Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3396 del 08/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 08/02/2017, (ud. 24/11/2016, dep.08/02/2017),  n. 3396

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28568/2015 proposto da:

C.A.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

OSLAVIA 14, presso lo studio dell’avvocato NICOLA MANCUSO,

rappresentata e difesa dall’avvocato PIERGIORGIO CANNIZZARO, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MONZA, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DI TEMPIO DI GIOVE 21, presso l’AVVOCATURA

COMUNALE, rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLA GIOVANNA

BRAMBILLA, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1874/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 30/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/11/2016 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata depositata la seguente relazione:

“1. La Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Monza, rigettata la domanda principale proposta da C.A.P. e in accoglimento della domanda proposta in via riconvenzionale dal Comune di Monza, ha pronunciato la risoluzione del contratto di locazione a fini abitativi intercorso tra il Comune (quale locatore) e la C. (quale conduttrice) per inadempimento di quest’ultima.

“La C. aveva originariamente adito il tribunale monzese per l’accertamento degli inadempimenti del Comune locatore e per la relativa condanna alla realizzazione degli interventi sull’immobile locato idonei a consentire il pacifico godimento dello stesso, oltre al risarcimento dei danni subiti dalla conduttrice.

“2. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione C.A.P. sulla base di due motivi d’impugnazione.

“3. Resiste con controricorso il Comune di Monza, che ha concluso per il rigetto dell’impugnazione.

“4. Osserva il relatore che il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., in quanto appare destinato ad essere rigettato.

“5. Con il primo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione della legge processuale (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), con particolare riguardo al principio di cui all’art. 112 c.p.c., a causa dell’omessa pronuncia della corte territoriale sul primo motivo di appello, concernente l’eccezione d’inadempimento espressamente sollevata dalla conduttrice al fine di respingere la contestazione rivoltale in relazione al mancato pagamento dei canoni.

“5.1. Il motivo è manifestamente infondato.

Osserva il relatore come la corte territoriale abbia espressamente considerato la proposizione dell’eccezione d’inadempimento sollevata dalla conduttrice, evidenziandone la totale infondatezza, non potendo, gli eventuali inadempimenti del locatore, giustificare in alcun modo l’omesso pagamento di quasi quattro annualità dell’esiguo canone pattuito tra le parti, avendo la C. comunque continuato a godere dell’appartamento concessole dal Comune in modo sostanzialmente pieno, sia pure per i periodi dell’anno durante i quali il riscaldamento non è in funzione, con la conseguente assoluta infondatezza di qualsivoglia giustificazione sotto il profilo dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. (cfr. folio 3 della sentenza d’appello).

“6. Con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 1460 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale conferito prevalente rilievo all’inadempimento della conduttrice rispetto al valore dei diversi inadempimenti di cui si era resa responsabile l’amministrazione locatrice.

“6.1. Il motivo è inammissibile.

Con riguardo al motivo in esame – espressamente dedotto dalla ricorrente come forma di violazione di legge -, ritiene il relatore opportuno ribadire – in conformità al costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità – come, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consista nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge, implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

“Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171).

“Nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe dei motivi d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierna ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità della valutazione operata dal giudice d’appello in relazione al confronto comparativo tra gli inadempimenti contrattuali delle parti.

“Si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare, non già un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge (come accade per il classico caso della violazione di legge), bensì una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze documentali di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato nel trascurare il contenuto rappresentativo proprio di talune fonti probatorie o nel travisarne altri.

“Ciò posto, in ossequio al consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, i motivi d’impugnazione così formulati devono ritenersi inammissibili.

“Osserva infatti il relatore come – dovendo il vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto risolversi in un giudizio sulla fattispecie astratta contemplata dalla norma di diritto applicabile al caso concreto, e dovendo la relativa denunzia avvenire mediante la specifica indicazione dei punti della sentenza impugnata che si assumono essere in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza e/o dalla dottrina prevalente – deve considerarsi inammissibile il ricorso per cassazione con il quale si censura come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi (Sez. 3, Sentenza n. 10385 del 18/05/2005, Rv. 581564; Sez. 5, Sentenza n. 9185 del 21/04/2011, Rv. 616892).

“7. Si ritiene, pertanto, che il ricorso vada trattato in Camera di consiglio per essere rigettato”;

2. Le parti non hanno presentato memorie ex art. 380-bis c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, ritiene il Collegio di condividere i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione trascritta e di doverne fare proprie le conclusioni.

4. Il ricorso dev’essere pertanto rigettato.

5. A tale esito segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, liquidate in complessivi Euro 510,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 24 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2017

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