Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3407 del 13/02/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 3407 Anno 2018
Presidente: CHIARINI MARIA MARGHERITA
Relatore: RUBINO LINA

ha pronunciato la seguente

CC

ORDINANZA

sul ricorso 4013-2016 proposto da:
GHISU GIANNA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
PARAGUAY 5, presso lo studio dell’avvocato ROSARIO
SICILIANO, rappresentata e difesa dall’avvocato
NICOLETTA PIPPI giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro

D’ALESSANDRO SERGIO, D’ALESSANDRO MARIO, D’ALESSANDRO
2017
2007

ANTONIO nato a il 03/08/1951, D’ALESSANDRO ANNA, DI
LORENZO

MARIA

PALMA,

D’ALESSANDRO

ANTONIO,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ILDEBRANDO
GOIRAN, 23, presso lo studio dell’avvocato UGO SARDO,
che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

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Data pubblicazione: 13/02/2018

MASSIMO GROTTI giusta procura speciale notarile;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 1074/2015 della CORTE D’APPELLO
di FIRENZE, depositata il 31/07/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 19/10/2017 dal Consigliere Dott. LINA

RUBINO;

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R.G. 4013\ 2016

I FATTI DI CAUSA
1.Ghisu Gianna propone ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, nei
confronti di Di Lorenzo Maria Palma, D’Alessandro Mario, Antonio (nato nel
1958), Sergio, Anna e Antonio (nato nel 1951) per la cassazione della sentenza

Rappresenta che i controricorrenti nel 2013 la convenivano in giudizio dinanzi
alla sezione specializzata agraria del Tribunale di Montepulciano, chiedendo che
si dichiarasse la risoluzione del contratto preliminare di compravendita del 2009
con il quale essi le avevano promesso in vendita le rispettive quote di proprietà
di un immobile in Torrita di Siena composto da terreno e fabbricati, per
inadempimento della promittente acquirente, e la risoluzione, sempre per
inadempimento della Ghisu, dei due contratti di affitto agrario sottoscritti
contestualmente, grazie ai quali la Ghisu era stata immessa nell’immediato
godimento degli immobili.
La ricorrente preliminarmente eccepiva l’improcedibilità della domanda di
risoluzione del contratto di affitto agrario per mancanza della tempestiva
contestazione degli inadempimenti, e in via riconvenzionale chiedeva l’emissione
di sentenza ex art. 2932 c.c., previa riduzione del prezzo in considerazione
dell’esistenza di una servitù. In caso di accoglimento della domanda di rilascio,
chiedeva le fosse riconosciuto il corrispettivo per i miglioramenti eseguiti negli
immobili, con diritto di ritenzione fino all’avvenuto pagamento.
2.11 Tribunale di Siena, all’esito del giudizio di primo grado, accoglieva le
domande principali, pronunciando la risoluzione sia del preliminare di
compravendita sia dei contratti di affitto agrario e condannando la Ghisu al
rilascio degli immobili.
3.La Corte d’Appello rigettava l’istanza di sospensione della provvisoria
esecutività della sentenza formulata dalla ricorrente, affermando che la richiesta
di un termine di grazia non potesse essere presa in considerazione in quanto
formulata non incondizionatamente, quindi rigettava l’appello della Ghisu.
In particolare, per quanto qui ancora interessa, la sentenza d’appello:
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n. 1074\2015, depositata dalla Corte d’Appello di Firenze il 31 luglio 2015.

- pur affermando che la domanda giudiziale di risoluzione proposta senza il
preventivo adempimento di cui all’art. 5 della I. n. 203 del 1982 non si sottrae
alla sanzione di improponibilità, rilevava che la funzione della preventiva
contestazione è quella di permettere la sanatoria delle inadempienze da parte
del conduttore e consentire in tal modo il recupero del rapporto contrattuale, e
pertanto che essa non abbia ragion d’essere quando, come nella specie,

immmodificabile o in una violazione irreversibile o in un comportamento
integrante reato, essendo in sé insanabili” (a causa degli illeciti edilizi realizzati
sul fondo dalla Ghisu, fonte anche di responsabilità penale per il proprietario, e
dell’inadempimento oltreannuale all’obbligo di pagare il canone);
– sulla domanda di concessione del termine di grazia, proposta dalla Ghisu, la
ritiene inaccoglibile in quanto condizionata all’accoglimento della domanda
avversaria;
– quanto alle domande della Ghisu, volte al riconoscimento della indennità per i
miglioramenti fondiari apportati alla proprietà degli appellanti, riteneva valida la
rinuncia ad ogni indennità, contenuta nel contratto di affitto stipulato con
l’assistenza delle associazioni di categoria e riteneva inammissibile, in quanto
domanda nuova, la domanda di corresponsione di una indennità relativa al
contratto preliminare di compravendita (del quale escludeva ogni collegamento
negoziale con quello di affitto);
– da ultimo, la sentenza evidenziava che l’esistenza di irregolarità edilizie,
culminate nell’emissione di un ordine di demolizione, fosse di per sé
incompatibile con la nozione di “miglioramenti”.
4. Resistono i signori Di Lorenzo e D’Alessandro con controricorso.
La causa è stata avviata alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il Procuratore generale non ha formulato conclusioni scritte.
LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo e il secondo motivo, congiuntamente trattati, la
ricorrente denuncia la violazione dell’art. 5, commi 2 e 3 della legge n. 203 del
1982, nonché dell’art. 324 c.p.c. e dell’art. 115 c.p.c.
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l’inadempimento sia di tale gravità da concretarsi in “una situazione

Torna a contestare il punto della sentenza di appello che non ha accolto la sua
eccezione pregiudiziale di improponibilità della domanda di risoluzione, perché
non preceduta dalle contestazioni e dalle richieste di adempimento previste
dall’art. 5 citato, e contesta la statuizione di risoluzione per suo inadempimento
del contratto di affitto agrario.
I motivi sono inammissibili.

eccessivamente generiche le contestazioni preventive mosse dalla proprietà,
ma, in relazione alla situazione concreta, in cui la Ghisu aveva eseguito sul fondo
interventi abusivi non autorizzati e di tale gravità da causare l’emissione di un
decreto penale di condanna proprio per aver falsamente dichiarato nella D.i.a.
di essere in possesso della autorizzazione dei concedenti ad eseguire i lavori, ha
ritenuto che tale comportamento, inadempiente agli obblighi di corretta gestione
del bene che gravano sull’affittuario, fosse di gravità tale da recidere
immediatamente il rapporto di fiducia tra le parti rendendo superflue le
preventive contestazioni in quanto il rapporto, per la gravità degli inadempimenti
della conduttrice, era irrecuperabile.
E soprattutto, dato del quale la ricorrente non fa alcuna menzione in quanto non
contesta affatto l’esistenza della morosità, a pag. 14 della sentenza impugnata,
la corte d’appello riconduce la condizione di proponibilità dell’azione, in via
principale, al dato obiettivo della sussistenza di una morosità ultrannuale,
integrante di per sé grave inadempimento, come previsto espressamente
dall’art. 5 comma 4 della legge n. 203 del 1982, che stabilisce che la morosità
del conduttore costituisca grave inadempimento ai fini della pronuncia di
risoluzione del contratto ove si concreti nel mancato pagamento del canone per
“almeno una annualità”.
Le censure non si dirigono quindi verso il punto fondamentale della decisione, il
che le rende inammissibili per difetto di interesse, sulla base del consolidato
principio secondo il quale (da ultimo, Cass. n. 18641 del 2017) ove la sentenza
sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali
giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata,
l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di
5

Come la ricorrente stessa ricorda, la corte d’appello ha in effetti ritenuto

interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva
l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso
l’annullamento della sentenza.
Né potrebbe darsi spazio in questa sede ad un nuovo accertamento sulla gravità
di tale inadempimento, trattandosi di accertamento in fatto.
Con il terzo motivo, la ricorrente deduce la violazione degli artt. 324, 342 e

Contesta la statuizione impugnata laddove non le è stato concesso un termine
di grazia per sanare la morosità.
Sostiene che il tribunale avrebbe ritenuto validamente richiesto il termine, ma
poi non l’avrebbe concesso ritenendo che esso fosse da ritenersi incluso nel
termine a comparire concesso su richiesta della resistente.
Sostiene altresì che, non avendo la proprietà proposto appello incidentale, la
questione della genericità o meno della richiesta di concessione del termine di
grazia fosse da ritenere coperta da giudicato e non più sindacabile, rimanendo
aperta in appello soltanto la questione se la concessione del termine a comparire
fosse o meno idonea ad integrare la concessione di un termine di grazia.
Sostiene infine che la corte d’appello, avendo ritenuto che la richiesta di
concessione del termine di grazia non potesse essere presa in considerazione in
quanto non incondizionata, abbia violato il divieto della reformatio in pejus, non
essendo stato proposto appello sulla specifica questione.
Il motivo è anch’esso inammissibile, per difetto di specificità, perché non fa alcun
riferimento ai punti della sentenza di appello ai quali muove delle generiche
critiche, ed anche infondato, in quanto contiene un vago quanto infondato
riferimento alla formazione di un giudicato interno sul punto senza considerare
che, avendo il tribunale rigettato l’istanza della ricorrente volta alla concessione
di un autonomo termine di grazia (che non fosse cioè implicitamente incluso nel
termine per integrare le proprie difese concesso alla Ghisu), nessun interesse
avrebbero avuto i locatori ad impugnare la decisione sul punto.
Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 112, 324,
342, 343 c.p.c. e 936 c.c.

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189 c.p.c. , nonché l’esistenza del vizio di omessa motivazione.

Attacca il punto della sentenza di appello con il quale è stato confermato il rigetto
della sua domanda volta al riconoscimento dei miglioramenti apportati ai beni
immobili oggetto del contratto di affitto (in quanto era espressamente previsto
nel contratto di affitto che gli stessi, anche se autorizzati, sarebbero rimasti ad
esclusivo carico della parte convenuta) ed è stata ritenuta inammissibile, in
quanto domanda nuova proposta per la prima volta in appello, la domanda volta

preliminare di vendita.
Afferma che la corte non avrebbe ben considerato il collegamento negoziale
esistente tra i due contratti, il preliminare di compravendita da un lato e il
contratto di affitto agrario dall’altro, ed il fatto che l’esecuzione delle migliorie
fosse anche finalizzata al fatto che la conduttrice si avviava a diventare
proprietaria degli immobili sui quali aveva fatto eseguire i lavori.
Il motivo è infondato.
La censura in primo luogo non è correttamente formulata: nella epigrafe, non è
denunciata la violazione dell’art. 437 c.p.c. e soprattutto, nel corpo del motivo
viene sostanzialmente denunciata la violazione del giudicato interno, che
avrebbe dovuto esser denunciata non come violazione di legge, ma come ipotesi
di nullità della sentenza, riconducibile quindi alla diversa ipotesi di cui all’art.
360, primo comma, n. 4 c.p.c.
Il contenuto del motivo è anche contraddittorio con l’affermazione preliminare
contenuta nel ricorso – finalizzata forse a non elevare la misura del contributo
unificato dovuto – secondo la quale la stessa ricorrente ha dichiarato di non voler
impugnare il capo della sentenza che statuisce la risoluzione del contratto
preliminare di compravendita, la cui statuizione è ormai passata in giudicato ed
impedirebbe comunque di apprezzare l’esistenza di un collegamento negoziale
tra un contratto la cui risoluzione è ancora sub iudice ( quello di affitto) ed uno
già risolto e quindi eliminato dall’ordinamento in virtù del passaggio in giudicato
sul punto della sentenza di appello.
La ricorrente vorrebbe superare la statuizione di inammissibilità per novità della
domanda – che non contesta nella sua fondatezza – affermando di aver
formulato sin dal primo grado domanda di riconoscimento delle migliorie in
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al riconoscimento degli incrementi di valore apportati al bene in relazione al

relazione al contratto di affitto agrario – rigettata per i motivi sopra indicati, e
perché a suo dire, sulla base di una affermazione contenuta nella sentenza di
primo grado, che dà rilro al collegamento esistente tra i due contratti, sarebbe
ormai passato in giudicato l’accertamento dell’esistenza di un collegamento
negoziale, che consentirebbe di far valere quelle migliorie nell’ambito del diverso
rapporto tra promittente acquirente e promissario alienante.

dei limiti della progressiva formazione del giudicato interno, che non merita di
essere però espressamente affrontata in relazione alla fattispecie in esame, in
quanto la formazione del giudicato interno può avvenire a fronte della
una statuizione in merito ad esse da

proposizione di specifiche domande

parte del primo giudice, ma ts,h9, nonjualsiasi affermazione, avente la funzione
di integrare la motivazione anche mediante considerazioni del giudice su alcune
caratteristiche del rapporto giuridico devoluto alla sua cognizione che non sono
direttamente oggetto di domande della parti, possa essere estrapolata dal
contesto – come nella specie – al fine di attribuire ad essa attitudine alla
formazione del giudicato sul punto quando esso non sia stato un punto
controverso sottoposto all’ esame del giudice ed oggetto di decisione.
Nel caso di specie la ricorrente non ha minimamente allegato, né dimostrato con
uno specifico riferimento ai propri atti di parte, di aver posto una domanda di
accertamento della esistenza del collegamento negoziale tra i due contratti, né
tanto meno ha chiaramente precisato quali conseguenze, da tale eventuale
allegazione, voleva che fossero tratte ed in particolare che da essa si dovesse
cr
desumere -fa—GGns~-tita _fiti lavori eseguiti sugli immobili all’interno del
rapporto di compravendita oltre che all’interno del rapporto di affitto. Neppure
indica con precisione il passo della sentenza di primo grado, né precisa la
collocazione della sentenza nel fascicolo di parte, allo scopo di consentire al
collegio la necessaria verifica e rispettare le prescrizioni dell’art. 366 n. 6 c.p.c.
Sulla base di questi elementi, deve escludersi che sulla questione del
collegamento negoziale si sia formato un giudicato interno idoneo a precludere,
al giudice di appello, di dichiarare legittimamente che la domanda di

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Anche questo motivo di ricorso indirettamente evoca la complessa questione

corresponsione delle indennità per i miglioramenti apportati ai beni oggetto di
contratto preliminare fosse domanda nuova.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.
Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio
2013, e la ricorrente risulta soccombente, tuttavia si tratta di controversia in

importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso
principale, a norma del comma 1 bis dell’ art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Pone a carico della ricorrente le spese di giudizio
sostenute dalla parte controricorrente, che liquida in complessivi euro 5.400,00
oltre 200,00 per esborsi, oltre contributo spese generali ed accessori.
Dà atto della insussistenza dei presupposti per il versamento da parte della
ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso principale.
Così deciso nella camera di consiglio della Corte di cassazione il 19 ottobre 2017

materia agraria, per la quale vale l’esenzione dall’obbligo di versare un ulteriore

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