Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34073 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 19/12/2019, (ud. 11/07/2019, dep. 19/12/2019), n.34073

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19727-2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CHIMPEX INDUSTRIALE SPA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 837/2016 della COMM.TRIB.REG. di NAPOLI,

depositata il 01/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/07/2019 dal Consigliere Dott.ssa CORRADINI GRAZIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 24341/2014 la Commissione Tributaria Provinciale di Napoli rigettava il ricorso presentato dalla Spa Chimpex Industriale, esercente l’attività di fabbricazione di prodotti chimici, contro l’avviso di accertamento con il quale la Agenzia delle Entrate, a seguito di una verifica eseguita da propri funzionari e conclusa con processo verbale di constatazione, aveva ritenuto solo parzialmente deducibili, per l’anno di imposta 2008, quali costi inerenti alla attività di impresa, i canoni di locazione finanziaria in virtù di un contratto in data 10.4.2003 avente ad oggetto un immobile sito in Napoli all’interno di un signorile parco residenziale, per un importo imponibile di Euro 142,934,76 per l’anno in considerazione. La società aveva detratto interamente il costo sostenendo trattarsi di immobile strumentale dell’impresa in quanto utilizzato per riunioni con la clientela, mentre invece l’Ufficio aveva recuperato a tassazione i 2/3 dei canoni versati nell’anno in considerazione, disconoscendone la diretta inerenza ai ricavi, in quanto si trattava di un immobile che non costituiva sede neppure secondaria della società, avente tutte le caratteristiche proprie di una civile abitazione e nessuna sembianza di ufficio strumentale per l’attività di impresa ed aveva applicato il trattamento fiscale delle spese di rappresentanza, ai sensi dell’art. 108 TUIR, più favorevole alla contribuente rispetto al disconoscimento totale del costo.

La Commissione Tributaria Provinciale, rigettando la tesi della contribuente che aveva dedotto con il ricorso iniziale trattarsi di immobile strumentale per natura in quanto classato in categoria A 10 e facendo invece propria la tesi dell’Ufficio, per quanto ancora interessa, riteneva provato che si trattasse di un immobile che, per quanto classato in categoria A 10 poteva essere parzialmente utilizzato come Ufficio di rappresentanza per riunioni con i clienti, come dichiarato dal legale rappresentante della società in sede di osservazione ai rilievi formulati dai verificatori.

Investita dall’appello della contribuente, che lamentava la errata valutazione dei fatti di causa, la Commissione Tributaria Regionale della Campania, con la sentenza n. 837/15/2016, pronunciata il 18.1.2016 e depositata in data 1.2.2016, ha accolto l’appello ed in conseguenza annullato l’accertamento impugnato, poichè, pur essendo vero che gli incontri della società con i clienti potevano avvenire solo in un vano dell’appartamento (essendo gli altri destinati a cucina, palestra ecc.), però non si poteva desumere che l’appartamento fosse utilizzato solo a fini di rappresentanza, per cui, in mancanza di elementi da cui ricavare che doveva essere utilizzato per finalità di rappresentanza, la spesa relativa all’immobile doveva essere considerata inerente alla attività e quindi “sistematica ed integralmente deducibile”.

Contro la sentenza della CTR, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate con atto notificato per mezzo pec in data 20.8.2016.

L’intimata non si è costituita.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con un unico motivo di ricorso la Agenzia delle Entrate lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 43, 108 e 109 e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per essere il giudice di appello incorso in errore con riguardo ai principi di diritto posti a base della sentenza impugnata. La sentenza di appello aveva infatti erroneamente ritenuto che l’Ufficio avesse fallito la prova sulla natura del costo, da ciò desumendo che si trattasse, per converso, di costo relativo ad immobile strumentale come tale detraibile integralmente, in tal modo addossando all’Ufficio l’onere di fornire la prova piena ed inequivocabile della non inerenza del costo. In base alle disposizioni normative indicate, come interpretate dalla giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione, spettava invece al contribuente fornire la prova in concreto della strumentalità del bene, ai fini della inerenza e quindi della detraibilità del costo, tanto più quando, come nel caso di specie, il bene non era connesso direttamente con l’attività della azienda che produceva prodotti chimici e si trattava perciò di bene che non era strumentale per natura. In ogni caso, nell’ordinamento tributario, come interpretato dalla giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione, non esisteva una categoria di beni strumentali per natura e cioè “in re ipsa”, mentre esisteva il diverso principio, discendente dall’art. 40 TUIR, comma 2, per cui “si considerano” strumentali per natura solo quei beni che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni, ed anche per questi doveva essere data dal contribuente la prova della strumentalità per natura, dovendo per gli altri il contribuente dare la ulteriore e specifica prova circa l’inerenza dell’acquisto alla specifica attività della impresa; prova che non poteva poi consistere nella variazione della categoria catastale “per uso ufficio e studio privato”, occorrendo invece elementi obiettivi che dimostrassero il preciso collegamento in concreto con la attività di impresa cui l’utilizzo del bene doveva essere collegato, nel senso che doveva essere provata dal contribuente la concreta utilizzazione per le finalità della impresa, negata nella specie dalla Agenzia sulla base delle emergenze del pvc, non essendo la inerenza e la deducibilità del relativo costo una conseguenza necessaria della appartenenza.

2. Il motivo è fondato ed intacca la ragione giustificatrice dell’annullamento dell’avviso di accertamento impugnato nel presente giudizio, fondata dal giudice di appello sulla esistenza di un principio per cui, non avendo l’Ufficio offerto la prova della destinazione dell’immobile a fini di rappresentanza, la spesa doveva essere ritenuta “sistemica e quindi deducibile”.

3. Appare in primo luogo corretta la deduzione del vizio per violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, poichè, in tema di ricorso per cassazione, tale vizio consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (v., per tutte, Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 24054 del 12/10/2017 Rv. 646811 – 01; Sez. L, Sentenza n. 16698 del 16/07/2010 Rv. 614588 – 01), come avvenuto nella specie, considerato che il motivo di ricorso pone proprio, sotto un duplice profilo, una questione di erronea ricognizione della fattispecie normativa astratta, neppure specificamente individuata, fra l’altro, dal giudice del merito che non ha indicato alcuna disposizione normativa a supporto della sua decisione, ancor prima ed indipendentemente dalla ricostruzione della fattispecie concreta che spetta esclusivamente al giudice di merito e su cui comunque la Agenzia ricorrente si è soffermata solo ai fini della ricognizione dei fatti della causa strumentali rispetto alle doglianze relative alla erroneità dei principi giuridici applicati dalla sentenza impugnata, in assenza, quindi, della mediazione derivante dalla valutazione delle risultanze di causa, e ciò anche con riguardo alla violazione della regola dell’onere della prova da parte del giudice di merito.

4. La censura è poi condivisibile, sotto il primo profilo, poichè la disposizione applicabile nel caso in esame, esattamente individuata dalla Agenzia delle Entrate, è in primo luogo il Testo Unico 22 dicembre 1986, n. 917, art. 43, Art. 43 (ex art. 40), nel testo in vigore dal 01/01/2004, modificato dal D.L. 12 dicembre 2003, n. 344, art. 1, per cui: 1. Non si considerano produttivi di reddito fondiario gli immobili relativi ad imprese commerciali e quelli che costituiscono beni strumentali per l’esercizio di arti e professioni. 2. Ai fini delle imposte sui redditi si considerano strumentali gli immobili utilizzati esclusivamente per l’esercizio dell’arte o professione o dell’impresa commerciale da parte del possessore. Gli immobili relativi ad imprese commerciali che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni si considerano strumentali anche se non utilizzati o anche se dati in locazione o comodato salvo quanto disposto nell’art. 65, comma 1. Si considerano, altresì, strumentali gli immobili di cui all’ultimo periodo dell’art. 60, comma 1-bis e art. 95 per il medesimo periodo temporale ivi indicato.

5. La interpretazione consolidata di tale disposizione offerta da questa Corte – cui si ritiene di dare continuità in questa sede – è nel senso che “In tema di imposte sui redditi, il riconoscimento del carattere strumentale di un immobile, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 40, comma 2, secondo periodo, presuppone la prova della funzione strumentale del bene non già in senso oggettivo, bensì in rapporto all’attività dell’azienda, non contemplando tale disposizione una categoria di beni la cui strumentalità è “in re ipsa”, e potendosi prescindere (ai fini dell’accertamento della strumentalità) dall’utilizzo diretto del bene da parte dell’azienda soltanto nel caso in cui risulti provata l’insuscettibilità (senza radicali trasformazioni) di una destinazione del bene diversa da quella accertata in relazione all’attività aziendale (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 12999 del 04/06/2007 Rv. 598412 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 4306 del 04/03/2015 Rv. 634841 – 01).

6. In tema di imposte sui redditi, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 40, gli immobili appartenenti ad imprese commerciali gestite da società di capitali costituiscono perciò beni strumentali, anche se non sono utilizzati direttamente e sono dati in locazione, solo se per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa destinazione senza radicali trasformazioni. Ed incombe al contribuente che intenda far valere la natura strumentale dell’immobile l’onere di fornire la prova della sua destinazione esclusiva all’utilizzazione nell’attività propria dell’impresa (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 25609 del 01/12/2006 Rv. 594450 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 4306 del 04/03/2015 Rv. 634841 – 01; Cass. 2/04/2014, n. 7625 e successive conformi; da ultimo, sempre in senso conforme, Sez. 5 -, Ordinanza n. 33522 del 27/12/2018 Rv. 652062 – 01).

7. Non è quindi vero che, come sostenuto dalla sentenza impugnata, esista un principio per cui i costi di tutti i beni appartenenti alle società devono essere ritenuti inerenti alla attività “e quindi sistemici ed integralmente deducibili”, per una sorta di presunzione assoluta, mentre, in tema di imposte sui redditi, che è il caso che qui interessa, il riconoscimento del carattere strumentale di un immobile, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 40 (poi art. 43), comma 2, secondo periodo, presuppone la prova della funzione strumentale del bene non in senso oggettivo, ma in rapporto all’attività dell’azienda, ad esclusione del caso – che peraltro deve essere ugualmente provato dal contribuente che ne invochi la applicazione – della insuscettibilità (senza radicali trasformazioni) di una destinazione del bene diversa da quella accertata in relazione all’attività aziendale, che non sarebbe neppure astrattamente invocabile nella fattispecie in esame in cui si tratta di un appartamento all’interno di un parco acquistato in leasing da una società che esercita la attività di fabbricazione di prodotti chimici (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 4306 del 04/03/2015 Rv. 634841 – 01).

8. Ne consegue che la sentenza impugnata, laddove ha ritenuto interamente deducibili i costi per i canoni di leasing relativi all’appartamento acquistato dalla società ricorrente ha operato un’erronea ricognizione della fattispecie astratta discendente dall’art. 40 TUIR.

9. Il vizio di violazione di legge è stato poi correttamente posto dalla Agenzia ricorrente anche con riguardo alla violazione dell’art. dell’art. 2697 c.c. che si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (v., da ultimo, Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018 Rv. 650892 – 01; Sez. 3 -, Sentenza n. 13395 del 29/05/2018 Rv. 649038 – 01), poichè, trattandosi della prova di detraibilità di un costo, l’onere di dimostrare i presupposti del costo concorrente alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la sua inerenza e la sua diretta imputazione ad attività produttive di ricavi, tanto nella disciplina del D.P.R. n. 597 del 1973 e del D.P.R.n. 598 del 1973, che del D.P.R. n. 917 del 1986, incombeva al contribuente proprio ex art. 2697 c.c.. Inoltre, poichè nei poteri dell’amministrazione finanziaria in sede di accertamento rientra la valutazione della congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, con negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa o comunque non deducibile, l’onere della prova dell’inerenza dei costi, gravante sul contribuente, ha ad oggetto anche la congruità dei medesimi (v. per tutte, da ultimo, Sez. 5 -, Sentenza n. 10269 del 26/04/2017 Rv. 643926 – 01; v. anche Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 23228 del 04/10/2017 Rv. 646307 – 01 in ordine alla spettanza dell’onere della prova al contribuente in tutti i casi in cui voglia fare valere una qualsiasi forma di esenzione o di agevolazione, quando sul punto vi è contestazione). Ed alla luce di tali principi il giudice di merito ha nella sostanza operato una inversione di tale onere anche laddove ha ritenuto che, al fine di escludere la strumentalità ex se dell’immobile, spettasse all’Ufficio l’onere di dimostrare la finalità dello stesso ad ufficio di rappresentanza, in tal modo addossando all’Ufficio una prova della assenza di strumentalità che spettava invece “in positivo” al contribuente.

10. Sul punto non si tratta di un erroneo apprezzamento delle acquisizioni istruttorie che integrerebbe un vizio sindacabile in sede di legittimità soltanto come vizio della motivazione nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, bensì proprio, come correttamente rilevato dalla Agenzia delle Entrate, di violazione dell’art. 2697 c.c., sotto il profilo della erronea affermazione per cui, da un lato, la allegazione della contribuente avrebbe dovuto essere superata dall’Ufficio, e, da altro lato, della attribuzione del valore di presunzione di strumentalità, addirittura invincibile, al semplice possesso dei beni da parte della società.

11. Ai principi di diritto sopra indicati, discendenti anche da una giurisprudenza consolidata di questa Corte, non si è attenuta la sentenza impugnata, che deve essere quindi cassata, con rinvio della causa per nuovo esame a diversa sezione della CTR della Campania, che accerterà la strumentalità o meno del costo invocata dalla contribuente sulla base delle disposizioni normative sopra indicate, facendo altresì corretta applicazione dell’onere di distribuzione della prova in tema di deducibilità dei costi. Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese di questa fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale della Campania.

Così deciso in Roma, il 11 luglio 2019.

Depositato in cancelleria il 19 dicembre 2019

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