Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33976 del 12/11/2021

Cassazione civile sez. VI, 12/11/2021, (ud. 05/10/2021, dep. 12/11/2021), n.33976

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 354/2021 R.G. proposto da:

O.C., rappresentato e difeso dall’Avv. Chiara Pernechele,

con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile

della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e

difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila n. 507/20

depositata il 30 marzo 2020.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 ottobre

2021 dal Consigliere Guido Mercolino.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza del 15 maggio 2017 la Corte d’appello di L’Aquila dichiarò inammissibile, in quanto proposto con ricorso, anziché con citazione, il gravame interposto da O.C., cittadino della Nigeria, avverso l’ordinanza emessa il 5 luglio 2016, con cui il Tribunale di L’Aquila aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta dall’appellante;

che il ricorso per cassazione proposto dall’ O. fu accolto da questa Corte con ordinanza del 19 ottobre 2018, n. 26548, con cui fu affermato che il mero riferimento al “ricorso” in appello, contenuto nel testo del D.Lgs. 18 agosto 2015, n. 142, art. 27, comma 1, lett. f), che ha modificato il D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 19, comma 9, non vale a modificare l’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’appello proposto ai sensi dello art. 702-quater c.p.c., avverso la domanda di rigetto della domanda di protezione internazionale non dev’essere introdotto con ricorso, ma con citazione, e pertanto la tempestività dell’impugnazione dev’essere verificata calcolandone il termine di trenta giorni dalla data di notifica dell’atto introduttivo alla parte appellata.

che il giudizio è stato pertanto riassunto dinanzi alla Corte d’appello, che con sentenza del 30 marzo 2020 ha rigettato il gravame;

che avverso la predetta sentenza l’ O. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, al quale il Ministero dell’interno ha resistito mediante il deposito di un atto di costituzione, ai fini della partecipazione alla discussione orale.

Diritto

CONSIDERATO

che:

e’ inammissibile la costituzione in giudizio del Ministero dell’interno, avvenuta mediante il deposito di un atto finalizzato esclusivamente alla partecipazione alla discussione orale, dal momento che nel procedimento in Camera di consiglio dinanzi alla Corte di cassazione il concorso delle parti alla fase decisoria deve realizzarsi in forma scritta, attraverso il deposito di memorie, il quale postula che l’intimato si costituisca mediante controricorso tempestivamente notificato e depositato (cfr. 25/10/2018, n. 27124; Cass., Sez. V, 5/10/2018, n. 24422; Cass., Sez. III, 20/10/2017, n. 24835);

che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, e art. 14, lett. c), del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, e del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso che in Nigeria sussista una situazione di violenza indiscriminata, in virtù del progressivo miglioramento delle condizioni di sicurezza del Paese, desunto da informazioni fornite da fonti non aggiornate;

che il motivo è inammissibile;

che la configurabilità della fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è stata esclusa dalla sentenza impugnata attraverso il richiamo ad informazioni fornite da fonti internazionali autorevoli ed aggiornate, puntualmente indicate in motivazione (Rapporti EASO relativi agli anni 2017 e 2019), dalle quali la Corte d’appello ha desunto che, nonostante la situazione generale d’insicurezza ed instabilità esistente in Nigeria, la regione di provenienza del ricorrente non può ritenersi interessata da un conflitto armato idoneo a determinare uno stato di violenza diffusa ed indiscriminata tale da mettere in pericolo la vita e l’incolumità della popolazione civile;

che tale apprezzamento non risulta validamente censurato dal ricorrente, il quale, nell’insistere sulla propria tesi difensiva, si limita a richiamare informazioni desunte dal sito internet dell’International Crisis Group, riportandone nel ricorso un brevissimo estratto, non accompagnato neppure dall’indicazione dell’anno di riferimento;

che, in tema di protezione internazionale, questa Corte ha invece affermato ripetutamente che la parte che intenda denunciare in sede di legittimità la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, da parte del giudice di merito, il quale abbia rigettato la domanda sulla base d’informazioni ritenute non specifiche o non aggiornate, è tenuta ad allegare l’esistenza di fonti diverse, più pertinenti ed attendibili, nonché ad indicarne gli estremi ed a riassumerne (o trascriverne) il contenuto, al fine di evidenziare che, se il giudice ne avesse tenuto conto, l’esito della lite sarebbe stato diverso, non potendo altrimenti la Corte apprezzare l’astratta rilevanza del vizio dedotto (cfr. Cass., Sez. I, 20/10/2020, n. 22769; 9/10/2020, n. 21932);

che con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, osservando che, nel rigettare la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, la sentenza impugnata ha omesso di procedere alla comparazione tra la situazione in cui egli versava prima dell’espatrio ed il livello d’integrazione raggiunto in Italia, non avendo tenuto conto dello stato di povertà e di disagio da lui sopportato in Nigeria, dell’impegno profuso per integrarsi socialmente ed economicamente e del trattamento inumano e degradante subito nel corso del suo soggiorno in Libia;

che il motivo è infondato;

che l’omessa valutazione delle difficoltà di ordine economico incontrate in Patria dal ricorrente trova infatti conforto nel consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la condizione di vulnerabilità che legittima il rilascio del permesso di soggiorno ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non può consistere nella situazione di svantaggio economico o di povertà estrema del richiedente asilo, non essendo ipotizzabile un obbligo dello Stato italiano di garantire ai cittadini stranieri parametri di benessere o di impedire, in caso di rimpatrio, l’insorgere di gravi difficoltà economiche e sociali (cfr. Cass., Sez. III, 6/11/ 2020, n. 24904; Cass., Sez. II, 10/09/2020, n. 18783; Cass., Sez. VI, 7/02/ 2019, n. 3681);

che non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto insufficienti, ai fini dell’applicazione della predetta misura, la buona conoscenza della lingua italiana acquisita dal ricorrente e l’attività lavorativa da lui svolta, trovando applicazione il principio, anch’esso più volte ribadito da questa Corte, secondo cui, in assenza di un’effettiva condizione di vulnerabilità, non può assumere alcun rilievo l’allegazione di un’esistenza migliore nel paese di accoglienza, sotto il profilo del radicamento affettivo, sociale e/o lavorativo, dal momento che, presi isolatamente, il livello di integrazione dello straniero in Italia ed il contesto di generale e non specifica com-promissione dei diritti umani esistente nel Paese di provenienza non integrano di per sé i seri motivi di carattere umanitario, o derivanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui la legge subordina il riconoscimento del diritto alla protezione in questione (cfr. Cass., Sez. I, 22/02/2019, n. 5358; Cass., Sez. VI, 28/06/2018, n. 17072);

che la protezione umanitaria non può essere infine accordata automaticamente per il solo fatto che il richiedente abbia subito violenze o maltrattamenti nel paese di transito, dal momento che, dovendo il rimpatrio essere disposto verso il Paese di origine (o verso quello di dimora abituale, ove si tratti di un apolide), è in riferimento a quest’ultimo che occorre accertare l’esposizione del richiedente al rischio di persecuzioni o danni gravi (cfr. Cass., Sez. III, 5/06/2020, n. 10835; Cass., Sez. I, 6/12/2018, n. 31676; Cass., Sez. VI, 20/11/2018, n. 29875);

che, conseguentemente, l’allegazione di gravi violazione dei diritti umani in atto in un paese di transito in tanto può assumere rilievo, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, in quanto risulti dedotto e dimostrato che tali violenze, per la loro gravità o per la durevolezza dei loro effetti, si sono tradotte in una condizione di vulnerabilità personale, nel senso inteso dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 (cfr. Cass., Sez. I, 16/12/2020, n. 28781; 3/07/2020, n. 13758);

che il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo all’irrituale costituzione dell’intimato.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 5 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2021

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