Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34054 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 19/12/2019, (ud. 12/06/2019, dep. 19/12/2019), n.34054

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

Dott. NOCELLA Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 150/2015 R.G. proposto da:

B.F., C.F. (OMISSIS), difeso, giusta procura speciale in

calce al ricorso, Francesco Tomassoni del Foro di Teramo, elett.

dom.torapp.to e dall’Avv. presso lo studio del medesimo in S.

Onofrio in Campli, Via dei Mirabili n. 25;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale per legge è dom.ta in Roma,

via dei Portoghesi n. 12;

– Controricorrente –

– Ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale

dell’Abruzzo, N. 533/02/2014, depositata il 13 maggio 2014, non

notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 giugno

2019 dal Consigliere Luigi Nocella;

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.F., esercente attività di lavoro autonomo, impugnava innanzi alla CTP di Teramo l’avviso di accertamento N. (OMISSIS), notificatole il 15.03.2012 dall’Agenzia delle Entrate della stessa città, all’esito di PVC del 26.09.2011 riassuntivo della verifica di natura finanziaria eseguita su C/C bancari e della fase di adesione conclusasi negativamente; avviso con il quale l’Agenzia, procedendo alla rideterminazione del reddito, aveva accertato, per l’esercizio 2009, maggiori ricavi per Euro 31.633,00 (in aggiunta ai dichiarati Euro 45.997,00), richiedendo maggior IRPEF, IRAP ed IVA, ed irrogando le connesse sanzioni.

Il ricorrente censurava l’accertamento, per quanto di residuo rilievo, lamentando omessa esibizione o allegazione dell’autorizzazione alle indagini bancarie, non imponibilità dei prelevamenti non giustificati e omessa giustificazione di una serie di operazioni attive e passive, nonchè illegittimità delle sanzioni perchè fondate su elementi meramente presuntivi.

Nel costituito contraddittorio con l’Agenzia resistente, fallito un tentativo di conciliazione, l’adita CTP pronunciava sentenza N. 106/01/2013, con la quale accoglieva parzialmente il ricorso e riduceva il maggior reddito da lavoro autonomo accertato ad Euro 59.330,00, ritenendo giustificate operazioni per complessivi Euro 18.300,00.

La CTR dell’Abruzzo, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto l’appello principale e, in parziale accoglimento di quello incidentale dell’Agenzia, ha rideterminato i maggiori compensi imponibili in complessivi Euro 18.833,33=, compensando le spese di lite.

Il Giudice d’appello, per quanto di residuo interesse nel presente giudizio, premesso che l’avviso impugnato era correttamente motivato sotto ogni profilo, ha rilevato: che le contestazioni del B. si fondavano sulla erronea equiparazione, ai fini dell’onere della prova trasferito sul contribuente dall’avvenuto accertamento di operazioni non contabilizzate, tra versamenti e prelevamenti, onere che invece il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e la costante giurisprudenza di legittimità, distinguono chiaramente; alla stregua di tale enunciazione di principio la CTR ha elencato le operazioni bancarie ritenute corroborate da sottostanti titoli e quindi giustificate, correggendo alcune valutazioni della CTP circa giustificazioni di operazioni passive e respingendo invece la censura circa le sanzioni applicate.

Il B. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, con ricorso notificato a mezzo del servizio postale il 24.12.2014, articolato su quattro motivi, ai quali l’Agenzia ha resistito con controricorso notificato il 2.02.2015, proponendo a sua volta ricorso incidentale fondato su unico motivo.

CONSIDERATO CHE.

Con il primo motivo il B. deduce violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e art. 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4. Secondo il ricorrente lo stringatissimo richiamo dell’avviso di accertamento al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 e ss., non soddisferebbe, come invece affermato apoditticamente dalla CTR, l’obbligo motivazionale imposto all’Ufficio accertatore, con conseguente lesione del diritto di difesa del contribuente; nè il richiamo al metodo di rettifica seguito dalla G.d.F. e richiamato dall’Agenzia può colmare la lacuna, poichè il richiamo all’art. 32 del D.P.R. cit., spiega la ricostruzione quantitativa dei maggiori ricavi, ma non integra motivazione circa il metodo di accertamento impiegato e circa i presupposti che lo hanno giustificato; tant’è che l’accertamento effettuato ai sensi dell’art. 38, se avesse considerato l’attività professionale del B., non avrebbe comportato la rideterminazione dell’IVA nè dell’IRAP.

Con il secondo motivo si lamenta violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.: nel richiedere al contribuente giustificazione dei movimenti di prelevamento fondata sull’identificazione dei destinatari delle somme prelevate e fornita in tempo utile per consentire all’Agenzia adeguati controlli, avrebbe posto a suo carico un onere probatorio non previsto dalla legge e di fatto diabolico; laddove il ricorrente avrebbe fornito prova dell’impiego del denaro relativo a tutti i movimenti in uscita, producendo fatture giustificative e/o assegni di pagamento, che spesso sono state valutate favorevolmente o sfavorevolmente in base a criteri del tutto contraddittori. In ogni caso invoca l’applicazione della sentenza n. 228/2014 della Corte Cost., come ulteriormente specificato nel 4 motivo (erroneamente indicato come 5).

Con il terzo motivo (indicato come quarto) il contribuente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, circa la domanda di applicazione della continuazione tra le singole sanzioni applicate ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 5. Evidenziata la genericità della motivazione della sentenza impugnata circa la legittimità del metodo di applicazione delle sanzioni, e l’omissione nell’avviso impugnato dell’indicazione della norma e della fattispecie applicata, evidenzia che, nonostante nell’atto d’appello fosse contenuta esplicita richiesta in tal senso, la CTR nulla avrebbe motivato circa la mancata applicazione del principio della continuazione alle diverse violazioni amministrative contestate.

L’Agenzia ha controdedotto sui singoli motivi, evidenziando preliminarmente l’inesattezza di alcune allegazioni in fatto del ricorrente; quindi articola a sua volta un motivo di ricorso incidentale condizionato per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che la CTR avrebbe fornito esplicita pronuncia, sia pure di infondatezza, alla doglianza, che il B. non aveva mai dedotto nel ricorso introduttivo, ma soltanto con l’atto di appello, circa una carenza motivazionale dell’atto di accertamento per mancata indicazione del metodo accertativo utilizzato (tema oggetto del primo motivo di ricorso) e della conseguente impossibilità di rideterminazione a suo carico di maggiori IVA ed IRAP: essendo inammissibile e tardiva l’introduzione del thema decidendum in appello, i Giudici di secondo grado non avrebbero dovuto pronunciare su detta eccezione o avrebbero dovuto dichiararla inammissibile.

Il ricorso incidentale dell’Agenzia è fondato, ed il suo accoglimento determina la declaratoria d’inammissibilità del 1 motivo di ricorso principale, con il quale deve essere esaminato congiuntamente.

Come puntualmente evidenziato dalla difesa erariale, nell’esposizione dei fatti posta a fondamento del ricorso principale il B. assume di aver dedotto, fin dall’originario ricorso in primo grado, un vizio di motivazione per mancata indicazione del metodo accertativo utilizzato; ma a tale enunciazione definitoria segue il richiamo di un unico passo che dovrebbe contenere la censura (sub 2.1 a pag.2), nel quale sono esposti profili meramente illustrativi della già dedotte violazioni formali del diritto di difesa e critiche sulle illegittime modalità di acquisizione delle notizie bancarie, affermazione correlabile alla già denunciata mancata allegazione di autorizzazione del Procuratore della Repubblica. Orbene, appare fin troppo evidente che una cosa è l’individuazione del metodo di accertamento utilizzato (analitico, induttivo o analitico-induttivo), elemento essenziale di validità dell’atto di accertamento, altra è l’indicazione dei motivi per i quali si è fatto ricorso alle indagini bancarie, estranei all’atto di accertamento ed attinenti piuttosto all’atto autorizzativo a monte dell’indagine tributaria.

Del resto neppure la lettura integrale dei motivi posti a fondamento del ricorso introduttivo prodotto in allegato all’odierno ricorso (pagg.3-9 sub a-b-c) consente di rilevare l’esistenza di altri passi dai quali evincere inequivocamente che l’omessa indicazione del metodo accertativo avesse costituito, sotto diversi profili, oggetto di censura da parte del ricorrente.

Orbene, l’introduzione, con l’atto d’appello, di un nuovo motivo di doglianza che introduce una diversa causa petendi, integra una domanda nuova inammissibile (cfr. Cass. sez.V 3.07.2015 n. 13742; Cass. sez.V 11.05.2007 n. 10779); e, come puntualmente dedotto dall’Agenzia nel motivo di ricorso incidentale (mezzo sovrabbondante in quanto essa, già vittoriosa nel merito, avrebbe potuto, come pure ha fatto – cfr. pagg.7-8 e 10-11 del controricorso – limitarsi a riproporre l’eccezione rilevabile d’ufficio -Cass. SU 2018 n. 13195), la CTR non avrebbe dovuto statuire nè motivare in ordine alla mai prima dedotta censura di difetto di motivazione circa il criterio accertativo seguito, ma avrebbe bensì dovuto limitarsi a dichiarare inammissibile il motivo di gravame, la cui proposizione si poneva in aperta violazione del disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57.

L’irrilevanza giuridica del capo di sentenza relativo alla predetta questione comporta l’inammissibilità del motivo di ricorso principale per carenza di interesse del B. a proporlo.

Il secondo ed il quarto motivo, come in premessa riassunti, sono fondati per quanto di ragione. La medesima Agenzia delle Entrate ha dato atto della fondatezza della tesi secondo la quale, in seguito al menzionato intervento della Corte Costituzionale, la presunzione di corrispondenza a compensi delle somme prelevate da conti correnti o altri rapporti bancari non può operare nei confronti di contribuenti non imprenditori, seppur limitatamente all’IRPEF, non essendo stata espunta dall’ordinamento la corrispondente norma del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, in tema di IVA che riverbera i suoi effetti anche sull’IRAP; ed ha rilevato che tutte le altre censure atterrebbero alle valutazioni probatorie spettanti ai Giudici di merito ed incensurabili in questa sede.

La corte deve rilevare che, pur essendo il motivo concepito al fine di ottenere l’annullamento dell’atto accertativo sia per i versamenti che per i prelevamenti, le doglianze in esso articolate concernono esclusivamente il criterio di apprezzamento delle giustificazioni fornite sui prelevamenti dai C/C: invero, mentre è stata articolata, sia pure esemplificativamente, una sommaria e parziale doglianza circa il criterio valutativo adottato per i prelevamenti (a pagg.12-13), in punto di pretesa valenza liberatoria della prova offerta per i versamenti difetta, al di là della mera evidenziazione di versamenti ritenuti non giustificati, qualsiasi allegazione e deduzione di contrasto alla pur specifica motivazione adottata, in ordine alle valutazioni effettuate, dalla CTR, la quale, dopo aver rilevato confusione, da parte dell’appellante oggi ricorrente, circa i diversi oneri probatori spettantile per contrastare le presunzioni fissate per i versamenti e per i prelevamenti, conclude che “la parte, per ottenere effetto liberatorio, deve

produrre documentazione specifica Dalla lettura della sentenza (n. d.e.: di primo grado) si evidenzia un vizio in quanto vengono riconosciuti i versamenti provenienti dalla sorella del ricorrente, B.M., in quanto riferibili ad operazioni non imponibili, in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, sia in ragione di quanto affermato dalla Corte di Cassazione in merito all’assolvimento dell’onere probatorio, cui la parte deve assolvere relativamente ai versamenti”; passando poi ad esaminare le documentate destinazioni dei prelevamenti.

In assoluta mancanza di puntuali censure concretamente riferibili al criterio valutativo della prova adottato dalla CTR, pertanto, il motivo, articolato come violazione di legge ed in particolare dell’art. 2697 c.c., appare privo non solo di autosufficienza per la carente menzione della natura dei versamenti, delle giustificazioni e documentazioni addotte e del criterio probatorio violato, ma bensì anche di qualsivoglia concreta censura in ordine alla motivazione circa la valenza delle specifiche prove acquisite e valorizzate dal Giudice d’appello e deve essere perciò ritenuto, in parte qua, inammissibile.

Per quanto concerne invece i prelevamenti, la Corte non può che prendere atto della sopravvenuta statuizione di Corte Cost.,24 settembre 2014 n. 228, con la quale è stata espunta dall’ordinamento la presunzione di maggiori ricavi per i prelevamenti da rapporti bancari effettuati da titolari non imprenditori, che pertanto non può essere legittima causale di accertamento di maggiori ricavi a carico del ricorrente, ancorchè in assenza di prova circa l’utilizzo delle corrispondenti somme ad usi estranei all’esercizio dell’attività professionale. Tale sopravvenuta modifica del testo normativo assorbe ogni ulteriore necessità di esame delle censure del ricorrente circa il corretto impiego dei principi in tema di prova.

La Corte, pur dando atto che le allegazioni dell’Agenzia paiono corrispondere alla progressione della vicenda accertativa e del successivo giudizio di merito, non può non rilevare che la rideterminazione degli imponibili in virtù della successione delle pronunce di merito e della presente statuizione non può essere effettuata se non attraverso un penetrante e completo esame di riscontro della documentazione prodotta in giudizio e degli atti processuali, che potrebbe richiedere anche valutazioni in fatto e riesame della documentazione, esulanti dai limiti della cognizione del Giudice di legittimità e demandati al giudice di merito, al quale occorre rinviare l’accertamento circa residue operazioni di prelevamento in ordine alle quali il ricorrente è rimasto soccombente, con conseguente necessità di pronuncia sulle stesse alla luce dell’invocata pronuncia della Corte Costituzionale.

L’accoglimento del ricorso, sia pure in parte qua, determina la necessità di riesaminare e riquantificare le sanzioni applicabili, all’esito del riesame della quantificazione delle residue imposte dovute rimesso al Giudice di rinvio, anche con riferimento ai criteri giuridici di applicazione delle medesime, con conseguente assorbimento del quarto motivo di ricorso, vertente appunto sulla questione dell’applicabilità del cumulo giuridico, nella forma della continuazione, alle sanzioni che risulteranno dovute.

Il giudizio dovrà pertanto essere rimesso, per il nuovo esame e la statuizione in ordine al motivo accolto ed alle spese, anche di questa fase del giudizio, alla CTR dell’Abruzzo in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso incidentale, dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso principale, accoglie il secondo e il quarto (nei limiti di cui in motivazione) e, assorbito il terzo, cassa e rinvia alla CTR Abruzzo in diversa composizione per nuovo esame e decisione anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019

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