Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34017 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 19/12/2019, (ud. 10/09/2019, dep. 19/12/2019), n.34017

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11006-2018 proposto da:

INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI

SUL LAVORO 01165400589, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144,

presso lo studio dell’avvocato LUCIANA ROMEO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato EMILIA FAVATA;

– ricorrente –

contro

B.M. (o M.);

– intimata –

avverso la sentenza n. 1652/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 06/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA

PONTERIO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza n. 1652 pubblicata il 6.10.2017 la Corte d’Appello di Catanzaro confermava la sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda proposta da B.M. nei confronti dell’INAIL avente ad oggetto il conseguimento delle prestazioni per malattia professionale e condannato l’Ente al pagamento dell’indennizzo parametrato ad un danno biologico nella misura del 7%;

2. a fondamento della decisione la Corte territoriale osservava che L’INAIL addebitava al Tribunale, con il primo motivo di appello, di non aver vagliato la propria eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso per difetto di prova dell’esposizione a rischio lavorativo, non assumendo la prova testimoniale. Il motivo era infondato, in quanto il Tribunale aveva ammesso ed assunto la prova testimoniale;

3. infondata era la eccezione di prescrizione riproposta con il secondo motivo di gravame;

4. con il terzo motivo l’INAIL aveva censurato le risultanze peritali recepite dal Tribunale, argomentando sulla mancanza dell’origine professionale della patologia. Il motivo era infondato, in quanto il CTU nominato nel secondo grado aveva parimenti riconosciuto il ruolo concausale dell’attività lavorativa. Non poteva tenersi conto della valutazione da questi espressa in ordine all’entità del danno biologico, quantificato nel 3%, in quanto l’INAIL in appello non aveva espresso alcuna censura sul punto sicchè della questione il Collegio non era stato investito; ove sia contestato soltanto l’an il giudice dell’appello non può intervenire sul quantum, incorrendo altrimenti nel vizio di ultrapetizione;

5. avverso la sentenza ha proposto ricorso l’INAIL, articolato in un unico motivo, illustrato da successiva memoria, cui l’intimata non ha opposto difese;

6. la proposta del relatore è stata comunicata alla parte-unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

7. con l’unico motivo di ricorso l’INAIL ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13, del D.M. 12 luglio 2000, di approvazione delle tabelle di menomazione dell’integrità psicofisica, in relazione all’art. 329 c.p.c., comma 2, artt. 342 e 346 c.p.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto coperta dal giudicato la valutazione del primo giudice sulla entità del danno biologico conseguente alla malattia professionale denunciata dalla lavoratrice;

8. ha osservato che la statuizione della Corte d’Appello era basata su argomenti che non trovavano riscontro negli atti di causa. Nessun riscontro trovava la circostanza, affermata in sentenza, secondo cui sarebbe stata ammessa ed assunta la prova testimoniale relativa al tipo di attività lavorativa svolta dall’assicurata ed alle modalità di esecuzione della prestazione (era stata acquisita unicamente la consulenza tecnica d’ufficio). Nessun riscontro trovava, altresì, la circostanza secondo cui il c.t.u. del secondo grado era stato investito dal collegio giudicante soltanto della verifica della natura professionale della patologia (i quesiti posti riguardavano anche la verifica dell’inabilità causata dalla malattia in base alla tabella delle menomazioni di cui al DM 12 febbraio 2000.). La ritenuta mancanza di contestazione da parte dell’INAIL dell’entità dei postumi della malattia denunciata trovava smentita nell’atto di appello, nel quale le critiche investivano anche la valutazione della concausa morfologica della malattia (ipertrofia ossea) ai fini della quantificazione dell’invalidità derivatane;

9. in ogni caso, quand’anche si volesse ritenere che l’appello non conteneva alcuna censura sul quantum della valutazione, occorreva tenere conto dei principi affermati da questa Corte di legittimità in ordine alla operatività del principio devolutivo in grado di appello. La obiettiva interdipendenza tra la natura professionale della malattia e la misura del danno biologico non rendeva possibile la separazione della statuizione giuridica sulla eziologia professionale da quella sul grado di invalidità. Non trattandosi di unità separate le due statuizioni non erano suscettibili di impugnazione autonoma nè potevano passare in giudicato separatamente (cd. unità minima suscettibile di passaggio in giudicato);

10. il ricorso è manifestamente fondato, poichè sull’accertamento compiuto dal primo giudice ai fini della quantificazione della percentuale di danno biologico conseguente a malattia professionale non si è formato alcun giudicato, il quale si determina unicamente su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia; con la conseguenza che l’appello motivato con riguardo ad uno soltanto degli elementi della suddetta statuizione minima suscettibile di giudicato, apre il riesame sull’intera questione che essa identifica ed espande nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene coessenziali alla statuizione impugnata, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame (Cass. n. 16583 del 2012; n. 2217 del 2016; n. 16853 del 2018; Ord. sez. 6, n. 12202 del 2017; n. 24783 del 2018);

11. nel caso di specie, la pacifica impugnazione da parte dell’Inail della statuizione di primo grado nella parte in cui ha riconosciuto la natura professionale della patologia accertata in capo alla assicurata, ha impedito il formarsi del giudicato sulla percentuale di danno biologico. La diversa affermazione contenuta nella sentenza d’appello si pone in contrasto con le disposizioni denunciate e con i principi di diritto sopra richiamati;

12. deve quindi accogliersi il ricorso, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che provvederà ad un nuovo esame conformandosi ai principi sopra richiamati, oltre che alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019

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