Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34019 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 19/12/2019, (ud. 10/09/2019, dep. 19/12/2019), n.34019

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11848-2018 proposto da:

S.N., in proprio e nella qualità di legale rappresentante

della SICEDIL SRL, M.C., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA E. MANFREDI, 11, presso lo studio dell’avvocato GIULIO

VALENTI, rappresentati e difesi dall’avvocato IGNAZIO VALENZA;

– ricorrenti –

contro

INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI

SUL LAVORO 01165400589, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144,

presso lo studio dell’avvocato ANDREA ROSSI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato LETIZIA CRIPPA;

– controricorrente –

Contro

L.B.G., C.L.M. DI L.B.T. E C. SNC,

M.T.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1070/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata P08/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA

PONTERIO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza n. 1070 pubblicata l’8.1.2018 la Corte d’appello di Palermo riformava parzialmente la sentenza di primo grado e, per per quanto ancora rileva, accoglieva la domanda proposta dall’INAIL nei confronti di N.S., della società SICEDIL srl e di C.M. in relazione all’infortunio mortale occorso il 6.12.1999 in danno di D.B. e condannava gli stessi, in via solidale, a corrispondere all’INAIL la somma di Euro 548.881,62;

2. la Corte territoriale premetteva che il Tribunale aveva accertato la responsabilità dei signori L.B.G. e M.T. nonchè della società CLM DI L.B.G. snc, datrice di lavoro dell’infortunato, escludendo, invece, la responsabilità degli altri, estranei al rapporto di lavoro ed alle lavorazioni di ripristino della gru nel corso delle quali si era verificato l’incidente mortale;

3. in via preliminare osservava che il giudizio penale, nel quale erano stati assolti il SODANO ed il MILIZIA, si era svolto senza la partecipazione dell’INAIL e che non vi era prova che l’Istituto avesse avuto conoscenza legale della pendenza del procedimento penale;

4. inoltre il S. ed il M. erano stati prosciolti dai reati contravvenzionali in materia di sicurezza sul lavoro (capi di imputazione B, C, D, E, F, G, H,I, L) per prescrizione;

5. conseguentemente alcun effetto preclusivo poteva attribuirsi all’esito del procedimento penale, conclusosi con sentenza della Corte di Cassazione del 2008. Inoltre la Suprema Corte nell’annullare la sentenza della Corte d’appello- seppure ai soli fini civili- aveva sottolineato come la motivazione della assoluzione di L.B.G. fosse stata del tutto mancante, al pari di quella riguardante gli altri imputati;

6. quanto al profilo afferente la responsabilità in sede di azione di regresso del solo datore di lavoro, era sufficiente richiamare i più recenti arresti della Suprema Corte (sentenza 18 maggio 2017 numero 12561) alla stregua dei quali l’azione di regresso era estesa, oltre che ai dipendenti del datore di lavoro, ai soggetti terzi rispetto all’obbligo assicurativo, purchè tenuti al cosiddetto debito di sicurezza, sussistente a carico di tutti coloro che in ragione dell’attività svolta erano gravati di specifici obblighi di prevenzione nei confronti dei lavoratori soggetti a rischio;

7. nella fattispecie di causa il S., legale rappresentante della SICEDIL Srl, avendo avviato un cantiere nel comune di Acate, aveva ricevuto in comodato gratuito da C.M. la gru BENEDINI tipo B 25, trasportandola nel cantiere e rivolgendosi alla società CLM snc per una consulenza e per il ripristino della funzionalità del mezzo;

8. le consulenze tecniche svolte nell’ambito del giudizio penale avevano accertato che la gru concessa in comodato dal M. versava in condizioni a dir poco scadenti e che una delle cause dell’infortunio era da rinvenirsi nel suo cattivo stato di manutenzione e conservazione, degrado che doveva ricondursi innanzitutto alla responsabilità del proprietario, che aveva violato precise norme cautelari antinfortunistiche;

9. specularmente, l’evidente stato di degrado conservativo in cui si trovava la gru avrebbe dovuto indurre N.S., titolare della SICEDIL S.r.l., a non ricevere in comodato detto mezzo o, comunque, a non utilizzarlo all’interno del cantiere. In tale contesto era, altresì, acclarato che egli, presente in cantiere al momento dell’infortunio, era consapevole del fatto che i lavoratori M. e B. sarebbero saliti sulla gru per completare i lavori di messa in opera e non si era opposto a tale intervento; le perplessità manifestate in relazione alla decisione di salire sulla gru montata confermavano la sua responsabilità, lungi dall’escluderla, per la sua consapevolezza non solo del divieto degli operatori di intervenire in quota ma anche delle pessime condizioni in cui versava il mezzo;

10. avverso la sentenza hanno proposto ricorso N.S., in proprio e quale legale rappresentante della SICEDIL srl, e C.M., articolato in un unico motivo, cui ha opposto difese l’INAIL con controricorso;

11. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

12. con l’unico motivo le parti ricorrenti hanno denunziato violazione e falsa applicazione degli artt. 10 ed 11 del Testo Unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali; inammissibilità, improcedibilità, improponibilità dell’azione di regresso, mancanza di nesso eziologico;

13. hanno dedotto, quanto all’esito del giudizio penale, che la mancata partecipazione dell’INAIL non era loro riconducibile e che la sentenza impugnata era contraddittoria, perchè da un canto valorizzava il fatto che per i reati contravvenzionali vi era stata pronuncia di prescrizione, dall’altro non considerava che per il delitto di omicidio colposo vi era stata assoluzione nel merito;

14. inoltre, al fine di estendere l’azione di regresso ai soggetti terzi rispetto al datore di lavoro la Corte territoriale aveva fatto riferimento al principio di diritto enunciato da questo giudice di legittimità senza considerare che esso non estendeva genericamente la responsabilità ai terzi ma individuava specifiche categorie di terzi destinatari dell’azione, quali, ad esempio i soci della società datrice di lavoro, gli altri amministratori della stessa o altri soggetti chiamati a collaborare a vario titolo nell’assolvimento dell’obbligo di sicurezza;

15. nella fattispecie di causa la società SICEDIL srl, il S. ed il M. non erano nè soci nè amministratori della società datrice di lavoro (CLM snc) nè chiamati ad assolvere a qualsivoglia obbligo di sicurezza nelle operazioni di rimessaggio della gru;

16. tutto ciò che si era verificato con riferimento al montaggio della gru, alle lavorazioni ed alle istruzioni per la sua riparazione si poneva al di fuori della loro sfera dispositiva e, soprattutto, da qualsivoglia loro obbligo di sicurezza. Gli operai della società CLM snc stavano lavorando secondo disposizioni impartite dal loro datore di lavoro e sotto sua esclusiva responsabilità; il fatto che il S. avesse assistito al sinistro non spostava i termini della questione;

17. se la gru fosse stata davvero in condizioni pessime e non in condizioni di funzionare, la CLM snc non avrebbe provveduto ad avviare le operazioni di ripristino; l’eventuale degrado conservativo della gru avrebbe dovuto essere identificato in sede di sopralluogo dalla CLM snc, che di tanto era stata incaricata e che non avrebbe dovuto iniziare i lavori. La CLM snc non solo aveva ritenuto che la gru fosse riparabile ma aveva fatto lavorare i propri dipendenti in situazione di rischio, senza osservare le norme di sicurezza;

18. il ricorso è manifestamente infondato;

19. la Corte d’appello ha interpretato ed applicato il D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 10 e 11, secondo i principi di diritto enunciati da questa Corte di legittimità ed espressamente richiamati;

20. ha premesso come non fosse opponibile all’Inail la sentenza penale emessa nei confronti degli attuali ricorrenti in cassazione in quanto l’Istituto non era stato parte del giudizio penale nè era legittimato a costituirsi (cfr. Cass. n. 27102 del 2018);

21. ha richiamato l’orientamento consolidato (Cass. 12561/17 e precedenti ivi richiamati) che ha ritenuto esperibile l’azione di regresso spettante all’INAIL, ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 10 ed 11, non solo nei confronti del datore di lavoro, ma anche verso tutti i soggetti – come l’appaltante o il subappaltante – che, chiamati a collaborare a vario titolo nell’assolvimento dell’obbligo di sicurezza in ragione dell’attività svolta, siano gravati di specifici obblighi di prevenzione a beneficio dei lavoratori assoggettati a rischio;

22. ha individuato la posizione di garanzia del M. e del S., anche quale legale rappresentante della Sicedil s.r.l., nell’avere, rispettivamente, concesso e ricevuto in comodato attrezzature di lavoro (la gru) non rispondenti alle norme del D.Lgs. n. 626 del 1994, sicurezza, ed anzi in stato di grave degrado (in violazione dell’art. 6, comma 2) ed ha svolto l’accertamento in fatto sui profili di colpa della condotta dei predetti e sul nesso causale tra la condotta colposa e l’infortunio verificatosi;

23. le censure mosse col ricorso in esame risultano infondate, quanto alla dedotta violazione di legge, avendo la sentenza impugnata fatto corretta applicazione degli artt. 10 e 11 cit., sul presupposto della posizione di garanzia facente capo agli attuali ricorrenti; le critiche, laddove investono la valutazione operata dalla Corte d’appello quanto ai profili di colpa e al nesso causale, ove pure riqualificate ai sensi del 360 c.p.c., comma 1, n. 5, risultano inammissibili perchè non rispondenti allo schema legale del nuovo vizio motivazionale, come delineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053 del 2014);

24. per le considerazioni svolte, il ricorso deve essere respinto;

25. la regolazione delle spese del giudizio di legittimità nei confronti dell’Inail segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo;

26. sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti dell’Inail che liquida in Euro 5.200,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019

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