Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34011 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 19/12/2019, (ud. 10/09/2019, dep. 19/12/2019), n.34011

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23988-2018 proposto da:

Z.G., L.G., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIALE TRASTEVERE 259, presso lo studio dell’avvocato PIERLUIGI

BARTOLI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ALBERTO BENIFEI;

– ricorrente –

contro

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DEL

LIDO 78, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO MANCINI,

rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO SCOVAZZI;

– controricorrente –

avverso a sentenza n. 44/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 12/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/09/2019 dai Consigliere Relatore Dott. LUCIA

ESPOSITO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’appello di Genova confermava la decisione del giudice di primo grado che aveva accolto la domanda proposta da C.A. nei confronti di Z.G. e L.G., accertando l’intervenuta sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per il periodo 29 aprile 2009 – 30 giugno 2010 e dichiarando l’illegittimità del licenziamento intimato al ricorrente il 30 giugno 2010, con condanna dei convenuti alla riassunzione del lavoratore o a corrispondere al medesimo un’indennità risarcitoria, oltre al pagamento di TFR e indennità sostitutiva del preavviso;

avverso la sentenza propongono ricorso per cassazione Z. e L. con due motivi di ricorso;

controparte resiste con controricorso;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione di legge e dei contratti collettivi nazionali di lavoro, osservando che dal tenore della sentenza impugnata (nella quale si legge che “è stata prodotta copia della missiva datata 22 settembre 2010 con cui l’appellato ha proposto l’impugnativa stragiudiziale avverso il recesso datoriale intimatogli in data 30 giugno 2010; tale missiva è stata ricevuta dagli odierni appellanti il 29 settembre 2010; risulta dunque rispettato il termine di giorni 60 posto a pena di decadenza dalla L. n. 604 del 1966, art. 6”) si evince che la Corte ha errato nel computare i 60 giorni utili per l’impugnativa, così violando i termini perentori stabiliti dalla richiamata norma (L. n. 604 del 1966, art. 6);

i ricorrenti rilevano, inoltre, l’erroneità del computo del risarcimento dei danni, avendolo la Corte territoriale determinato nella misura di quattro mensilità, eccessiva tenuto conto del periodo lavorativo di poco più di un anno, delle ridotte dimensioni aziendali e numero di dipendenti, ed avendo richiamato impropriamente L. 11 maggio 1990, n. 108, art. 8, che fa riferimento al comportamento delle parti, poichè in tale nozione non poteva rientrare la circostanza dell’avere lo Z. pagato una parte di retribuzione in nero;

il primo motivo è infondato, poichè correttamente la Corte territoriale ha respinto l’eccezione di decadenza dell’impugnativa stragiudiziale avverso il recesso datoriale, ancorchè tale affermazione debba trovare fondamento non già nella tempestività della impugnativa medesima (non è esatto il calcolo del mancato superamento dei 60 giorni), ma nella circostanza, risultante dalla sentenza (cfr. pg. 8), della mancata formulazione della eccezione di decadenza da parte dei convenuti, trattandosi di decadenza che, attenendo ad un diritto disponibile, necessita di un’eccezione (in senso stretto), che, nel rito del lavoro, deve essere proposta dalla parte convenuta, nella memoria di costituzione (Cass. n. 19405 del 23/09/2011);

in tal senso, pertanto, va disposta la correzione della motivazione della sentenza ex art. 384 c.p.c., u.c.;

allo stesso modo è infondato il secondo profilo di censura, poichè la determinazione della misura del risarcimento, prossima ai minimi previsti, si è fondata sui parametri indicati dalla legge in base a un ragionamento logico e coerente, in quanto tale non sindacabile in sede di legittimità;

in base alle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato, con liquidazione delle spese secondo soccombenza;

trova applicazione il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15 % e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019

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