Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34034 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. II, 19/12/2019, (ud. 08/11/2019, dep. 19/12/2019), n.34034

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21734/2016 proposto da:

T.M. E C. SNC, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RENO

30, presso lo studio dell’avvocato ROSELLA RADOCCHIA, rappresentata

e difesa dall’avvocato CESARE FRANCIA;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA DI FORLI’-CESENA, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO

VITTORIO EMANUELE II, 18, presso lo studio dell’avvocato GREZ E

ASSOCIATI STUDIO, rappresentata e difesa dall’avvocato GIAMPAOLO

DACCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1103/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 24/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/11/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La T.M. & c. s.n.c. propone ricorso articolato in sei motivi avverso la sentenza n. 1103/2016 della Corte d’appello di Bologna, pubblicata il 24 giugno 2016.

Resiste con controricorso la Provincia di Forlì-Cesena.

La società T.M. & c. propose opposizione contro l’ordinanza ingiunzione L. n. 689 del 1981, ex art. 18, n. 398/2006 del 26 aprile 2006 emessa dalla Provincia di Forlì-Cesena in base a verbale di contestazione della Guardia di Finanza – sezione navale di Rimini, per violazione del D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209, art. 5, comma 9 (“Attuazione della direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso”), accertata il 7 marzo 2005. L’opposizione venne rigettata in primo grado dal Tribunale di Forlì, sezione distaccata di Cesena, con sentenza n. 326/2009. Proposta impugnazione, la stessa fu respinta con sentenza della Corte d’appello di Bologna del 24 giugno 2016. La Corte d’appello affermò che il Tribunale aveva legittimamente disposto l’integrazione della prova testimoniale, ordinando l’escussione anche degli agenti accertatori della Guardia di Finanza, nell’esercizio dei poteri istruttori concessi al giudice dalla L. n. 689 del 1981. Le dichiarazioni dei verbalizzanti, il verbale di contestazione e l’ordinanza ingiunzione avevano così permesso di accertare che il 7 marzo 2005 presso la sede della società T.M. & c. si trovava l’autoveicolo fuori uso targato FO 901969 in fase di “trattamento” ai sensi del D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209, senza che ne fosse stata effettuata ancora la cancellazione dal PRA prevista dall’art. 5, comma 8, di tale D.Lgs., essendo il signor T.M. in possesso dei documenti concernenti il proprietario dell’auto e della targa dello stesso.

La trattazione del ricorso è stata fissata in Camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e art. 380 bis.1 c.p.c..

Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

I. Il primo motivo di ricorso della T.M. & c. s.n.c. deduce la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 23 e dell’art. 244 c.p.c., per avere la Corte d’appello ritenuto ammissibile il deposito davanti al giudice di primo grado di una memoria della Provincia di Forlì-Cesena contenente nuove deduzioni istruttorie dopo che la causa era stata rinviata per le conclusioni (in una prima memoria istruttoria la difesa della Provincia di Forlì-Cesena aveva fatto riferimento ad un diverso autoveicolo, estraneo alle vicende di causa). La ricorrente invoca il rispetto del principio di unità della prova testimoniale ex art. 244 c.p.c..

Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697,2699 e 2700 c.c.. La censura richiama gli esiti delle prove testimoniali articolate dalla società ricorrente per dimostrare che l’autoveicolo in questione non era in fase di “trattamento” al momento della verifica della Guardia di Finanza. Le risultanze emergenti su tale punto nel verbale di contestazione dell’infrazione e nella ordinanza ingiunzione, a dire della ricorrente, sarebbero generiche, non avendo attestato il distacco dei cavi di collegamento della batteria e di chiusura delle valvole dell’impianto di alimentazione dell’autoveicolo.

Il terzo motivo di ricorso allega la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e l’omesso esame o omessa valutazione di elementi istruttori risultanti dalle prove testimoniali assunte su richiesta della società opponente. Il motivo contiene quindi la trascrizione integrale della “memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2” presentata dalla T.M. & c. s.n.c., come anche dei verbali di assunzione della prova per testimoni.

Il quarto motivo di ricorso della T.M. & c. s.n.c. deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 203 del 2003, artt. 5 e 3, avendo la Corte d’appello ritenuto doverosa la “immediata cancellazione dal PRA del veicolo fuori uso”, sicchè il titolare del centro di raccolta non avrebbe potuto attendere il giorno successivo per procedere alla restituzione dei documenti e delle targhe relativi all’autovettura. La censura evidenzia che IL D.Lgs. n. 203 del 2003, art. 5, comma 8, nella formulazione vigente all’epoca del fatto, prevedeva invece un termine di tre giorni dalla presa in carico per provvedere alla cancellazione presso il PRA.

Il quinto motivo di ricorso allega la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e l’erronea valutazione di un fatto decisivo, quanto alla circostanza, enunciata nell’impugnata sentenza, che il veicolo targato (OMISSIS) fu rinvenuto dagli agenti della Guardia di Finanza “privo di motore”.

I.1. I primi cinque motivi di ricorso possono esaminarsi congiuntamente, in quanto connessi.

Sono da dichiarare dapprima inammissibili tutte le censure di “omesso esame e/o valutazione” di elementi istruttori e risultanze probatorie. Come da questa Corte ormai chiarito, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Costituisce, peraltro, un “fatto”, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. Sez. 1, 04/04/2014, n. 7983; Cass. Sez. 1, 08/09/2016, n. 17761; Cass. Sez. 5, 13/12/2017, n. 29883; Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152; Cass. Sez. U., 23/03/2015, n. 5745; Cass. Sez. 1, 05/03/2014, n. 5133).

Sono anche manifestamente infondate le denunce di violazione dell’art. 2697 c.c., che la ricorrente effettua nel secondo, terzo e quinto motivo non per rappresentare propriamente che il giudice del merito abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata secondo le regole di scomposizione della fattispecie di causa, basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, ma per criticare la valutazione che la Corte d’appello ha svolto circa le prove proposte dalle parti. Con le censure indicate la ricorrente auspica, piuttosto, che la Corte di Cassazione proceda motu proprio ad un complessivo riesame delle emergenze istruttorie costituite dalle prove per testimoni e dalle risultanze dei documenti del procedimento sanzionatorio, in maniera da far desumere alla medesima Corte in via inferenziale, mediante un diretto e rinnovato studio del materiale di causa, una diversa conclusione circa la sussistenza di un “trattamento” dell’autoveicolo fuori uso (OMISSIS) operato dalla T.M. & c. prima di aver provveduto alla cancellazione dal PRA.

Il primo motivo di ricorso, sulla tardività delle prove per testi dedotte dalla Provincia di Forlì-Cesena, è poi privo di specifica riferibilità agli argomenti decisori espressi sul punto dalla Corte d’appello. E’ vero che, poichè nel giudizio di opposizione ad ordinanza – ingiunzione (nella specie disciplinato ratione temporis della L. 24 novembre 1981, n. 689, artt. 22 e segg.) si applicano le regole proprie del processo civile, nella istruzione della causa va comunque rispettato il principio dell’unità della prova testimoniale posto dall’art. 244 c.p.c., sicchè è inammissibile la richiesta della parte di assunzione di tale prova sugli stessi fatti oggetto della prova testimoniale già espletata (cfr. Cass. Sez. 1, 06/11/2006, n. 23636; Cass. Sez. 1, 12/11/1992, n. 12186). La Corte d’appello ha tuttavia giustificato la legittimità dell’audizione degli agenti accertatori della Guardia di Finanza da parte del Tribunale sulla base dei poteri concessi dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 23, comma 6 (sempre operante ratione temporis), secondo cui “nel corso del giudizio il giudice dispone, anche d’ufficio, i mezzi di prova che ritiene necessari e può disporre la citazione di testimoni anche senza la formulazione di capitoli”.

La L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 23, comma 6, secondo l’interpretazione di questa Corte, configura una facoltà del giudice, il cui esercizio è rimesso al prudente apprezzamento da parte del medesimo della circostanza che i mezzi istruttori siano “necessari”. Dovendo, in particolare, il giudice dell’opposizione verificare la fondatezza della pretesa sanzionatoria, il rapporto e gli atti relativi all’accertamento ed alla contestazione della violazione costituiscono la base di partenza dell’indagine giudiziale, che può essere tuttavia eventualmente integrata con quei chiarimenti che il giudicante, attraverso l’esame dei verbalizzanti, come ritenuto nel caso di specie, ritenga necessari ai fini della verifica della consistenza dell’addebito o, per converso, dei motivi di opposizione. Pertanto, rinvenendosi nella L. n. 689 del 1981, art. 23, una compiuta ed esaustiva disciplina dell’ammissione dei mezzi di prova, con previsione al riguardo di un’ampia discrezionalità del giudice e con assenza di termini perentori o di sanzione di decadenza a carico delle parti, non possono contestarsi le risultanze della prova testimoniale dei verbalizzanti ammessa d’ufficio sol perchè l’autorità autrice dell’ordinanza aveva formulato tardivamente le proprie richieste istruttorie (arg. da Cass. Sez. L, 11/04/2014, n. 8572; Cass. Sez. 2, 14/08/2007, n. 17696; Cass. Sez. L, 29/11/2005, n. 25945).

La sentenza impugnata ha comunque decisivamente tratto da quanto attestato nel verbale di contestazione del 12 aprile 2005 (oltre che dalle testimonianze) e nella ordinanza ingiunzione la prova che in data 7 marzo 2005 (giorno dell’accertamento) fosse in corso presso la sede della società T.M. & c. la fase di “trattamento”, ai sensi del D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209, dell’autoveicolo fuori uso targato (OMISSIS) (avendo trovato il veicolo con i cavi della batteria staccati, le valvole dell’impianto GPL chiuse, privo di ruote e di alcune parti della carrozzeria), in difetto della preventiva cancellazione dal PRA (giacchè T.M. era in possesso dei documenti concernenti il proprietario dell’auto e della targa dello stesso). Lo stesso T.M. aveva dichiarato ai verbalizzanti che il veicolo era stato ritirato lo stesso 7 marzo 2005 e che la consegna al PRA dei documenti e delle targhe sarebbe stata effettuata il giorno successivo.

Il D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209, art. 5, comma 8, nella formulazione vigente all’epoca dei fatti di causa (prima, perciò, delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 149 del 2006, dal D.L. n. 135 del 2009, dalla L. n. 96 del 2010 e dalla L.n. 217 del 2011), stabilisce che la cancellazione dal PRA del veicolo fuori uso avviene esclusivamente a cura del titolare del centro di raccolta, ovvero del concessionario o del gestore della succursale della casa costruttrice o dell’automercato, dovendo detto concessionario o gestore o titolare “entro tre giorni dalla consegna del veicolo” restituire il certificato di proprietà, la carta di circolazione e le targhe relativi allo stesso. Dell’art. 5, comma 9, dispone, poi, che il titolare del centro di raccolta, dopo la cancellazione dal PRA dello stesso veicolo effettuata secondo le indicate modalità, può procedere al trattamento del veicolo fuori uso. La violazione delle disposizioni dell’art. 5, commi 8, 9, 10 e 11, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 5.000 Euro in forza del D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209, art. 13, comma 4.

Secondo la giurisprudenza penale di questa Corte, cui il Collegio si uniforma, un veicolo, del quale sia stata compiuta la materiale consegna al centro di raccolta, deve essere considerato “fuori uso” in base alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 209 del 2003, art. 3 (cfr. Cass. pen. Sez. 3, 21/06/2011 -dep. 27/07/2011, n. 29973; Cass. pen. Sez. 3, 02/04/2013, dep. 02/10/2013, n. 40747).

La Corte d’appello di Bologna, nell’ambito dell’apprezzamento delle risultanze istruttorie che è prerogativa del giudice di merito, ha correttamente adoperato il principio secondo cui, in sede di opposizione ad ordinanza ingiunzione irrogativa di sanzione amministrativa, il verbale di accertamento dell’infrazione fa piena prova, fino a querela di falso, con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale rogante come avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento o da lui compiuti (nella specie, la fase di “trattamento” dell’autoveicolo D.Lgs. n. 209 del 2003, ex art. 3), nonchè alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni delle parti (nella specie, che il T. avrebbe proceduto il giorno successivo alla consegna di targhe e documenti al PRA). Sono perciò ammesse la contestazione e la prova unicamente delle circostanze di fatto, inerenti alla violazione, che non siano attestate nel verbale di accertamento come avvenute alla presenza del pubblico ufficiale o rispetto alle quali l’atto non è suscettibile di fede privilegiata per una sua irrisolvibile contraddittorietà oggettiva, mentre sono riservati al giudizio di querela di falso, nel quale non sussistono limiti di prova e che è diretto anche a verificare la correttezza dell’operato del pubblico ufficiale, la proposizione e l’esame di ogni questione concernente l’alterazione nel verbale della realtà degli accadimenti e dell’effettivo svolgersi dei fatti, pur quando si deducano errori od omissioni di natura percettiva da parte dello stesso pubblico ufficiale (cfr. Cass. Sez. L, 07/11/2014, n. 23800; Cass. Sez. 2, 14/02/2013, n. 3705; Cass. Sez. U, 24/07/2009, n. 17355). La fase di “trattamento” dell’autoveicolo, che i verbalizzanti hanno attestato di aver constatato, è normativamente definita dal D.Lgs. n. 209 del 2003, art. 3 (formulazione vigente all’epoca del fatto di causa) come comprensiva delle “attività di messa in sicurezza, di demolizione, di pressatura, di tranciatura, di frantumazione, di recupero o di preparazione per lo smaltimento dei rifiuti frantumati”, nonchè di “tutte le altre operazioni eseguite ai fini del recupero o dello smaltimento del veicolo fuori uso e dei suoi componenti”, dopo la consegna dello stesso veicolo presso un impianto di frantumazione.

Il secondo ed il terzo motivo di ricorso intendono in parte sovvertire i fatti attestati nel verbale di contestazione e nella ordinanza ingiunzione, e cioè che l’autovettura fosse in fase di “trattamento” il 7 marzo 2005, ed in parte contrapporre, rifacendosi alle prove testimoniali, che i verbalizzanti non avevano, in realtà, direttamente percepito le operazioni di smontaggio, trovandosi il veicolo già in quelle condizioni sin dal momento del ritiro, il che in parte contrasta con l’efficacia probatoria privilegiata degli atti pubblici in esame, ed in parte si sostanzia in una richiesta di revisione degli accertamenti di fatto diversa dalla ricostruzione operata dai giudici di merito, richiesta comunque preclusa in sede di legittimità. L’errore della sentenza impugnata denunciato nel quinto motivo, sulla circostanza che l’automezzo veicolo fosse privo di motore, essendo, piuttosto, soltanto privo di ruote, di parte della carrozzeria e con i cavi elettrici e di alimentazione staccati), è privo di carattere decisivo, in quanto comunque inidoneo a determinare un esito diverso della controversia, stante la ricordata nozione legislativa di “trattamento”, la quale include ogni operazione eseguita ai fini del recupero o dello smaltimento del veicolo fuori uso e dei suoi componenti effettuate, dopo la consegna dello stesso veicolo, presso un impianto di frantumazione. Nè ha rilievo quanto evidenziato nel quarto motivo di ricorso, in quanto a base della sanzione intimata alla società T.M. & c. non è la violazione del termine (di tre giorni dalla consegna del veicolo) per la cancellazione del veicolo dal PRA, ma il fatto di aver iniziato il trattamento del veicolo fuori uso comunque prima di aver operato la medesima cancellazione secondo le indicate modalità.

II. Il sesto motivo di ricorso della T.M. & c. s.n.c. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 e del D.M 10 marzo 2014, n. 55, per aver la Corte d’appello, senza alcuna motivazione, liquidato le spese processuali del grado in complessivi Euro 1.830,00, importo superiore ai valori medi stabiliti nelle tabelle allegate al D.M. n. 55 del 2014, per i giudizi innanzi alla Corte d’appello nella cause il cui valore sia compreso fra Euro 0,01 ed Euro 1.100,00. La ricorrente sottolinea al riguardo che il valore della causa era di Euro 1.040,00, “corrispondente all’importo della sanzione amministrativa applicata”.

II.1. Il sesto motivo di ricorso è inammissibile, in quanto la ricorrente deduce l’eccessività delle spese liquidate in favore della controparte sula base di una errata determinazione del valore della controversia, rilevante ai fini dello scaglione applicabile, il che comporta altresì l’erroneità dei parametri tariffari individuati nella censura come base di calcolo.

Dovendosi determinare il valore della causa, nella liquidazione dei compensi a carico del soccombente, a norma del codice di procedura civile, secondo quanto stabilito dal D.M. n. 55 del 2014, art. 5 (ratione temporis applicabile), occorre considerare che, per la determinazione del valore delle controversie di opposizione a sanzioni amministrative, occorre avere riguardo al massimo edittale della sanzione prevista per la violazione (nella specie, 5.000 Euro, ai sensi del D.Lgs. n. 209 del 2003, art. 13, comma 4), (arg. da Cass. Sez. 6-3, 31/07/2018, n. 20191; Cass. Sez. 2, 12/03/2012, n. 3878). Trovando applicazione, quindi, i compensi stabiliti per le cause di valore compreso tra Euro 1.100,01 ed Euro 5.200,00, la liquidazione effettuata dalla Corte d’appello di Bologna è del tutto conforme ai valori medi fissati nella tabella del D.M. n. 55 del 2014 (Fase di studio della controversia: Euro 510,00. Fase introduttiva del giudizio: Euro 510,00. Fase decisionale: Euro 810,009).

III. Consegue il rigetto del ricorso, regolandosi le spese del giudizio di cassazione secondo soccombenza in favore della contro ricorrente.

Deve poi ritenersi che il ricorso sia stato proposto con colpa grave, ovvero senza aver adoperato la normale diligenza per acquisire coscienza della sua integrale infondatezza. La ricorrente va perciò condannata altresì al pagamento di una somma, equitativamente determinata, in favore della controricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 4, applicabile a questo giudizio di legittimità giacchè avente ad oggetto ricorso avverso sentenza pubblicata dopo il 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 20, che ne ha disposto l’abrogazione, ed essendo stato il primo grado instaurato anteriormente alla medesima data. Considerati il dispendio di tempo e di energie necessariamente impiegati per l’approntamento della difesa, nonchè la durata e l’oggetto del processo, tale somma può essere equitativamente liquidata in Euro 2.000,00, con interessi legali dalla sentenza al saldo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge; condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente Provincia di Forlì-Cesena della ulteriore somma di Euro 2.000,00 ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 4, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 8 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019

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