Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 34000 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 19/12/2019, (ud. 25/10/2019, dep. 19/12/2019), n.34000

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – rel. Consigliere –

Dott. VECCHIO Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18481/2017 R.G. proposto da:

Podestà Immobiliare s.r.l., in persona del legale rapp.te p.t.,

elett.te domiciliato in Roma, alla via Aurelia n. 641 presso lo

studio dell’avv. Fabio De Stefano che lo rapp.ta e difende come da

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

Contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elett.te

domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 47/4/17 della Commissione Tributaria della

Liguria, depositata in data 18/1/2017, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25 ottobre 2019 dalla Dott.ssa Milena d’Oriano.

Fatto

RITENUTO

CHE:

1. con sentenza n. 47/4/17, depositata in data 18 gennaio 2017, non notificata, la Commissione Tributaria della Liguria rigettava l’appello proposto dalla società contribuente avverso la sentenza n. 1826/20/2014 della Commissione Tributaria di Genova, con condanna al pagamento delle spese di lite;

2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva proceduto ad elevare da Euro 16.000,00, proposta con procedura DOCFA, ad Euro 33.410,40, la rendita catastale di un immobile di categoria D/8, destinato ad attività di campeggio con piazzole di sosta;

3. la CTP aveva parzialmente accolto il ricorso e, tenuto conto della distanza dal mare del complesso, ridotto il valore medio delle piazzole da Euro 130,00/mq ad Euro 80,00/mq, rideterminando la rendita in misura pari ad Euro 23.863,20; la CTR aveva confermato tale decisione perchè basata su dati oggettivi, quali la distanza di 5 km dalle spiagge e la strada di comunicazione non agevole;

4. avverso la sentenza di appello, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, notificato in data 14 luglio 2017, affidato ad un unico motivo; l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con unico motivo la ricorrente deduce la illegittimità, nullità ed annullabilità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver omesso di esaminare i motivi di appello dal primo al quarto (con cui era stata eccepita la nullità dell’accertamento sottoscritto da soggetto privo di legittimazione in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42; la violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato per aver rideterminato il quantum pur in assenza di specifica domanda; la violazione del principio del contraddittorio; il difetto di motivazione dell’atto, modificata in sede contenziosa ove l’Agenzia aveva precisato che la stima era stata effettuata con il metodo della capitalizzazione dei redditi e non, come erroneamente indicato, sulla base del costo di costruzione), ed aver replicato solo parzialmente sul quinto motivo, con cui era stato censurato il valore di stima, senza entrare nel merito delle contestazioni.

OSSERVA CHE:

1.II ricorso non merita accoglimento in quanto l’unico motivo di doglianza risulta in parte infondato e in parte inammissibile.

1.1 Va premesso che “In tema di ricorso per cassazione, la tecnica di redazione mediante integrale riproduzione di una serie di documenti si traduce in un’esposizione dei fatti non sommaria, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, e comporta un mascheramento dei dati effettivamente rilevanti, tanto da risolversi in un difetto di autosufficienza, sicchè è sanzionabile con l’inammissibilità, a meno che il coacervo dei documenti integralmente riprodotti, essendo facilmente individuabile ed isolabile, possa essere separato ed espunto dall’atto processuale, la cui autosufficienza, una volta resi conformi al principio di sinteticità il contenuto e le dimensioni globali, dovrà essere valutata in base agli ordinari criteri ed in relazione ai singoli motivi. (Vedi Cass. n. 18363 del 2015 e n. 12641 del 2017)

Nella specie la parte ricorrente ha compiuto un mero assemblaggio delle precedenti decisioni di merito e del suo ricorso in appello, senza farne scaturire una autonoma elaborazione di motivi di ricorso; tuttavia, anche in considerazione della sinteticità della decisione impugnata, è possibile individuare dal complesso dell’atto delle censure che soddisfano i requisiti minimi di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

2. In riferimento alla doglianza relativa all’assenza di motivazione sui primi quattro motivi di appello si evidenzia che con il vizio denunciato si lamenta in realtà una carenza di attività decisionale da parte del giudice di secondo grado, riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c.

Questa Corte ha più volte statuito che ” L’omessa pronunzia da parte del giudice di merito integra un difetto di attività che deve essere fatto valere dinanzi alla Corte di cassazione attraverso la deduzione del relativo error in procedendo e della violazione dell’art. 112 c.p.c., non già con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale o del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, giacchè queste ultime censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente scorretto ovvero senza giustificare o non giustificando adeguatamente la decisione resa.” (vedi da ultimo Cass. ord. n. 329 del 12/01/2016; Cass. n. 21165 del 17/09/2013; Cass. n. 11801 del 15/05/2013; Cass. n. 7871 del 18/05/2012; Cass. n. 25825 del 2009; Cass. n. 12952 del 2007; Cass. n. 1755 del 2006; Cass. n. 27387 del 2005).

2.1 In merito alle conseguenze della errata deduzione, per orientamento consolidato, ” Il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge” (da ultimo Cass. n. 10862 del 07/05/2018; Cass. n. 6835 del 16/03/2017 e tra le tante Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013).

2.2 Nel caso di specie, ritenuta sufficiente la mera richiesta di cassazione della sentenza, reputa il Collegio di poter procedere comunque alla verifica dei motivi non esaminati dalla CTR sul presupposto che alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo, ai sensi dell’art. 111 Cost., nonchè di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da renda inutile un ritorno della causa in fase di merito, sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto. (cfr. tra le tante Cass. n. 16171 del 2017; Sez. U n. 2371 del 2017; n. 21968 del 2015; n. 23989 del 2014; n. 21257 del 2014; n. 15112 del 2013; n. 28663 del 2013; n. 11659 del 2012 e n. 2313 del 2010).

3. Il primo motivo, non esaminato dalla CTR, va ritenuto inammissibile in quanto pacificamente proposto per la prima volta in appello.

3.1 Nel processo tributario d’appello, la nuova difesa del contribuente, ove non sia riconducibile all’originaria “causa petendi” e si fondi su fatti diversi da quelli dedotti in primo grado, che ampliano l’indagine giudiziaria ed allargano la materia del contendere, non integra un’eccezione, ma si traduce in un motivo aggiunto e, dunque, in una nuova domanda, vietata ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 24 e 57 (tra le tante Cass. n. 13742 del 2015).

Nella specifica materia delle nullità, questa Corte ha già affermato che dalla scelta operata dal legislatore di ricomprendere nella categoria unitaria della “nullità tributaria” indifferentemente tutti i vizi ritenuti tali da inficiare la validità dell’atto tributario, riducendoli nello schema invalidità-annullabilità, ne discende che i vizi in discorso devono essere tempestivamente fatti valere dal contribuente mediante impugnazione da proporsi, con ricorso, entro il termine di decadenza di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, in difetto del quale il provvedimento tributario, pur se affetto da vizio di “nullità”, si consolida, divenendo definitivo e legittimando l’Amministrazione finanziaria alla riscossione coattiva dell’imposta, senza alcuna possibilità di rilievo ex officio della nullità in sede di procedimento giurisdizionale. (cfr. Cass. n. 18448 del 2015, richiamata da Cass. n. 20984 del 2015 e n. 15769 del 2017)

Ne consegue che nel contenzioso tributario, il giudice d’appello, attesa la particolare natura del giudizio, non può decidere la controversia sulla base di un’eccezione relativa alla mancanza di sottoscrizione dell’atto impositivo da parte del capo dell’Ufficio o da un impiegato della carriera direttiva da esso delegato, in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, non ritualmente dedotta con l’originario ricorso introduttivo, con conseguente inammissibilità del motivo per novità della censura.

4. Il secondo motivo è palesemente infondato; la CTR ha fatto corretta applicazione del principio consolidato secondo cui “Il processo tributario non è diretto alla mera eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito, sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio. Ne consegue che il giudice tributario, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi di ordine sostanziale (e non meramente formali), è tenuto ad esaminare nel merito la pretesa tributaria e a ricondurla, mediante una motivata valutazione sostitutiva, alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte” (Vedi Sez. 5 n. 27574 del 2018; n. 19750 del 2014; nonchè Sez. 5, n. 24611 del 2014; Sez. 6-5, n. 26157 del 2013).

5. Anche il terzo motivo fatto valere in appello non merita accoglimento in quanto nella specie siamo in presenza di un accertamento che consegue ad una denuncia del contribuente, che si è attivato con la procedura DOCFA, e non ad un accertamento d’ufficio, sicchè non può sussistere alcun onere di informazione preventiva nei confronti del soggetto che ha dato avvio al procedimento (tra le altre, cfr. Cass. n. 374 del 2017; Cass. sez. 65, ord. 13 febbraio 2015, n. 2998; Cass. sez. 6-5, ord. 14 novembre 2012, n. 19949); del resto siamo in presenza di un tributo “non armonizzato”, per il quale non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un generalizzato vincolo al contraddittorio se non specificamente sancito. (Vedi Cass. Sez. U 9 dicembre 2015, n. 24823).

6. Il quarto motivo è poi inammissibile perchè il contribuente non ha riportato nel corpo del ricorso i passi della motivazione dell’avviso di cui censura la carenza, sebbene “In base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., nel giudizio tributario, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo del vizio di motivazione nel giudizio sulla congruità della motivazione dell’avviso di accertamento, è necessario che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso, che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso. (Vedi Cass. n. 16147 del 2017 e n. 9536 del 2013).

In assenza del contenuto dell’avviso non è possibile per questa Corte verificare l’incidenza e la rilevanza dell’errore nell’indicazione del metodo utilizzato per la determinazione del valore dell’immobile, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo motivazionale che investe l’atto di accertamento nel suo complesso e non le sue singole parti.

7. Infine, quanto al profilo di censura relativo ai criteri di stima, correttamente ricondotto ad un vizio motivazionale, si osserva che nella fattispecie trova applicazione ratione temporis (ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012) il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la sentenza impugnata è stata pubblicata in data successiva all’11 settembre 2012, sicchè il vizio della motivazione è deducibile soltanto in termini di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5″, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia. “(Vedi Sez. U n. 8053 del 2014 e tra le tante conformi Cass. n. 21257 del 2014; n. 23828 del 2015; n. 23940 del 2017);

Il nuovo testo del n. 5) dell’art. 360 c.p.c., introduce dunque nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 C.P.C., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente è tenuto ad indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”.

7.1 Ebbene, nessuna indicazione di un fatto storico omesso è stata formulata in ricorso, risolvendosi il motivo in un’inammissibile e generica istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di appello, in merito alla corretta rideterminazione del valore delle piazzole di sosta, compiuta dalla CTP sulla base delle caratteristiche oggettive della struttura; la censura, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, è pertanto certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione.

8. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso va rigettato.

8.1 Segue la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.

8.2 Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013, in quanto notificato dopo tale data, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso;

condanna la società ricorrente a pagare all’Agenzia delle Entrate le spese di lite del presente giudizio, che si liquidano nell’importo complessivo di Euro 1.500,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019

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