Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3396 del 11/02/2011

Cassazione civile sez. I, 11/02/2011, (ud. 01/12/2010, dep. 11/02/2011), n.3396

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.N. (C.F. (OMISSIS)), domiciliato in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato LOJODICE OSCAR,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositato il

08/10/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/12/2010 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con il decreto impugnato,depositato l’8/10/2008, la corte d’appello di Lecce ha respinto la domanda di S.N., intesa ad ottenere l’equa riparazione ex L. n. 89 del 2001, per la durata irragionevole del giudizio promosso dallo stesso S. nei confronti dell’Inps, per il pagamento dell’indennita’ di disoccupazione agricola, oltre interessi e spese, iniziato con ricorso depositato il 21/10/2003 e concluso all’udienza del 13/10/2006, con ordinanza di estinzione.

Secondo la corte territoriale, la domanda era infondata, dovendosi escludere ogni ripercussione negativa nei confronti del ricorrente, attesa la durata di tre anni del giudizio, senza dubbio ragionevole, e considerate le motivazioni dei rinvii, spesso determinati dalle parti (cosi’ i rinvii delle udienze dal 13/5/05 al 10/3/06, dal 10/3/06 al 7/4/06, dal 7/4/06 al 13/10/06), e nell’interesse del ricorrente, per verificare se e quando l’indennita’ richiesta fosse stata erogata, tanto piu’ che il S. aveva adito il giudice del lavoro quando gli era stata gia’ riconosciuta l’indennita’.

Ricorre il S. sulla base di un unico articolato motivo.

Resiste il Ministero della Giustizia, che ha depositato controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1.- Con l’unico motivo del ricorso, il S. denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6, par. 1, della CEDU e dell’art. 111 Cost., in ordine ai criteri per la determinazione della ragionevole durata, nonche’ degli artt. 34 e 35 CEDU; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

Secondo il ricorrente, la corte d’appello ha correttamente fatto riferimento ai principi ermeneutici consolidati in materia, per poi disattenderli nel caso, ha considerato erroneamente che tutti i rinvii erano stati chiesti dalle parti o accordati nell’interesse del ricorrente, e che il S. aveva ottenuto il riconoscimento del diritto gia’ prima del giudizio,mentre lo stesso aveva agito giudizialmente per ottenere la differenza tra quanto dovuto e quanto gia’ corrisposto, ne’ infine la corte ha indicato quale sia stato il vantaggio ricavato dal ricorrente per effetto della irragionevole durata del processo, nel caso da escludersi.

Il Ministero ha eccepito la carenza del quesito di diritto e l’infondatezza del ricorso.

2.- Il ricorso deve ritenersi inammissibile.

Ed invero, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto, con decorrenza dal 2/3/2006 dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009 dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, ma applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate tra il 3 marzo 2006 e il 4 luglio 2009 (cfr. L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5), allorche’ il ricorrente denunzi la sentenza impugnata per i motivi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, che, come ritenuto dalla giurisprudenza di questa corte, “deve consistere in una chiara sintesi logico – giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimita’, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa o affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame” (cosi’ la sentenza delle sezioni unite, n. 20360 del 2007, e in senso conforme, la successiva ordinanza n. 2658 del 2008 e la sentenza resa a sezione semplice, n. 20360 del 2007).

Quanto alla denuncia del vizio di motivazione, la norma processuale richiede, sempre a pena di inammissibilita’,che l’illustrazione del motivo deve contenere “la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione: la giurisprudenza di questa corte, come da ultimo ribadito nella pronuncia 27680/2009, ha affermato che “cio’ importa che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilita’ (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603)… non e’ sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che e’ indispensabile che sia indicato in una parte del motivo stesso, che si presenti a cio’ specificamente e riassuntivamente destinata”.

Ebbene, nel caso di specie e’ di palese evidenza la carenza del quesito di diritto e del momento di sintesi, essendosi limitato il ricorrente ad una mera espositiva di censure, ora prospettate come violazione di legge, ora come vizio di motivazione, all’interno dell’unico motivo fatto valere. Va pertanto dichiarata l’inammissibilita’ del ricorso. Le spese di lite del presente giudizio, liquidate come in dispositivo,seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’ a favore del Ministero, spese che liquida in Euro 1000,00, oltre le spese prenotate a debito.

Cosi’ deciso in Roma, il 1 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2011

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