Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34074 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 19/12/2019, (ud. 11/07/2019, dep. 19/12/2019), n.34074

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17984-2018 proposto da:

CAR SEGNALETICA STRADALE SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

CREMERA 11, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO FORMICONI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ROBERTO PROZZO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10433/2017 della COMM.TRIB.REG. di NAPOLI,

depositata il 11/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/07/2019 dal Consigliere Dott.ssa CORRADINI GRAZIA.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 8320/2016 la Commissione Tribunale Provinciale di Napoli rigettava i ricorsi, successivamente riuniti, proposti dalla Srl Car Segnaletica Industriale contro l’avviso di rettifica prot. 1536 / RU di due dichiarazioni di importazione per immissione in libera pratica di partite di viti, dadi e bulloni, corredate da certificati di origine rilasciati da un incaricato del Ministero degli Affari Economici in Taiwan con cui l’Agenzia delle Dogane di Napoli 1 aveva recuperato i dazi antidumping e la maggiore IVA dovuta ed i provvedimenti di contestazione di violazione di norme tributarie e di irrogazione di sanzioni amministrative n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS) emessi dalla Agenzia delle Dogane di Napoli a seguito del controllo a posteriori dei certificati di origine e delle contestuali indagini condotte dell’OLAF, il cui risultato era stato compendiato nel report finale che aveva denunciato l’esistenza di un fenomeno fraudolento diretto all’evasione dei dazi antidumping realizzato mediante operazioni di trasbordo nei porti di Taiwan di elementi di fissaggio di origine cinese, successivamente esportati nel territorio dell’Unione Europea, senza essere sottoposti ad alcun trattamento nel magazzino.

La Commissione tributaria Provinciale, in risposta agli specifici motivi di ricorso proposti dalla società ricorrente, riteneva che i provvedimenti impugnati fossero compiutamente motivati poichè riportavano i passaggi salienti della relazione dell’OLAF ed escludeva la rilevanza delle pretese irregolarità concernenti la fase amministrativa in base al principio della strumentalità delle forme. Quanto al trattamento sanzionatorio rilevava, poi, che l’origine o la provenienza della merce erano annoverabili tra gli elementi sintomatici della qualità.

La società Car Segnaletica Stradale, riproponendo le questioni prospettate con il ricorso iniziale, presentava appello che veniva rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania con sentenza n. 10433/20/2017 depositata in data 11.12.2017, con cui condannava altresì la appellante alle spese, rilevando: 1) al contrario di quanto ritenuto dall’appellante e come invece correttamente sostenuto dal giudice di primo grado, ai fini della motivazione del processo verbale di constatazione e di rettifica e dell’esercizio del diritto di difesa, era sufficiente il richiamo alla relazione dell’OLAF nei suoi tratti essenziali, come previsto dal D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 5 bis, non rientrando la produzione del rapporto finale tra i requisiti di validità della motivazione e ciò valeva a maggior ragione per i documenti cui faceva rinvio il detto rapporto; 2) la mancata partecipazione del contribuente agli accertamenti dell’OLAF non li rendeva inutilizzabili nei suoi confronti, come chiarito anche di recente dalla Corte di Giustizia con la sentenza in data 16 marzo 2017 nella causa C-47/16; come inoltre chiarito sempre dalla Corte di Giustizia con la sentenza in data 9 novembre 2017 nella causa C-298/16, a proposito del contraddittorio endo procedimentale, le autorità nazionali non erano obbligate a fornire un accesso integrale al fascicolo nè a trasmettere d’ufficio i documenti e le informazioni poste a base della decisione proposta, per cui era il contribuente a dovere, eventualmente, sollecitare la trasmissione, come era legittimo attendersi, il che era quanto poi rilevava sul piano della effettività del diritto di difesa; 3) la prova della falsità dei certificati di origine era stata fornita in causa sulla base della comunicazione dell’Ufficio di rappresentanza di Taipei in Italia con la quale aveva reso noto che “in base alla verifica effettuata presso l’Ufficio di Commercio estero in Taiwan….del ministero degli Affari economici…. risultano falsi”; 4) gli importi dovuti erano agevolmente ricavabili sulla base delle misura dei dazi puntualmente indicatek nel processo verbale di constatazione e verifica; 5) l’art. 220 del codice doganale comunitario era inapplicabile nel caso in esame, come chiarito dalla Corte di Giustizia, poichè l’importatore aveva un particolare onere di diligenza per cui non poteva invocare la propria buona fede se si era astenuto dall’informarsi “nella massima misura possibile” delle circostanze del rilascio del certificato d’origine per verificare se dubbi che si debbano ritenere ragionevolmente insorti fossero giustificati.

Contro la sentenza di appello, non notificata, ha proposto ricorso la contribuente, con atto spedito l’11.5.2018 e pervenuto il 12 giugno successivo, affidato a quattro motivi.

La Agenzia delle Dogane si è costituita ritualmente con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 5 bis, del D.Lgs. n. 212 del 2000, art. 7 e della L. n. 241 del 1990, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la sentenza impugnata ritenuto che, ai fini della completezza degli atti amministrativi in materia doganale fosse sufficiente il contenuto essenziale dei documenti ed “i tratti salienti del report OLAF, descrivendo le modalità sunteggiate in narrativa di attuazione del meccanismo volto ad evitare il pagamento del dazio antidumping”, ovvero che l’evasione avveniva “mediante operazioni di trasbordo nei porti di Taiwan di elementi di fissaggio di origine cinese, successivamente esportati nel territorio dell’Unione Europea”, mentre invece il D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 5 bis e dello statuto dei diritti del contribuente, art. 7 imponevano la indicazione delle concrete circostanze di fatto che l’Ufficio aveva accertato e dei fatti concreti che giustificavano l’adozione dell’atto impositivo, così come previsto dalla giurisprudenza della Corte di cassazione con riguardo alla motivazione dell’accertamento relativo alle imposte sui redditi.

1.1. Il motivo è infondato, poichè la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principio giuridico per cui “L’avviso di accertamento in materia doganale, che si fondi su verbali ispettivi OLAF, i quali, pur riservati, possono essere utilizzati dall’Amministrazione nei procedimenti per inosservanza della regolamentazione doganale, è legittimamente motivato ove risponda alle prescrizioni del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 5-bis, ossia riporti nei tratti essenziali, ai fini dell’esercizio del diritto di difesa, il contenuto di quegli atti presupposti richiamati “per relationem”, anche se non allegati, non rientrando la produzione del rapporto finale OLAF tra i requisiti di validità della motivazione. Tale principio vale a maggior ragione per i documenti, cui faccia rinvio il rapporto OLAF (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 10118 del 21/04/2017 Rv. 644042 – 01). Improprio è pure il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte con riguardo ai vizi dell’accertamento in materia di imposte sui redditi poichè per l’accertamento in materia doganale opera lo “jus speciale” di cui al D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11 (v. Sez. 5, Sentenza n. 8399 del 05/04/2013 Rv. 626110 – 01) che appresta particolari garanzie, volte ad assicurare il diritto di difesa, diverse da quelle esistenti in materia di imposta sui redditi dalle quali consegue, ad esempio, che la mancata comunicazione al contribuente del rapporto OLAF anteriormente all’emissione di tale avviso non determina un concreto pregiudizio all’esercizio dei mezzi di tutela allo stesso accordati dall’ordinamento giuridico.

2.2. La ricorrente, che pure trascrive nell’atto di ricorso la risposta allo speculare motivo di appello contenuta nella sentenza impugnata, con riguardo alla presenza nell’atto di constatazione dei tratti salienti del report dell’OLAF in relazione alle specifiche modalità del meccanismo volto ad evitare il pagamento del dazio antidumping, sostiene che tale limitata trascrizione non sarebbe stata sufficiente dovendo l’accertamento indicare i fatti concreti che giustificavano l’adozione dell’atto impositivo; ma, a parte il rilievo che non sono neppure indicati i pretesi fatti omessi e non è specificato come la pretesa omissione potrebbe avere inciso sul diritto di difesa, è evidente che si è addirittura al di fuori del perimetro del preteso vizio della violazione di legge. Infatti le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente l’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perchè la fattispecie astratta da essa prevista pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra invece nell’ambito applicativo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (v., per tutte, da ultimo, Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 640 del 14/01/2019 Rv. 652398 – 01); il che è quanto, nella sostanza, allega la ricorrente la quale sostiene che la motivazione dell’avviso di rettifica non riportava con precisione i fatti oggetto di contestazione.

2. Con il secondo motivo la ricorrente si duole di omessa pronuncia sul secondo motivo di appello e conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa decisione da parte della sentenza impugnata sul secondo motivo di appello con cui aveva dedotto la inutilizzabilità degli accertamento dell’OLAF per violazione del Regolamento UE n. 883/2013 dell’I 1 settembre 2013 che prevedeva che l’esito delle indagini dovesse essere comunicato al soggetto interessato affinchè lo stesso possa presentare le proprie osservazioni prima dell’avviso di rettifica, con conseguente nullità degli accertamenti per violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa.

2.1. Anche tale motivo è infondato.

2.2. Non è vero in primo luogo che la sentenza di appello non abbia dato risposta a tale doglianza perchè proprio al punto 2.2. (e cioè nella parte in cui ha risposto alle censure proposte con il secondo motivo di appello) ha specificamente risposto che su tale specifica questione si era già pronunciata la Corte di Giustizia con la sentenza 9 settembre 2017, causa C-298/16, Teodor lspas ed altro c. Drectia Generala a Finantelor Publice Cluj, chiarendo che le autorità nazionali non erano soggette ad un obbligo generale di fornire accesso integrale al fascicolo e tanto meno di trasmettere d’ufficio i documenti e le informazioni posti a base della decisione proposte, per cui non doveva essere la Amministrazione a provocare il contraddittorio in seno al procedimento di verifica fiscale, bensì il contribuente a doverlo sollecitare, il che era pienamente rispondente al principio di effettività della difesa.

2.3. Una risposta quindi vi è stata, il che esclude la sussistenza del vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 4, sotto il profilo della nullità della sentenza impugnata per difetto assoluto di motivazione, in quanto la incompletezza, la erroneità o contraddittorietà della motivazione può essere dedotta non già ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 4, come avvenuto nel caso in esame, bensì, eventualmente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in base alla riformulazione disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, che deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione, ai sensi del n. 4 dell’art. 360 c.p.c. solo l’anomalia motivazionale, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (v. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 Rv. 629830 – 01); come nella specie in cui esiste una motivazione, peraltro più che sufficiente e non solo sotto l’aspetto grafico.

2.4. La risposta offerta dal giudice di appello è poi, altresì, corretta. Il Regolamento UE n. 883/2013 del parlamento Europeo e del consiglio dell’I 1 settembre 2013 relativo alle indagini svolte dall’ufficio Europeo per la lotta antifrode (OLAF), che abroga il regolamento (CE) n. 1073/1999 del Parlamento Europeo e del Consiglio e il regolamento (Euratom) n. 1074/1999 del Consiglio, dispone infatti all’art. 8, comma 4. “Fatti salvi l’art. 4, paragrafo 6, e l’art. 7, paragrafo 6, una volta terminata l’indagine e prima che siano redatte conclusioni che facciano riferimento nominativamente a una persona interessata, a tale persona è data la possibilità di presentare le proprie osservazioni sui fatti che la riguardano. A tal fine, l’Ufficio invia alla persona interessata un invito a presentare le proprie osservazioni, per iscritto o durante un colloquio con il personale designato dall’Ufficio. Tale invito comprende una sintesi dei fatti che riguardano la persona interessata e le informazioni prescritte dagli artt. 11 e 12 del regolamento (CE) n. 45/2001, e indica il termine per la presentazione delle osservazioni, che non è inferiore a dieci giorni lavorativi dal ricevimento dell’invito a presentare osservazioni. Tale termine di preavviso può essere ridotto con il consenso espresso della persona interessata o per ragioni debitamente motivate dall’urgenza dell’indagine. La relazione finale d’indagine fa riferimento a tali eventuali osservazioni”. L’art. 2 dello stesso Regolamento, che prevede le “definizioni”, precisa però che: 5) “persona interessata” è ogni persona o operatore economico sospettati di aver commesso frodi, corruzione o ogni altra attività illecita lesiva degli interessi finanziari dell’Unione e che sono pertanto oggetto di indagine da parte dell’Ufficio. Erra quindi la ricorrente laddove ritiene che destinatari dell’invito a presentare osservazioni fossero i singoli operatori nazionali cui in seguito sarebbe stata destinata la merce, posto che gli “interessati”, come precisato anche dall’art. 9 del Regolamento, erano le imprese interessate dalle indagini dell’OLAF e cioè quelle stabilite fuori la UE. Al contrario i singoli operatori nazionali che poi avrebbero ricevuto la merce sono destinatari di specifiche garanzie previste dal diritto interno, conformi al diritto comunitario, operando in tale ambito lo “jus speciale” di cui al D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11 preordinato a garantire al contribuente un contraddittorio pieno in un momento comunque – anticipato rispetto all’impugnazione in giudizio del suddetto avviso, come confermato dalla normativa sopravvenuta (D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in L. 24 marzo 2012, n. 27), la quale, nel disporre che gli accertamenti in materia doganale sono disciplinati in via esclusiva dal citato D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, ha introdotto un meccanismo di contraddittorio assimilabile a quello previsto dallo Statuto del contribuente (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15032 del 02/07/2014 Rv. 631845 – 01).

3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce ancora vizio di omessa pronuncia in relazione all’art. 112 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.c., n. 4, per avere la sentenza impugnata “liquidato” con sole poche righe di motivazione il quarto motivo di appello con cui aveva lamentato che mancava qualsiasi prova della falsità dei certificati prodotti poichè la prova sarebbe stata desunta solo da una comunicazione all’Ufficio di rappresentanza di Taipei dove si faceva sempre riferimento ad accertamenti compiuti da altri ed in particolare di presunti beni provenienti dalla Cina, trasbordati a Taiwan attraverso la zona di libero scambio, ma senza mai risalire alla fonte degli accertamenti ed anche il “Final report” dell’OLAF n. of/2011/0978/b1, depositato in giudizio in data 3 febbraio 2016 dalla Agenzia delle Dogane, faceva riferimento a sospetti ed a dichiarazioni de relato, mentre I.C.E. – Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane ed i certificati di origine sottoscritti dalla autorità di Taiwan provavano la origine della merce. Secondo la ricorrente la sentenza di appello avrebbe perciò omesso di pronunciarsi sulla pertinenza e rilevanza probatoria dei documenti prodotti in causa e ciò determinerebbe la nullità della sentenza per vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. su una domanda portata alla attenzione del giudice.

3.1. Si richiama anche in tal caso quanto già esposto con riguardo al precedente motivo, che rivela, pure in relazione al presente motivo, la infondatezza del vizio denunciato poichè esso si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Nella specie la sentenza impugnata, al capo 3, proprio con riguardo al quarto motivo di appello, ha rilevato che era stata fornita in causa la prova della falsità dei certificati di origine attraverso la comunicazione proveniente dalla rappresentanza della capitale di Taiwan in Italia che aveva reso noto che i certificati di origine, rilasciati inizialmente da un incaricato del Ministero degli Affari Economici in Taiwan, erano risultati falsi in base ad una successiva verifica effettuata presso l’Ufficio Commercio Estero in Taiwan, il che si raccorda con i punti 1 e 2 e 2.2. della motivazione della stessa sentenza di appello con riguardo al rapporto finale dell’OLAF che descriveva un preciso meccanismo fraudolento diretto all’evasione dei dazi antidumping, realizzato mediante operazioni di trasbordo nei porti di TAIWAN di elementi di fissaggio di origine cinese, successivamente esportati nel territorio dell’Unione Europea, nonchè al valore probatorio degli accertamenti dell’OLAF anche alla luce della recente pronuncia della Corte di Giustizia del 16 marzo 2017 nella causa C-47/16.

3.2. Non si può quindi parlare di mancanza o difetto di pronuncia sotto alcuno dei profili sopra indicati, mentre la parte, sotto il profilo della omessa pronuncia, cerca in realtà di rimettere in discussione la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operata dai giudici di merito, proponendo una diversa interpretazione delle stesse, il che è precluso in sede di legittimità. L’esame dei documenti esibiti nonchè la valutazione degli stessi e delle altre risultanze processuali, così come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più

– idonee a sorreggere la motivazione, involgono infatti apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (v. Cass. Sentenza n. 16056 del 02/08/2016 Rv. 641328 – 01; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 29404 del 07/12/2017 Rv. 646976 – 01).

3.3. In ogni caso è opportuno rilevare che, in tema di tributi doganali, gli accertamenti compiuti dagli organi comunitari, anche se “a posteriori”, hanno piena valenza probatoria nei procedimenti amministrativi e giudiziari e, quindi, possono essere posti a fondamento dell’avviso di accertamento per il recupero dei dazi sui quali siano state riconosciute esenzioni o riduzioni, spettando al contribuente che ne contesti il fondamento fornire la prova contraria in ordine alla sussistenza delle condizioni del regime agevolativo (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 13770 del 06/07/2016 Rv. 640616 – 01; Sez. 5 -, Sentenza n. 11441 del 11/05/2018 Rv. 648020 – 01). Inoltre, poichè, in applicazione del principio affermato dalla sentenza della Corte di Giustizia del 14 maggio 1996, C-153/94 e C-204/94, la prova può essere effettivamente fornita attraverso il certificato di origine, il quale, tuttavia, è passibile di verifica da parte delle autorità doganali dello Stato di destinazione (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 13496 del 27/07/2012 Rv. 623707 – 01), ne discende che tale prova non può più essere sempre insita nel certificato di origine, come assume la ricorrente, quando successivi accertamenti, come nel caso in esame, ne abbiano accertato la falsità per dichiarazione dello stesso Ufficio del Commercio estero di Taiwan.

4. E’ infine infondato anche il quarto motivo di ricorso con cui la società ricorrente lamenta motivazione apparente ed error in procedendo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, perchè, rispondendo all’ultimo motivo di appello con cui era stata denunciata la inapplicabilità delle maggiorazioni e delle sanzioni ai sensi dell’art. 220 del Regolamento CEE 12 ottobre 1992 n. 2913/92, la sentenza impugnata non aveva speso neppure una parola di motivazione per verificare se la CAR Segnaletica si era comportata o meno con diligenza e non aveva compiuto alcun esame della vicenda di merito per verificare se ricorrevano o meno i presupposti per l’applicazione della norma.

4.1. Premesso che anche in tal caso la sentenza impugnata ha dato una precisa risposta alla mancata applicazione dell’art. 220 del codice doganale comunitario, alla luce dei principi di diritti discendenti anche dalle decisioni della Corte di Giustizia per cui l’importatore non può invocare la propria buona fede, bensì, qualora intenda farla valere, ha l’onere di provare che il certificato d’origine sia stato redatto sulla base di una esatta presentazione dei fatti di causa da parte dell’esportatore, si tratta pure di una risposta del tutto in linea e rispettosa della elaborazione giurisprudenziale di questa Corte in tema di applicazione della esimente della buona fede in materia doganale, per cui, a fronte dell’accertata falsità dei certificati di origine della merce, l’Unione Europea non può essere tenuta a sopportare le conseguenze di comportamenti scorretti dei fornitori dei suoi cittadini rientranti nel rischio dell’attività commerciale, e contro i quali gli operatori economici ben possono premunirsi nell’ambito dei loro rapporti negoziali (Corte giustizia 17 luglio 1997, causa C-97/95, Pascoal & Filhos; Cass. n. 19195 del 06/09/2006; Cass. n. 14509 del 30/05/2008; Cass. n. 1583 del 03/02/2012; Cass. n. 15758 del 19/09/2012); il che rende irrilevante lo stato soggettivo di consapevolezza della irregolarità della introduzione della merce in capo all’importatore, in considerazione dell’obbligo che grava su quest’ultimo di vigilare

. “sull’esattezza dell’informazione fornita alle autorità dello Stato di esportazione dall’esportatore, al fine di evitare abusi” (Cass. n. 24675 del 23/11/2011). Nessun accertamento sullo stato soggettivo di diligenza e buona fede dell’importatore doveva perciò eseguire il giudice di appello, essendo la deduzione della ricorrente in proposito basata su un argomento palesemente erroneo quale quello per cui sarebbe spettato all’Agenzia delle Dogane dimostrare la mala fede dell’importatore, mentre invece l’indirizzo giurisprudenziale di legittimità, senza alcuna linea dissonante e del tutto in linea con la Corte di Giustizia, afferma proprio il contrario e cioè che l’esenzione prevista dall’art. 220, comma 2, lett. b), del Regolamento CEE 12 ottobre 1992, n. 2913 (Codice doganale comunitario), che preclude la contabilizzazione “a posteriori” dell’obbligazione doganale in presenza di un errore dell’autorità doganale e della buona fede dell’operatore, può essere applicata solo qualora sia “dimostrata dal soggetto che intende avvalersi dell’agevolazione, attraverso la prova di tutti i presupposti necessari perchè resti impedito il recupero daziario: a) un errore imputabile alle autorità competenti; b) un errore di natura tale da non poter essere riconosciuto dal debitore in buona fede, nonostante la sua esperienza e diligenza, ed in ogni caso determinato da un comportamento attivo delle autorità medesime, non rientrandovi quello indotto da dichiarazioni inesatte dell’operatore; c) l’osservanza da parte del debitore di tutte le disposizioni previste per la sua dichiarazione in dogana dalla normativa vigente” (v. per tutte Sez. 5, Sentenza n. 7702 del 27/03/2013 Rv. 626217 – 01; v. ancora Cass. Sez. 5, Sentenza n. 13770 del 06/07/2016 Rv. 640617 – 01), senza che, rispetto allo stato soggettivo di buona fede, assuma rilevanza l’effettiva consapevolezza da parte dello stesso circa la veridicità delle informazioni fornite dall’esportatore alle autorità del proprio Stato, essendo, piuttosto, il debitore tenuto a dimostrare che, per tutta la durata delle operazioni commerciali in questione, ha agito con la diligenza qualificata richiesta, in ragione dell’attività professionale di importatore svolta, ex ad. 1176 c.c., comma 2, per verificare la ricorrenza delle condizioni per il trattamento preferenziale, mediante un esigibile controllo sull’esattezza delle informazioni rese dall’esportatore (v. Sez. 5 -, Ordinanza n. 12719 del 23/05/2018 Rv. 648776 -01).

4. 5. Non rileva quindi che i certificati di origine fossero stati sottoscritti dalla autorità di Taiwan e che fossero stati ritenuti inizialmente veritieri dato che le operazioni effettuate da detti uffici nell’ambito dell’accettazione iniziale delle dichiarazioni non ostano affatto all’esercizio di controlli successivi (Code giustizia, 9 marzo 2006, C-293/04, Beemsterboer Coldstore Services BV, richiamata da Code di giustizia, 8 novembre 2012, C438/11, Lagura, in riferimento ai certificati FORM A, documenti giustificativi utili a fruire delle preferenze generalizzate unilateralmente concesse dalla UE), e ciò in quanto le prescrizioni del CDC, alla luce del suo sesto considerando (“considerando che, tenuto conto della grande importanza che il commercio esterno ha per la Comunità, occorre sopprimere o per lo meno limitare, per quanto possibile, le formalità e i controlli doganali”), vanno interpretate nel senso che “(…) al momento dell’accettazione della dichiarazione in dogana, l’autorità suddetta non si pronuncia sull’esattezza delle informazioni fornite dal dichiarante, di cui quest’ultimo si assume la responsabilità” (Corte di giustizia, 15 settembre 2011, C-138/10, DP Group EOOD). Ne consegue, ha ribadito la Code, che “(…) qualora un controllo a posteriori non consenta di confermare l’origine della merce, l’autorità doganale è tenuta a procedere a constatazione e rettifica (Code giustizia 9 marzo 2006 C293/04, Beemsterboer Coldstore Services BV). Secondariamente, l’affermazione dell’obbligo in questione si rispecchia nel punto 57 della sentenza della Code di giustizia 17 luglio 1997, C97/95, richiamata da Cass. n. 24675 del 2011, cit., la quale espressamente paventa che, se la buona fede dell’importatore fosse capace di esentarlo comunque da responsabilità, “(…) – l’importatore sarebbe indotto a non verificare più l’esattezza dell’informazione fornita alle autorità – dello Stato di esportazione da parte dell’esportatore, nè la buonafede di quest’ultimo, il che darebbe luogo ad abusi” (da ultimo v. Sez. 5 -, Ordinanza n. 4059 del 12/02/2019 Rv. 652783 -01).

5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

6. Anche le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza della ricorrente. Sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis e 1 quater, essendo stato il ricorso notificato il 12.6.2018.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 5.600,00 oltre spese prenotate a debito Dà atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis e 1 quater.

Così deciso in Roma, il 11 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019

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