Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3404 del 12/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 12/02/2010, (ud. 11/12/2009, dep. 12/02/2010), n.3404

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Banca delle Marche s.p.a., con sede in (OMISSIS), in persona

del

presidente del consiglio di amministrazione P.T.,

rappresentata e difesa per procura a margine del controricorso

dall’Avvocato Prosperi Mangili Lorenzo, elettivamente domiciliata

presso il suo studio in Roma, via Giovanbattista Vico n. 1;

– ricorrente –

contro

Ministero delle Finanze e Agenzia delle Entrate, in persona

rispettivamente del Ministro e del Direttore pro tempore,

rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

cui domiciliano in Roma, via dei Portoghesi n. 12.

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2111 della Commissione tributaria centrale di

Roma, depositata il 7.3.2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11.12.2009 dal consigliere relatore dott. Mario Bertuzzi;

Viste le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. ABBRITTI Pietro, che ha chiesto il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Cassa di risparmio della provincia di Macerata, ora Banca delle Marche, propose ricorso dinanzi alla Commissione tributaria di primo grado di Macerata avverso il silenzio rifiuto formatosi da parte dell’Amministrazione finanziaria sulla propria istanza di rimborso, presentata i 20.6.1986, della maggior somma pagata a titolo di irpeg ed Ilor per l’anno 1985, assumendo di avere, in sede di dichiarazione, erroneamente esclusi dal numeratore e dal denominatore del rapporto proporzionale di cui al D.P.R. n. 597 del 1973, art. 58 gli interessi di mora sui crediti in sofferenza di competenza dell’esercizio, non incassati.

Il giudice di primo grado accolse il ricorso ma, in sede di gravame, la Commissione tributaria di secondo grado, accogliendo l’appello dell’Ufficio, dichiarò infondata l’istanza di rimborso.

Proposto ulteriore gravame, con sentenza n. 2111 del 7.3.2005, la Commissione tributaria centrale confermò la decisione impugnata, osservando, in relazione al tema controverso, che le somme dovute per interessi di mora sui crediti in sofferenza, non avendo carattere di certezza, era stati correttamente azzerati dalla Banca mediante la loro apposizione contabile ai costi, e quindi non potevano essere calcolati ai fini della determinazione del reddito, sicchè era venuto meno il presupposto di legge per comprendere tali interessi nel rapporto proporzionale di cui al D.P.R. n. 597 de 1973, citato art. 58.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 24.4.2006, ricorre.

sulla base di un solo motivo, la società Banca delle Marche.

Il Ministero delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate resistono con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’unico motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 58. 66 e 74 ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto che gli interessi di mora sui crediti in sofferenza di competenza dell’esercizio, avendo ricevuto per gli importi corrispondenti appositi accantonamenti, sarebbero stati in concreto azzerati e quindi non avrebbero inciso sul reddito di impresa, con conseguente loro non computabilità nel rapporto proporzionale di cui al citato art. 58. Sostiene in contrario la società ricorrente che una corretta lettura di tale disposizione porta ritenere che gli interessi di mora, essendo proventi che, pur non incassati, concorrono alla formazione del reddito imponibile, a nulla rilevando eventuali accantonamenti per rischi, possono essere inclusi sia nel numeratore che nel denominatore del rapporto di deducibilità. Il motivo è fondato.

Il Collegio è dell’avviso di dover dare continuità all’orientamento più volte affermato da questa Corte in tema di computo degli interessi sotto il vigore del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 58 favorevole a ritenere che gli interessi di mora su crediti in sofferenza maturati nel periodo di imposta possano essere computati ai fini del rapporto di deducibilità previsto da tale disposizione (Cass. 21.11.2001 n. 14695; Cass. n. 8994 del 2004; Cass. n. 15536 del 2004).

Tale rapporto consiste in una frazione, al cui numeratore vanno conteggiati i “ricavi ed altri proventi che concorrono a formare il reddito di impresa, comprese le plusvalenze patrimoniali e le sopravvenienze attive”, mentre al denominatore vanno computati “tutti i ricavi e proventi, compresi quelli che fruiscono di esenzioni ed esclusi quelli soggetti a ritenuta alla fonte”. Ciò posto, la tesi in ordine alla pretesa esclusione dal denominatore della citata frazione degli interessi di mora in questione non appare condivisibile, perchè essi vanno inclusi in ogni caso, sia che vengano considerati esenti da imposta, sia che vengano assoggettati ad imposta. Tali interessi, inoltre, vanno inclusi anche nel numeratore, perchè costituiscono crediti maturati nel periodo di imposta e come tali concorrono a formare i ricavi.

Si consideri, del resto, che tra le deroghe stabilite dallo stesso art. 58 alla regola generale di deducibilità di tali interessi non risulta compresa quella relativa agli interessi di mora per crediti in sofferenza, sicchè per questi va seguita la regola generale della computabilità.

In conclusione il ricorso è accolto e la sentenza cassata;

sussistendone le condizioni, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito con l’accoglimento del ricorso introduttivo della banca contribuente.

Le ragioni della decisione e la non univocità di soluzione, all’epoca della presentazione del ricorso, delle questioni trattate integrano giusti motivi per compensare le spese di lite.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito.

accoglie il ricorso introduttivo della contribuente. Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2010

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