Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33952 del 19/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 19/12/2019, (ud. 09/07/2019, dep. 19/12/2019), n.33952

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAGDA Cristiano – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2806-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.M., elettivamente domiciliato in ROMA VIA GIOVANNI

PAISIELLO 15, presso lo studio dell’avvocato BELLOMO GIOVANNI,

rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);

– controricorrente –

e contro

D.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2104/2017 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

FOGGIA, depositata il 13/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/07/2019 dal Consigliere Dott. FANTICINI GIOVANNI.

Fatto

RILEVATO

Che:

– in esito a verifica fiscale della Guardia di Finanza nei confronti di La Fenicia S.r.l. veniva redatto processo verbale di constatazione dal quale emergeva che la società aveva acquistato uva da vino da produttori locali e che le contabilizzate operazioni di rivendita dei prodotti si erano rivelate oggettivamente inesistenti risultando fittizi i loro trasporti; di conseguenza, l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Foggia emetteva avvisi di accertamento per maggiori ricavi e maggiori redditi da capitale nei confronti della società e dei soci, nonchè atti di contestazione di omesso versamento di ritenute da operarsi sui redditi dei soci;

– avverso tali provvedimenti veniva proposto ricorso alla C.T.P. di Foggia che, riuniti i ricorsi, li accoglieva, ritenendo assorbenti le eccezioni sollevate sull’inapplicabilità al caso del raddoppio dei termini decadenziali per eseguire l’accertamento e sull’intervenuta estinzione della società;

– la C.T.R. della Puglia, con la sentenza n. 2104/2017 del 13/6/2017, pur accogliendo le doglianze dell’Agenzia delle Entrate sulle questioni che avevano fondato la decisione di prime cure (e, dunque, affermando che l’accertamento era stato tempestivamente compiuto e che la notifica degli atti alla società era anteriore alla sua estinzione), respingeva l’appello poichè le operazioni non erano oggettivamente inesistenti, bensì soggettivamente inesistenti;

– avverso tale decisione l’Agenzia propone ricorso per cassazione (fondato su quattro motivi), al quale resistono, con unico controricorso, La Fenicia S.r.l. e i soci D.A. e D.M..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Col primo motivo si deduce nullità della sentenza (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per violazione dell’art. 112 c.p.c., perchè la C.T.R. aveva riqualificato la natura della contestazione ultra petita.

2. Il motivo è infondato.

In virtù del principio Tura novit curia (art. 113 c.p.c.), il giudice ha il potere-dovere di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in giudizio, potendo porre a fondamento della sua decisione disposizioni e principi di diritto diversi da quelli richiamati dalle parti, purchè i fatti necessari al perfezionamento della fattispecie ritenuta applicabile coincidano con quelli della fattispecie concreta sottoposta al suo esame.

Nel caso de quo la C.T.R. ha ritenuto che le operazioni fittizie fossero riconducibili al novero delle operazioni soggettivamente inesistenti e ciò ha fatto in base alle stesse pretese dell’Agenzia che, contestando maggiori ricavi, ha essa stessa ipotizzato l’avvenuta cessione dei prodotti, seppure a soggetti diversi rispetto a quelli a cui i documenti contabili si riferivano.

Va rilevato che col motivo non si contesta la mancata ricostruzione del rapporto tributario da parte del giudice d’appello.

3. Col secondo motivo si deduce la nullità della decisione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per violazione dell’art. 132 c.p.c., per avere la C.T.R. reso una sentenza affetta da grave illogicità e con motivazione apodittica.

4. Il motivo è inammissibile

Contrariamente agli assunti della ricorrente, la sentenza impugnata illustra le ragioni su cui si basa la riqualificazione operata dal giudice d’appello: “Di fatto la società dopo aver acquistato la materia prima ha ceduto la stessa, sia pure a soggetti diversi da quelli risultanti dalla fatture e pertanto sono corrette le partite in entrata e in uscita, anche se queste ultime fatturate a soggetti diversi. Appare invero illogico che da una parte vengano riconosciuti gli acquisti e dall’altra negata la vendita, così come accertata e riconosciuta, e calcolare ricavi ulteriori per presunte vendite in nero. Se anche le vendite sono state effettuate in no le stesse non possono ritenersi ricavi a prescindere dai costi sostenuti per gli acquisti, ma vanno detratte dagli acquisti stessi, anche perchè le vendite sono state dichiarate sia pure effettuate a soggetti diversi da quelli indicati dalle società”.

Alla denuncia di illogicità e contraddittorietà della motivazione non fa seguito nel ricorso alcuna spiegazione da parte della difesa erariale, la quale si limita a rilevare la mancanza di un’accurata disamina di tutte le evidenze istruttorie in grado di sorreggere la decisione: in altri termini, la pretesa nullità della decisione per violazione dell’art. 132 c.p.c. si risolve, in realtà, in una censura di insufficienza della motivazione, preclusa dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

5. Col terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, D.P.R. n. 633 del 1072, art. 54, comma 2, e 2697 c.c., per avere la C.T.R. ipotizzato l’avvenuta cessione delle merci ad altri soggetti in assenza di elementi gravi, precisi e concordanti per suffragare tale ricostruzione e per aver preteso dall’Ufficio la prova dell’inesistenza delle operazioni.

6. Il motivo è inammissibile.

Infatti, oltre a sottoporre inammissibilmente al sindacato di legittimità la rivalutazione delle risultanze istruttorie già vagliate dal giudice di merito, l’Agenzia non coglie la ratio decidendi che non inverte affatto l’onere della prova pretendendo una prova assoluta di inesistenza delle operazioni, ma muove proprio dalle contestazioni dell’Erario per affermare che la pretesa di maggiori ricavi è incompatibile con la sostenuta inesistenza delle cessioni.

7. Col quarto motivo si deduce nullità della sentenza (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per violazione dell’art. 132 c.p.c., per avere la C.T.R. dichiarato illegittimi “tutti gli altri accertamenti nonchè verbali di contestazione”, incluso l’atto di contestazione relativo all’omesso versamento di IVA regolarmente dichiarata nelle liquidazioni periodiche.

8. Il motivo è inammissibile.

Proprio nel ricorso introduttivo l’Agenzia dà atto che la predetta questione non aveva formato oggetto di appello, bensì di “riproposizione delle eccezioni riferite ai motivi non esaminati dal primo giudice”, (Ndr: testo originale non comprensibile).

Orbene, la riproposizione delle eccezioni rimaste assorbite dalla pronuncia di primo grado (art. 346 c.p.c.) è onere della parte che in quel grado è risultata vittoriosa, mentre nel caso de quo l’odierna ricorrente avrebbe dovuto proporre specifico appello (Ndr: testo originale non comprensibile), sulla relativa decisione della C.T.P., dunque, si era formato il giudicato e la censura svolta col ricorso è, pertanto, inammissibile.

9. Consegue a quanto esposto il rigetto del ricorso.

La soccombente Agenzia va condannata alla rifusione delle spese sostenute dalla parte controricorrente per il giudizio di cassazione, le quali sono liquidate nella misura indicata nel dispositivo secondo i vigenti parametri. Poichè la ricorrente è una Amministrazione dello Stato esonerata dal versamento del contributo unificato, va escluso l’obbligo di versare dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso principale, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, (Cass. 29/01/2016, n. 17789).

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente Agenzia delle Entrate a rifondere alla parte controricorrente le spese di questo giudizio, che liquida in Euro 18.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto che non sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, il 9 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019

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