Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3397 del 12/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 12/02/2010, (ud. 28/10/2009, dep. 12/02/2010), n.3397

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Donato – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.R., elett. dom.ta in Roma, Via Monte delle Gioie, n. 13,

nello studio dell’Avv. VALENZISE Carolina, che la rappresenta e

difende, unitamente dall’Avv. Fabrizio Naspi, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ANCONA, elettivamente dom.to in Roma, Via Collazia 2/F,

nello studio dell’Avv. Federico Canalini; rappresentato e difeso

dall’Avv. FRATICELLI Gianni;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale delle

Marche, n. 89/9/06, depositata in data 20.10.2006;

Udita la relazione della causa svolta in Camera di consiglio dal

cons. Dott. Pietro Campanile;

Udito l’Avv. Donatella Geromel, munita di delega, che si è riportata

al ricorso;

Lette le conclusioni del P.M., nella persona del Sost. Procuratore

Generale Dott. SORRENTINO Federico, il quale ha concluso per

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

1.1. – R.R. impugnava l’avviso di accertamento con il quale il Comune di Ancona aveva escluso l’agevolazione dell’aliquota relativa a due unità immobiliari, da lei calcolata in quanto entrambe utilizzate (unitamente al coniuge, comproprietario al 50 per cento) come abitazione principale.

1.2. La Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso, affermando, fra l’altro, che la contribuente non aveva effettuato alcuna certificazione in merito all’utilizzo dell’unità abitativa.

1.3 – La Commissione tributaria regionale delle Marche, con la decisione meglio indicata in epigrafe, riteneva che i due appartamenti, ancorchè contigui, non presentassero le caratteristiche – non essendo di piccole dimensioni – per essere entrambi considerati come prima casa.

1.4 Ha proposto ricorso per cassazione la R., affidato a tre motivi.

Si è costituito con controricorso il Comune di Ancona.

1.5 – Avviata la procedura prevista dall’art. 375 c.p.c., il Procuratore Generale presso questa Corte, rilevata la manifesta fondatezza del ricorso (anche in relazione a decisione di questa Corte in causa analoga fra le stesse parti), ne ha chiesto l’accoglimento. Veniva quindi fissata, per la trattazione, l’odierna udienza camerale.

Diritto

2.1. Il ricorso deve essere accolto, anche in considerazione della condivisibile pronuncia (Cass., n. 25902 del 2008) già intervenuta, in relazione al giudizio proposto dal comproprietario M. I. in ordine alla medesima questione.

2.2 Il primo motivo, con cui si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in merito alla dedotta nullità dell’avviso di accertamento è inammissibile. Benvero, come già rilevato nella citata decisione, la ricorrente, adducendo a suo fondamento che la Commissione Tributaria Regionale ha “totalmente omesso di esaminare e decidere” il “profilo di nullità dell’atto impugnato” costituito dalla “assoluta sua carenza di motivazione”, con lo stesso, nella sostanza, denunzia (espressamente ai sensi dell'”art. 360 c.p.c., n. 5″), ma erroneamente, sub specie di “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione” una vera e propria carenza di pronuncia, censurabile innanzi a questa Corte come vizio della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, (“nullità della sentenze”), per violazione dell’art. 112 c.p.c: il vizio di omessa pronuncia, come noto (Cass. 2^, 20 novembre 2007 n. 24139; 3^, 18 settembre 2007 n. 19356; 3^, 17 luglio 2007 n. 15882; 3^, 05 giugno 2007 n. 13059; 3^, 26 gennaio 2006 n. 1701), deve essere fatto valere unicamente in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, e non già con denuncia della violazione di norme processuali ovvero di un vizio di motivazione; quest’ultimo, in particolare, poichè un ragionamento inesistente non può avere vizi logici, presuppone di necessità l’avvenuto esame della questione oggetto di doglianza da parte del giudice di merito, seppure la parte censuri la soluzione adottata perchè ritenuta giuridicamente non corretta ovvero priva di adeguata giustificazione.

Lo stesso motivo, peraltro, è privo del “quesito di diritto” prescritto, a espressa pena di inammissibilità, dall’art. 366 bis c.p.c., anche per la denunzia (ex art. 360 c.p.c, n. 4) della violazione dell’art. 112 c.p.c., Cass. 3^, 26 febbraio 2008 n. 4968, per la quale “l’illustrazione di ciascun motivo deve a pena di inammissibilità concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass. 19 dicembre 2006 n. 27130)”.

2.3. La rilevata inammissibilità del “primo motivo” travolge naturaliter il successivo (con cui si denuncia violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, della L. n. 241 del 1990, art. 3, e della L. n. 212 del 2000, art. 7, ex art. 360 c.p.c., n. 3) perchè espressamente proposto “in conseguenza della censura posta a fondamento del primo motivo”. Tale motivo, peraltro e comunque, è affetto da una propria, specifica, ragione di inammissibilità perchè nel “quesito di diritto” formulato a conclusione dello stesso si chiede a questa Corte, in particolare, di accertare (“accerti e …”) “se l’avviso di liquidazione impugnato è stato emesso o meno dal Comune … in violazione”: il ” quesito di diritto” voluto dall’art. 366 bis c.p.c., detto, invece, diversamente da quanto domandato dal ricorrente, non può mai importare la richiesta a questa Corte di compiere un accertamento sul fatto perchè la sua unica finalità è quella di individuare il principio di diritto, diverso da quello fondante (per esplicito o per implicito) la sentenza impugnata, ritenuto dal ricorrente applicabile ad una specifica e ben individuata (oltre che indiscussa) fattispecie concreta, idoneo a determinare (Cass. un., 12 marzo 2008 n. 6530) “un ribaltamento della decisione adottata dal giudice a qua”.

2.3 – Il terzo motivo, per contro, deve essere accolto perchè fondato.

Per il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 6, comma 3 (nel testo “sostituito” dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 53), invero, “l’imposta” comunale sugli immobili (ICI) “è determinata applicando alla base imponibile l’aliquota vigente”. L’art. 5, comma 1, dello stesso D.Lgs., considera “base imponibile” il “valore degli immobili” soggetti all’imposta, inteso (comma 2) come “valore” dei fabbricati iscritti in catasto “quello che risulta applicando all’ammontare delle rendite risultanti in catasto .. i moltiplicatori” di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 52, comma 2.

In forza dello stesso art. 6, comma 2, poi, “l’aliquota … può essere diversificata …, con riferimento ai casi di immobili diversi dalle abitazioni, o posseduti in aggiunta all’abitazione principale, o di alloggi non locati; l’aliquota può essere agevolata in rapporto alle diverse tipologie degli enti senza scopi di lucro”: con questa norma il legislatore ha imposto al Comune di deliberare comunque un trattamento fiscale meno gravoso per l'”abitazione principale”. Il D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 59, lett. e), di poi, ha espressamente previsto la possibilità, per il Comune, di “considerare abitazioni principati, con conseguente applicazione dell’aliquota ridotta od anche della detrazione per queste previste, quelle concesse in uso gratuito a parenti in linea retta o collaterale, stabilendo il grado di parentela”.

Con l’attuazione di questa previsione, ovviamente, debbono essere considerate “abitazioni principali” tutte quelle “concesse in uso gratuito a parenti”: tanto, all’evidenza, in via logica, mostra l’irrilevanza del collegamento, propugnato come necessario dal Comune, della nozione di “abitazione principale” (beneficiarla “dell’aliquota ridotta ed anche della detrazione … previste”) con quella di unica “unità immobiliare” catastale in quanto lo stesso soggetto passivo fruisce “dell’aliquota ridotta ed anche della detrazione … previste” per tutti i suoi immobili adibiti ad “abitazioni” siano “principali” ovvero da considerare tali perchè concessi “in uso gratuito a parenti”. Il favore del legislatore per l'”abitazione principale”, inoltre, si evince ulteriormente del D.L. 27 maggio 2005, n, 86, art. 5 bis, comma 4 (convertito nella L. 26 luglio 2005, n. 148) con il quale, al dichiarato “fine di incrementare la disponibilità di alloggi da destinare ad abitazione principale”, si è concesso ai Comuni (alla “condizione” ivi prevista) la facoltà (“possono”) di “deliberare la riduzione, anche al di sotto del limite minimo previsto dalla legislazione vigente, delle aliquote dell’imposta comunale sugli immobili stabilite per gli immobili adibiti ad abitazione principale del proprietario”.

Il concetto di “abitazione principale”, quindi, non risulta necessariamente legato a quello di “unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio” (poi “catasto dei fabbricati”) nè, di conseguenza, limitato ad una sola unità come identificata catastalmente, ma viene in rilievo esclusivamente per la speciale considerazione, da parte del legislatore, dello specifico uso quale “abitazione principale” dell’immobile nel suo complesso. In tale contesto normativo l'”accatastamento unitario” ritenuto dal Comune (sulla scorta della “risoluzione” dallo stesso richiamata) necessario per l’applicazione dell'”aliquota agevolata” si rivela mero escamotage fattuale, non rispettoso della evidenziata finalità legislativa di ridurre il carico fiscale sugli immobili adibiti ad “abitazione principale”, confermata dalla recentissima previsione (“a decorrere dall’anno 2008″) dell'”esenzione” totale dell’imposta de qua sull’abitazione principale, disposta dal D.L. 21 maggio 2008, n. 93, art. 1.

Di conseguenza – essendo pienamente mutuabile la ratio che sorregge le statuizioni di questa Corte (Cass. 1^, 22 gennaio 1998 n. 563, seguita da 1^, 3 giugno 1998 n. 5433 e, di recente, da trib.: 10 dicembre 2002 n. 17580; 24 novembre 2006 n. 24986; 25 febbraio 2008 n. 4739) in tema di agevolazioni c.d. per l’acquisto della “prima casa”, previste dalla L. 22 aprile 1982, n. 168, art. 1, comma 6, mutandis mutandis, deve affermarsi il principio secondo cui ai fini dell’imposta comunale sugli immobili (ICI), il contemporaneo utilizzo di più di una unità catastale come “abitazione principale” non costituisce ostacolo all’applicazione, per tutte, dell’aliquota prevista per l'”abitazione principale”, sempre che (cfr.

analogamente, per l’agevolazione “prima casa”, Cass. n. 563 del 1998, cit.) il derivato complesso abitativo utilizzato non trascenda la categoria catastale delle unità che lo compongono, assumendo rilievo, a tal fine, non il numero delle unità catastali ma (la prova dell’effettivo, utilizzazione ad “abitazione principale” dell’immobile complessivamente considerato, ferma restando, ovviamente, la spettanza della detrazione prevista dell’art. 8, comma 2, una sola volta per tutte le unità.

3. In definitiva, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa, siccome bisognevole dei conferenti accertamenti fattuali, deve essere rinviata a sezione della stessa Commissione Tributaria Regionale, diversa da quella che ha pronunciato tale decisione, affinchè decida l’appello della contribuente facendo applicazione del principio di diritto innanzi affermato e provveda anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie l’ultimo motivo di ricorso e rigetta gli altri.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale delle Marche.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile – Tributaria, il 28 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2010

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