Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34066 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 19/12/2019, (ud. 11/07/2019, dep. 19/12/2019), n.34066

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1821-2015 proposto da:

VICENZORO S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale

rappresentante p.t., rapp. e dif., in virtù di procura speciale in

calce al ricorso, dall’Avv. MASSIMO STEFANUTTI, unitamente al quale

è elett.te dom.to in ROMA, alla PIAZZA ISTRIA, n. 12, presso lo

studio dell’AVV. LIVIO VARDANEGA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore

p.t., dom.to ope legis in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI, n. 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 833/14 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

dell’UMBRIA, del VENETO, depositata il 23/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11/07/2019 dal Consigliere Dott. CHIESI GIAN ANDREA.

Fatto

OSSERVATO

che il 3.8.2011 l’AGENZIA DELLE ENTRATE notifiicò, nei confronti della VICENZORO S.R.L., un avviso di accertamento per ripresa I.V.A. relativa all’anno 2002, quale conseguenza dell’emissione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti;

che la società contribuente impugnò tali provvedimenti innanzi alla C.T.P. di Vicenza che, con sentenza 65/1/12, accolse il ricorso;

che, avverso tale decisione, l’AGENZIA DELLE ENTRATE propose gravame innanzi alla C.T.R. del Veneto che, con sentenza n. 833/14 del 23.5.2014, in accoglimento dell’appello ed in riforma della gravata sentenza, rigettò l’originario ricorso proposto dal contribuente, in via preliminare rigettando la richiesta di sospensione del processo formulata dalla difesa della società contribuente e, nel merito, ritenendo (a) la ripresa tempestiva, (b) gli atti istruttori sottesi all’avviso di accertamento legittimi, (c) l’onere della prova rispettato e (d) l’insussistenza degli estremi per procedere ad una compensazione infragruppo;

che avverso tale sentenza la VICENZORO S.R.L. IN LIQUIDAZIONE ha quindi proposto ricorso per cassazione, affidato a 5 motivi. Si è costituita, con controricorso, l’AGENZIA DELLE ENTRATE;

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo, parte ricorrente lamenta (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 5 e 4) la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 39, nella parte in cui – si opina – la C.T.R. avrebbe erroneamente disatteso la richiesta di sospensione del giudizio pendente innanzi a sè, in attesa della definizione del giudizio per querela di falso proposto dalla BALESTRA 1982 S.P.A. rispetto ad un p.v.c. che rappresenterebbe, a propria volta, la base del p.v.c. datato 29.10.2010 redatto nei confronti di essa VICENZORO e sotteso all’avviso di accertamento impugnato (cfr. ricorso, p. 5, sub 1, a-b);

che il motivo è inammissibile sotto molteplici profili;

che (a) non solo esso pecca di specificità (cfr. l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), per non riprodurre il p.v.c. oggetto della querela di falso in questione (sì da non consentire al Collegio, mediante la semplice lettura del ricorso, la verifica circa l’effettiva sussistenza del rapporto di pregiudizialità tra i due procedimenti), ma (b) parte ricorrente non ha neppure fornito la prova della persistente pendenza del giudizio asseritamente pregiudicante, prova tanto più necessaria se si considera che la sospensione del processo presuppone che il rapporto di pregiudizialità tra due cause sia concreto ed attuale, nel senso che la causa ritenuta pregiudiziale deve essere tuttora pendente, non giustificandosi diversamente la sospensione, che si tradurrebbe in un inutile intralcio all’esercizio della giurisdizione: sicchè, quando – come nella specie – una sentenza sia impugnata in cassazione per non essere stato il giudizio di merito sospeso in presenza di altra causa pregiudiziale, è onere del ricorrente provare che la causa pregiudicante sia pendente e resti presumibilmente tale sino all’accoglimento del ricorso, mancando, in difetto, la prova dell’interesse concreto e attuale all’impugnazione, perchè nessun giudice, di legittimità o di rinvio, può disporre la sospensione del giudizio in attesa della definizione di altra causa non più effettivamente in corso (cfr. Cass., Sez. 3, 10.11.2015, n. 22878, Rv. 638037-01);

che con il secondo motivo parte ricorrente lamenta (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 43, comma 3 e art. 57, commi 1 e 3, nonchè della L. n. 212 del 2000, art. 1, comma 1 e art. 3, commi 1 e 3, per non avere la C.T.R. rilevato l’intervenuta decadenza dell’Ufficio dal potere accertativo, essendo stato lo stesso notificato alla contribuente in data 3.8.2011, a fronte di una ripresa relativa all’anno d’imposta 2002 per il quale, stante la prescrizione dei reati sottesi – non opererebbe il raddoppio del termine decadenziale fissato dal citato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 43 comma 3, con conseguente decadenza dell’Ufficio dal potere accertativo in data 31.12.2007;

che il motivo è infondato;

che la censura in esame fonda sulla circostanza per cui il raddoppio del termine di decadenza dell’azione accertativa tributaria verrebbe meno nel caso – quale quello di specie – di reati già prescritti al momento dell’emissione dell’avviso di accertamento. Sennonchè tale conclusione non tiene conto del principio – condiviso anche dal giudice delle leggi (cfr. Corte Cost., sentenza n. 247 del 2011) e correttamente applicato, nell’occasione, dalla C.T.R. (cfr. motivazione, pp. 5-6, sub p.p. 8 e ss.) – per cui ai fini del raddoppio dei termini previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 rileva unicamente la sussistenza dell’obbligo di presentazione di denuncia penale, a prescindere dall’esito del relativo procedimento e nonostante l’eventuale prescrizione del reato, poichè ciò che interessa è solo l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato, atteso il regime di “doppio binario” tra giudizio penale e procedimento tributario (Cass., Sez. 6-5, 11.4.2017, n. 9322, Rv. 643795-01);

che con il terzo motivo parte ricorrente si duole (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e, in subordine, ai nn. 5 e 3 del medesimo articolo) della violazione dell’art. 355 c.p.p. e, in subordine, della L. n. 212 del 2000, art. 5, comma 2 e 7, per avere la C.T.R. ritenuto legittimi gli atti istruttori sottesi all’avviso di accertamento, nonostante la delega di indagine conferita alla G.d.F. riguardasse anni di imposta diversi da quello cui si riferisce l’avviso di accertamento impugnato;

che il motivo è inammissibile, difettando di specificità (cfr. l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), non avendo parte ricorrente trascritto in ricorso il contenuto della delega del 21 dicembre 2009 (cui si fa riferimento alla p. 13 dell’atto introduttivo dell’odierno giudizio di legittimità), asseritamente sottesa al p.v.c. redatto dalla G.d.F. in data 29.10.2010, a propria volta posto alla base dell’avviso di accertamento impugnato, sì da precludere al Collegio ogni valutazione, già in astratto, circa la fondatezza o meno della doglianza in esame; che con il quarto motivo la VICENZORO lamenta (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., per avere la C.T.R. erroneamente ritenuto provata l’insussistenza oggettiva delle operazioni contestate ad essa contribuente;

che il motivo – il quale disvela un presunto vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – è infondato, essendo sufficiente all’uopo evidenziare come la C.T.R. abbia chiarito compiutamente ed esaustivamente (cfr. pp. 8-9 della motivazione, sub p.p. 12.2 e ss.) quali siano gli elementi forniti dall’Ufficio e volti a suffragare l’inesistenza oggettiva delle operazioni contestate alla VICENZORO;

che con l’ultimo motivo parte ricorrente si duole (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) della violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 e dei principi espressi dalla Corte di Giustizia in tema di neutralità dell’I.V.A., per non avere la C.T.R. riconosciuto in ogni caso il diritto della contribuente a detrarre l’1.V.A. sulle operazioni contestate, operando un meccanismo di compensazione nella liquidazione I.V.A. in acquisto e vendita di ciascuna singola società;

che il motivo è infondato;

che nel caso di fatture emesse per operazioni oggettivamente inesistenti, il contribuente è tenuto a versare l’1.V.A. per l’intero ammontare indicato, fermo restando il suo diritto al rimborso dell’imposta versata qualora venga accertato dal giudice di merito che sia stato eliminato in tempo utile qualsiasi rischio di perdita del gettito fiscale, derivante dall’utilizzo della fattura ai fini della detrazione da parte del destinatario, quando la fattura non possa ritenersi emessa ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 1, ovvero quando sia stata emessa, ma tempestivamente ritirata dal destinatario, senza che quest’ultimo abbia potuto utilizzarla per finalità fiscali, o ancora quando l’Amministrazione abbia disconosciuto il diritto alla detrazione del destinatario con provvedimento definitivo o ritenuto legittimo con sentenza passata in giudicato (arg. da Cass., Sez. 6-5, 18.4.2019, n. 10974, Rv. 653953-01). Peraltro, come correttamente osservato dalla C.T.R. (cfr. p. 10, sub p. 13.1), in tema di I.V.A., il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, ai sensi del quale, se vengono emesse fatture per operazioni inesistenti, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare in esse indicato, va interpretato nel senso che, anche in considerazione della rilevanza penale di tale condotta, il corrispondente tributo viene considerato “fuori conto” e la relativa obbligazione “isolata” da quella risultante dalla massa di operazioni effettuate, senza che possa operare il meccanismo di compensazione, tra I.V.A. “a valle” ed I.V.A. “a monte”, che presiede alla detrazione d’imposta di cui al del citato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, il cui diritto è subordinato, quando si tratti di acquisto effettuato nell’esercizio dell’impresa, oltre che alla qualità d’imprenditore dell’acquirente, all’inerenza del bene acquistato all’attività imprenditoriale (cfr. Cass., Sez. 6-5, 6.7.2018, n. 17774, Rv. 649799-01);

ritenuto, in conclusione, che il ricorso debba essere rigettato, con la condanna della VICENZORO S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento, in favore dell’AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., delle spese del giudizio di legittimità;

che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis;

P.Q.M.

Rigetta il ricorso il ricorso. Per l’effetto, condanna la VICENZORO S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante p.t. al pagamento, in favore dell’AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 10.200,00 (diecimiladuecento/00) per compenso professionale, oltre spese prenotate a debito.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente VICENZORO S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante p.t., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Civile Tributaria, il 11 luglio 2019.

Depositato in cancelleria il 19 dicembre 2019

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