Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3400 del 12/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 12/02/2010, (ud. 11/12/2009, dep. 12/02/2010), n.3400

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Banca delle Marche s.p.a., con sede in (OMISSIS), in persona

del

presidente del consiglio di amministrazione P.T.,

rappresentata e difesa per procura a margine del controricorso

dall’Avvocato Prosperi Mangili Lorenzo, elettivamente domiciliata

presso il suo studio in Roma, via Giovanbattista Vico n. 1;

– ricorrente –

contro

Ministero delle Finanze e Agenzia delle Entrate, in persona

rispettivamente del Ministro e del Direttore pro tempore,

rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

cui domiciliano in Roma, via dei Portoghesi n. 12.

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 9863 della Commissione tributaria centrale di

Roma, depositata il 22.11.2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11.12.2009 dal consigliere relatore dott. Dr. Mario Bertuzzi;

Viste le conclusioni del P.M. in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. ABRITTI Pietro, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Cassa di risparmio della provincia di Macerata, ora Banca delle Marche, propose ricorso dinanzi alla Commissione tributaria di primo grado di Macerata avverso il silenzio rifiuto dell’Amministrazione finanziaria formatosi in ordine alla propria istanza di rimborso, presentata il 25.6.1985, della maggior somma pagata a titolo di irpeg ed ilor per l’anno 1983 sugli interessi riscossi per la ritardata restituzione imposte, sostenendo che gli interessi in questione non costituivano reddito imponibile.

Il giudice di primo grado accolse il ricorso e la relativa decisione venne confermata dalla Commissione tributaria di secondo grado.

Proposto ulteriore gravame, con sentenza n. 9863 del 22.11.2004 la Commissione tributaria centrale riformò la decisione impugnata, affermando che tutti i proventi conseguiti dalla società, compresi gli interessi sui crediti di imposta, concorrono, secondo la disciplina del codice civile, a formare il reddito di impresa e sono pertanto tassabili ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 56 in mancanza di una norma esplicita di esclusione.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 29.12.2005, ricorre, sulla base di tre motivi, la società Banca delle Marche.

Il Ministero delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate resistono con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va in primo luogo invertito l’ordine dei motivi esposti nel ricorso, sembrando al Collegio opportuno esaminare dapprima il terzo motivo, che investe il tema, necessariamente preliminare, della individuazione della disciplina normativa applicabile nella fattispecie.

In particolare, con questo motivo la banca ricorrente, denunziando violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 56 e del D.P.R. n. 42 del 1988, art. 36 ed omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, lamenta che il giudice a quo abbia fatto applicazione nella sua decisione dell’art. 56 sopra citato, senza fornire alcuna motivazione al riguardo e senza considerare l’opposizione sollevata dalla contribuente in ordine alla retroattività della nuova disciplina prevista dal D.P.R. n. 42 del 1988, art. 36 effetto che avrebbe dovuto escludersi nel caso di specie, dal momento che la domanda di rimborso era stata presentata nel 1985.

Il motivo merita accoglimento.

Questa Corte ha invero già avuto modo di precisare il principio secondo cui in tema di emendabilità della dichiarazione dei redditi e con riguardo al D.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, art. 36 il quale ha reso retroattivamente applicabili le disposizioni del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR) – qualora le dichiarazioni validamente presentate risultino ad esse conformi – anche ove abbiano introdotto un regime di assoggettamento a tassazione non previsto dal previgente D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 al fine di stabilire se al contribuente, il quale abbia già tradotto nei fatti, in sede di dichiarazione, i contenuti della nuova normativa (erroneamente anticipandoli), sia, o meno, consentito procedere alla rettifica della dichiarazione medesima, occorre accertare il momento in cui la rettifica – sotto l’orma di istanza di rimborso – è stata operata. In particolare, è necessario verificare se l’istanza di rimborso delle somme, indebitamente pagate secondo la vecchia normativa, è stata formulata prima o dopo l’entrata in vigore del citato D.P.R. n. 42 del 1988, in quanto solo nel primo caso la rettifica deve ritenersi efficace (con conseguente accoglimento della domanda di rimborso), avendo tempestivamente reso la originaria dichiarazione non conforme alle nuove disposizioni, laddove, nel secondo caso, la rettifica stessa non ha impedito che la conformità della dichiarazione alle norme sopravvenute (con conseguente automatica applicabilità di queste ultime) si consolidasse definitivamente (Cass. n. 8725 del 2003).

Tanto precisato, l’effetto conformativo nel caso di specie va escluso, essendo pacifici) che l’istanza è stata presentata dalla contribuente nel 1985, cioè prima dell’entrata in vigore della disposizione di legge invocata.

Il mezzo è pertanto fondato.

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 597 del 1973, artt. 41, 44 e 52 censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto tassabili, su presupposto che concorrano alla formazione del reddito di impresa, gli interessi maturati per il ritardato rimborso di crediti di imposta, senza considerare che essi hanno natura compensativa e che a mente della disciplina dettata dal D.P.R. n. 597 del 1973 applicabile nella fattispecie, anteriore al testo unico approvato con D.P.R. n. 917 del 1986, essi non erano componenti nè del reddito da capitale nè del reddito di impresa, come ripetutamente riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione.

Il secondo motivo di ricorso, che denunzia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 597 del 1973, artt. 52 e 55 contesta l’affermazione della sentenza circa la tassabilità delle poste in discussione in ragione del fatto che i tributi a suo tempo versati avevano costituito componenti negative di reddito, riducendo l’imponibile. Tale considerazione, ad avviso della società ricorrente, è errata in quanto non tiene conto della natura compensativa degli interessi, che esclude la possibilità di inquadrarli nell’ambito delle “sopravvenienze attive”. I due motivi, che per la loro connessione logica e giuridica possono essere trattati congiuntamente, sono entrambi fondati.

La questione sollevata risulta infatti già esaminata da questa Corte, la quale ha assunto sul punto un orientamento ormai univoco – dal quale il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi – in base al quale gli interessi maturati sui erediti di imposta nei confronti dell’Amministrazione, nel vigore dei D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, D.P.R. n. 598 e D.P.R. n. 599, ancorchè iscritti nel conto dei profitti e delle perdite, non vanno assoggettati ad Irpeg e ad Ilor, atteso che essi hanno natura compensativa e, quindi, non sono qualificabili nè come reddito di capitale nè come reddito di impresa (Cass. n. 18864 del 2004; Cass. n. 8725 del 2003; Cass. n. 3574 del 1995).

In conclusione il ricorso è accolto e la sentenza cassata;

sussistendone le condizioni, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito con l’accoglimento del ricorso introduttivo della banca contribuente.

Le ragioni della decisione e la non univocità di soluzione, all’epoca della presentazione del ricorso, di alcune delle questioni trattate integrano giusti motivi per compensare le spese di lite.

PQM

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo ne merito, accoglie il ricorso introduttivo della contribuente. Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2010

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