebbero in contrasto con le norme di legge di cui si assume la violazione o falsa applicazione; dall’altro, si risolve nella richiesta di un nuovo apprezzamento di fatto e comunque non si attiene al paradigma del “nuovo” art. 360 c.p.c., n. 5, quale risultante dalle modifiche introdotte con la novella del 2012 e con le precisazioni – quanto a perimetro applicativo e oneri di deduzione – fornite da questa Corte a Sezioni Unite (sentenze n. 8053 e n. 8054/2014);
– che con tali sentenze, e con le molte successive che ad esse si sono conformate, è stato invero precisato che l’art. 360 c.p.c., n. 5, come riformulato a seguito dei recenti interventi, “introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)”; con la conseguenza che “nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”;
ritenuto conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;
– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna la ricorrente ASL n. 2 – Savonese al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 15 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2022